Verso fine agosto sono stato sollecitato a inviare un breve contributo alla collega Barbara Gaiardoni, che da qualche mese collabora con il mensile Verona Sette.
Il 2020 sarà un anno speciale per Gianni Rodari, giornalista, pedagogista e scrittore: nato il 23 ottobre di cent’anni fa a Omegna, era stato insignito nel 1970 del premio Andersen, che è considerato il Nobel della letteratura per l’infanziae e ci lasciò improvvisamente nel 1980.
Ero diventato maestro di scuola elementare nel 1974. In quegli anni il nome di Rodari ricorreva in maniera importante: si parlava molto di lui già a livello di formazione dei futuri insegnanti e i molti suoi racconti, favole e romanzi erano di casa in tante classi: basti ricordare, un po’ alla rinfusa, «Gelsomino nel paese dei bugiardi», «Favole al telefono», «La freccia azzurra», «La torta in cielo» – senza scordare la «Grammatica della fantasia, che era nel contempo un’«introduzione all’arte di inventare storie» e un serbatoio immenso di pedagogia e didattica.
Oggi – e non credo si tratti solo di un fenomeno specifico delle scuole del mio Ticino – i titoli di Rodari sono sconosciuti agli allievi, anche perché già i loro maestri non l’hanno più incontrato: sarebbe interessante capirne il motivo. Per chi, leggendo queste poche righe, starà masticando il suo «Carneade! Chi era costui?», consiglio Una storia, tante storie. Guida all’opera di Gianni Rodari, di PINO BOERO, profondo conoscitore dell’opera e del pensiero di Rodari, riedito proprio quest’anno da Einaudi Ragazzi.