Anche se questa non è una rubrica di critica cinematografica, mi sembra doveroso fare per una volta un’eccezione alla regola, per occuparmi del “film più atteso e discusso dell’anno”. Attesa tutt’altro che spasmodica a parte, per una volta – da comune spettatore – mi ritrovo perfettamente allineato con gran parte dei critici: “La passione di Cristo” è un filmaccio, roba per guardoni dallo stomaco in buone condizioni. E perché, allora, parlarne nel contesto di una rubrica che solitamente si interessa di educazione? Il film di Mel Gibson è uscito sui nostri schermi con il marchio, a volte pruriginoso, altre infamante, del “vietato ai minori di 18 anni”: come dire: un film per soli adulti, anche se a 16 lo si può vedere in compagnia di un maggiorenne. Decisione legittima, ma che non deve ingannare: intanto nella vicina Italia il film circola senza limitazioni d’età – si vede che i ragazzini maturano prima, oppure che la scuola morattiana offre loro più raffinati strumenti di decodifica dello specifico filmico. Poi si può facilmente immaginare che tra breve in tutti gli empori sarà possibile acquistare questa “Passione” in cassetta o DVD: con quel che vedono i ragazzini attingendo, nascostamente o meno, alle videoteche domestiche, figurarsi se non andranno a ficcare morbosamente il naso in questo mattatoio cinematografico…
Tanto più se i loro genitori saranno propensi, in linea col vescovo e, più in generale, con una parte del clero cattolico, a considerare il film un’opera d’arte; ha detto Monsignor Grampa all’edizione pasquale del Caffè: “Quei volti, che emozione. Una divina tragedia. Gibson non è un predicatore. Soffre i problemi del suo tempo. C’è violenza nel film, ma la violenza c’è nella storia”. Eccetera. Insomma, il dibattito attorno a questa “Passione” sta appassionando un po’ tutti, ma c’è il concreto rischio per qualche ingenuo educatore – sia esso genitore o insegnante, animatore o prete – che il film si trasformi in alibi pedagogico: guardiamolo insieme per capire Cristo. Ma questa “Passione” non è una pellicola pacifista, risulta difficile capire l’eventuale intento pedagogico del regista, che indugia sulla rappresentazione invero morbosa del sangue e della violenza, piuttosto che sull’insegnamento del Cristo. Forse non è volutamente e schiettamente anti-semita, ma la scenografia richiama in modo disgustoso l’iconografia dei testi di catechismo degli anni ’50, dove i giudei – tutti i giudei – erano manifestamente additati come torturatori di Gesù e quindi “deicidi”.
È poi di giovedì scorso la notizia che Gibson abbia avviato trattative per portare il suo film sul piccolo schermo, ponendo alle TV una condizione: che il suo film non abbia a subire tagli, neanche nelle scene più cruente. Mi immagino già la famigliola acquartierata davanti al piccolo schermo subito dopo cena: o il film passa effettivamente senza tagli – e allora la cena è andata in malora – oppure il tutto si riduce ai pochi minuti dei titoli di coda.
Quale messaggio positivo è possibile cavare da un lungometraggio centrato essenzialmente sulla riproduzione cruda e spettacolare della tortura? Qual è la riconoscibilità del racconto evangelico per chi la storia non la conosce? Chi sono i popolani al seguito del sinedrio? E cos’hanno a che fare con gli antichi romani? Quali sono i veri motivi di quello che è a tutti gli effetti un pubblico linciaggio? Mi spiace, ma se l’intenzione è quella di mostrare questa “Passione” ai nostri adolescenti, nell’ambito di un discorso sulla riconsiderazione dei valori etici e cristiani, proprio non ci siamo. Dal punto di vista squisitamente cinematografico, siamo allo splatter totale, alla truculenza fatta protagonista; più che opera d’impegno civile, questa è pornografia, con la lunga flagellazione al posto di reiterati amplessi – attenzione ai primi piani! – e il sangue che schizza sulle facce dei ghignanti torturatori invece delle irrumazioni multiple. In verità: qual è la differenza?
Fortunatamente c’è anche chi, ai vertici della Chiesa cattolica, riesce a distanziarsi da questa sorta di invasamento di massa; è il caso, ad esempio, del patriarca di Venezia, cardinale Angelo Scola, che su “Panorama” ha invitato «tutti quelli che discutono così animatamente di questo film ad andare in chiesa la notte o il giorno di Pasqua se vogliono veramente capire qualcosa di ciò di cui parlano».