«Più mense, più doposcuola e più sezioni di scuola d’infanzia a orario prolungato per rispondere ai bisogni delle famiglie in tutto il Cantone»: è un altro dei postulati sostanziali dell’iniziativa «Aiutiamo le scuole comunali», di cui ho già scritto poco tempo fa (Corriere del 7 ottobre). La richiesta di potenziamento dell’offerta para-scolastica è un must assai recente. Per quanto riguarda il nostro Cantone si tratta di una rivendicazione che ha preso lo slancio dalla “storica” votazione del 18 febbraio ’01: chi non se ne ricorda? La campagna in vista del voto sul finanziamento pubblico della scuola privata era stata largamente dominata da questi temi, più sociali che pedagogici, tanto da spingere il filosofo Franco Zambelloni a chiedersi se si votava per le mense o per la difesa di un programma repubblicano. La pretesa di chiedere alla scuola di occuparsi anche della pausa-pranzo e, appunto, del doposcuola è uno di quegli argomenti che sembrano fare il pieno di consensi. Avenir Suisse – che si definisce think tank su argomenti economici e sociali – ne ha fatto un cavallo di battaglia già da diversi anni; ma sulla stessa lunghezza d’onda si collocano gli ambienti di sinistra che hanno lanciato l’iniziativa di soccorso alle scuole comunali. Ha scritto Loredana Schlegel, tra i proponenti della raccolta firme, che mentre lo Stato brilla negli ultimi anni per la sua politica sparagnina, che vede sacrificati sull’altare delle difficoltà finanziarie un gran numero di bisogni, «… dalla società sono emerse ulteriori richieste, [come] un maggior impegno pubblico nella creazione di quei servizi parascolastici (…) che permettono ai genitori di conciliare famiglia e lavoro» (CdT, 15.10.09). Dunque: da destra a sinistra sono tutti compatti nel suggerire quegli accorgimenti che permetterebbero di ristabilire la serenità delle famiglie, a tutto vantaggio dell’educazione dei futuri cittadini.
Eppure c’è qualcosa che non quadra, in questo tutt’altro che estemporaneo consenso politico. Sintetizzando al massimo, direi che i genitori che hanno necessità di mense e doposcuola non appartengono tutti alle stesse categorie sociali e, soprattutto, sono mossi da motivazioni abbastanza diverse. Ci sono coppie che, potendo lavorare in due, migliorano il budget familiare e possono permettersi qualche sfizio in più. Ci sono i genitori che, attraverso il lavoro, “si realizzano”. Altri ancora – e sono forse la maggioranza – non hanno scelta: con un solo salario e qualche figlio da crescere la fine del mese diventa un’odissea di sofferenze e rinunce dolorose, di sogni irrealizzabili benché modesti. Nulla di riprovevole in chi sta bene e vuole star meglio, ci mancherebbe. Sono tuttavia convinto che molti genitori preferirebbero fare a meno delle mense e dei doposcuola, per poter crescere i propri figli senza troppi assilli, invece che incontrarsi di rado e trascorrere le giornate dietro la cassa del supermercato, o a sgrassare piatti e padelle dall’alba al tramonto o, ancora, ad affannarsi con occupazioni che uno, se appena può, cede volentieri ad altri: per lo più con salari assurdi. Si capisce quindi perché gli ambienti economici reclamino a gran voce mense, asili nido e affini. Un po’ meno chiara, invece, è la posizione di quelle frange politiche che cavalcano strenuamente il sostegno alle famiglie – la prima cellula educativa di una società sana – ma sostengono nel contempo la necessità di quei servizi senza i quali non potremmo mandarle tutte a lavorare. L’intervento avveduto dello Stato, al contrario, sarebbe quello di consentire alle mamme di fare le mamme e ai papà di fare i papà.
Quanto al fatto che sia la scuola a doversi far carico delle sue pause, ci sarebbe molto da discutere. Di sicuro refezioni e corsi di doposcuola sottraggono importanti energie a molte direzioni scolastiche; e con i problemi educativi generati dalla società odierna – non ultimo quello dei tanti bambini ragazzi e giovani che i genitori li vedono quando capita, magari stanchi morti e nervosi – sarebbe il caso di potersi occupare a tempo pieno di ciò che la scuola è veramente in grado di fare. Senza diversivi da società ricca e irresponsabile.