Fino a cinquant’anni fa, e da più di un secolo, in Ticino esistevano solo tre scuole medie superiori: il liceo a Lugano, la scuola magistrale a Locarno e la scuola di commercio a Bellinzona. È negli anni ’70 che accade la rivoluzione, che renderà concreta la democratizzazione degli studi attraverso l’istituzione della scuola media unica e la creazione dei licei di Bellinzona, Locarno e Mendrisio. È curioso constatare che, nel frattempo, la scuola magistrale è sparita e che la formazione degli insegnanti, diventata post-liceale, è ora affidata alla Scuola universitaria professionale della Svizzera italiana (SUPSI).
Ma lo sviluppo più straordinario è avvenuto a livello di formazione professionale, che conta oggi una varietà di specializzazioni altissima, da quelle più tradizionali a tante altre di più recente creazione. Ciò mette in risalto una grande capacità di adattamento alla realtà professionale e di reattività alle sfide di un mondo del lavoro in rapida e continua evoluzione. Il settore della formazione professionale, insomma, è l’assioma di chi ci avverte che fra vent’anni i neonati del 2020 faranno un mestiere che non esiste ancora – senza scordare che lo si diceva già trent’anni fa. A ciò si aggiunga che molte di queste formazioni specializzate possono portare al conseguimento della maturità professionale, che consente l’accesso a un’ulteriore qualifica in istituti formativi di livello universitario. Il settore della formazione professionale è ormai diventato una costellazione scintillante, vivace, curiosa e rigorosa, che non ha proprio nulla da invidiare al più blasonato liceo.
Non è una novità che da diverso tempo c’è chi segnala una percezione fuorviante delle formazioni possibili al termine della scolarità obbligatoria. Il consigliere di stato Gabriele Gendotti, già nel 2003, si chiedeva se non occorresse «sostenere maggiormente la via di una formazione professionale ancora troppo spesso (e a torto!) ritenuta di serie B». E il parlamentare Nicola Pini, nel 2014, rimarcava come «La conoscenza è una virtù fondamentale e una premessa di libertà, un bene che è a prova di furto. Ma i percorsi formativi sono percorribili e di qualità anche in campo professionale».
È il settimanale della RSI «Falò» che, nel 2019, aveva messo qualche puntino sulle i, affermando senza giri di parole che «Chi ha una licenza con i livelli B, dopo la scuola dell’obbligo si trova di fronte molte porte chiuse, fra cui anche quelle dell’apprendistato. A essere colpiti maggiormente – continuava il servizio – sono i giovani con origine sociale bassa» oltre a quelle centinaia «che sono a casa “a far nulla”, che hanno smesso di studiare e di cercare un impiego».
In effetti il nodo centrale è lì, nella scuola media, che funziona come se fosse il vecchio ginnasio, quasi che fossero ancora vive le intenzioni dei suoi fondatori di metà ’800: preparare e selezionare chi avrebbe frequentato il liceo, per diventare avvocato, medico, architetto, ingegnere.
Purtroppo i meccanismi di selezione della scuola dell’obbligo continuano imperterriti a tenere in vita un’idea obsoleta. Invece, e più correttamente, oggi servirebbe una scuola capace di dare a tutti la più solida base culturale che chiunque possa ragionevolmente raggiungere a quell’età. Solo così ognuno sarà in grado di scegliere la formazione post-obbligatoria che riterrà più idonea e vicina ai suoi interessi e alle competenza fin lì acquisite. Una scelta che sarebbe vantaggiosa per tutto il paese.