Sul numero di gennaio 2014, a firma M. d. C., La Rivista dell’editore Dadò ha dedicato alcune note interessanti in margine alla presentazione del volume «Il gatto ha ancora gli stivali?», organizzata al DFA lo scorso 14 novembre 2013.
Perché mai un insegnante o un papà dovrebbe leggere ai suoi ragazzi Tom Sawyer di Mark Twain? E perché una nonna dovrebbe raccontare alle nipotine Piccole donne di Louisa Alcott? Perché, insomma, un qualsiasi adulto un po’ in là con gli anni dovrebbe sfoderare tanto accanimento per far digerire alle nuove generazioni i bei romanzi di un tempo, che raccontano mondi scomparsi e vicende che possono sembrare almeno strane a un nativo digitale? Difficile dire se sia proprio così, cioè se tante storie narrate dai Classici per ragazzi siano poi sul serio così inutili e inattuali.
Su questo tema l’editore Armando Dadò ha pubblicato, nel novembre scorso, un libro assai intrigante, interessante e utile: «Il gatto ha ancora gli stivali?», col sottotitolo «Perché leggere i classici per ragazzi, oggi e domani». È proprio a partire da domande del genere – perché mai? – che Dario Corno, ricercatore in Linguistica Italiana presso la Facoltà di Lettere dell’Università degli studi del Piemonte Orientale, Simone Fornara, docente e ricercatore in Didattica dell’italiano presso il DFA della SUPSI, e Adolfo Tomasini, pedagogista e già direttore delle scuole comunali du Locarno, hanno dato vita, ormai due anni fa, a un convegno che, il 28 agosto 2012, aveva attirato al Teatro di Locarno circa cinquecento insegnanti e studenti per seguire un evento che intendeva cercare delle risposte a questi interrogativi. Ma, si potrà obiettare, non ci sono testi più attuali da proporre ai nostri figli, abituati a una modernità più svelta e globale, e in contatto regolare col mondo intero, attraverso il web e i tanti marchingegni elettronici? «La scelta dei libri da proporre a bambini e ragazzi tra i quattro e i dieci anni è uno dei problemi centrali che ogni educatore – insegnante o genitore che sia – deve prima o poi affrontare. E non si tratta di un problema di facile soluzione, dato che il mercato della narrativa per ragazzi è ben vivo, ma popolato da una miriade di libri che a livello qualitativo si collocano agli estremi opposti».
Sullo slancio del convegno sono poi nate altre iniziative intriganti. Dapprima una Guida ai classici della letteratura per l’infanzia, curata da Orazio Dotta e Antonella Castelli (Bibliomedia – Media e Ragazzi Ticino e Grigioni italiano) e pubblicata dalle Edizioni Centro didattico cantonale, che presenta un elenco imponente di titoli divisi in quattro sezioni: classici, nuovi classici, mitologia, fiabe e favole. Poi una mostra itinerante, composta di quasi 200 volumi, inaugurata nei giorni del Convegno alla biblioteca cantonale di Locarno e che attualmente sta facendo il giro del cantone. E ancora, alcune iniziative molto concrete che si stanno sviluppando in diversi istituti scolastici, compreso quello per la formazione degli insegnanti.
È a questo punto che i tre ideatori del convegno hanno spinto la pubblicazione del libro omonimo, edito nella collana Il laboratorio. Vi si trovano alcune domande fondamentali e qualche possibile risposta. Oltre a un articolato tentativo di definizione di cosa sia un classico per ragazzi (Pino Boero), i contributi si soffermano su una serie di buoni motivi per leggerli, pur con qualche distinzione: i classici sono un buon modello di lingua (Dario Corno), sono una piattaforma per il recupero della storia e delle culture (Walter Fochesato), veicolano modelli etici (Fabio Merlini), possono essere strumenti di legame generazionale e di identità (Renato Martinoni). Inoltre, un saggio esemplare è dedicato al dovere di scrivere e educare nel mercato editoriale del terzo millennio, con alcune critiche a tanta produzione effimera dei tempi nostri (Simone Fornara e Mario Gamba). Per finire con una sorta di riassunto “pedagogico” della questione (Adolfo Tomasini): perché mai… insomma?
In definitiva, si tratta di un libro utile, che fa riflettere. Un libro con l’anima.
M. d. C.