La scuola ticinese è inerte perché ha troppi allievi per classe. La loro riduzione è «la misura cardine per permettere una svolta positiva» contro «l’immobilismo progettuale nel settore della scuola dell’obbligo». Lo ha detto la VPOD Docenti, come ha riportato La Regione del 27 marzo, mentre il concetto era già stato ribadito in precedenza dal segretario della VPOD Raoul Ghisletta, che, in un articolo pubblicato dal foglio bellinzonese (23 marzo), mi aveva messo alla berlina con Diego Erba, poiché entrambi saremmo colpevoli di «dormire sugli allori» e di attuare una politica suicidaria «per la scuola pubblica e soprattutto per la società ticinese». Tuttavia ricondurre l’immobilismo della nostra scuola al numero di allievi per classe è, a dir poco, un luogo comune un po’ stantio. Per chiarezza: non sono sic et simpliciter contro la riduzione del numero di allievi per classe. Reputo però che una diminuzione lineare e generalizzata sarebbe controproducente e superflua, per diverse ragioni sulle quali mi sono già chinato. Semmai, ancor prima di chiedere riforme strutturali sui generis, converrebbe esaminare quali sono gli spazi che già l’attuale legislazione concede, almeno a parole. Vediamo. Le regole in vigore stabiliscono che le monoclassi possono avere da un minimo di 13 a un massimo di 25 allievi, ma indicativamente tra 20 e 25. Aggiungono pure che il dipartimento può autorizzare o imporre deroghe ai parametri indicati quando le caratteristiche socioculturali degli allievi richiedono un’assistenza particolare. Qui sta semmai la duplice spregiudicatezza del DECS, che ha solitamente come punto di riferimento il massimo degli allievi e che mai ha considerato la necessità di considerare l’importanza delle caratteristiche socioculturali degli allievi, che in nessun caso si ripartiscono equamente in ogni istituto del cantone. L’ho già scritto in questa rubrica: «l’equità numerica di una classe dipende soprattutto dalle caratteristiche individuali di ogni allievo e dalla natura degli obiettivi che si perseguono. Definire un numero tot di allievi per ogni classe da Airolo a Chiasso a prescindere dalle differenze che sussistono da una sede scolastica all’altra è un po’ come decidere che tutti dobbiamo pagare le stesse imposte: cioè un’ingiustizia» (7.10.09).
Di ammuffita, invece, sembra esserci proprio la questione del numero di allievi per classe, che si affaccia alla ribalta a scadenze regolari, benché negli anni esso sia concretamente calato senza portare chissà quali successi sul piano della riuscita scolastica degli allievi più iellati. Ben altri sarebbero invece i correttivi da invocare per modificare una struttura scolastica immutata sin dal XIX secolo e copiata pari pari dalle prime scuole dei preti: un’aula, un maestro e un gruppo di allievi. La blasonata scuola finlandese, che Ghisletta evoca così spesso, offre ben altre caratteristiche che contribuirebbero a migliorare anche la nostra scuola. Intanto la Finlandia applica per davvero una politica mirata di aiuto alle scuole, a dipendenza delle loro peculiarità. Poi, solo per fare qualche esempio, le note fanno la loro prima apparizione dopo la scuola dell’obbligo; la ripetizione di classe non esiste; accanto ad alcune discipline obbligatorie, ogni allievo ha un discreto margine di manovra per scegliere altre materie che completano il suo curricolo; le ore settimanali di lezione sono una ventina a 7 anni e arrivano a 30 con l’accesso al liceo. Ma, soprattutto, si reputa che l’esigenza di un forte richiamo ai valori morali e umanistici non debba ridursi a mera enunciazione legislativa, da sacrificare giorno dopo giorno sull’altare della trasmissione di conoscenze e di competenze mirate all’inserimento nel mondo del lavoro: tutte cose che ho già scritto in questa rubrica (24.10.08). Per il resto, checché ne dica Ghisletta, se fossi capo della divisione della scuola del DECS avrei ben altre visioni. Ma sono solo un direttore di scuola comunale.