La «Federazione svizzera Leggere e Scrivere» ha consegnato sabato scorso alla presidente della Confederazione Doris Leuthard un appello, sottoscritto da oltre 20 mila cittadini, che rivendica l’accesso alla lettura e alla scrittura per tutti. La petizione afferma che la lettura e la scrittura sono beni fondamentali, che il fossato tra chi sa e chi non sa non deve più aumentare e che l’accesso alla scrittura dev’essere garantito a ognuno. Sabato scorso era il 10 settembre 2010, mica qualche sabato d’inizio ’800: e allora c’è qualcosa che stride, in un paese come il nostro. Tuttavia sembra che l’analfabetismo di ritorno, cioè l’incapacità di leggere, scrivere o parlare in una lingua corretta e comprensibile, concerna 800 mila adulti, di cui quasi la metà ha frequentato la scuola dell’obbligo nel nostro Paese. Ma siamo sicuri che si tratti solo di analfabetismo di ritorno? Nei primi anni di questo secolo, PISA – l’ormai noto programma di valutazione internazionale degli studenti promosso dall’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico – aveva verificato che quasi il 20% dei quindicenni svizzeri era poco più che analfabeta. Le cause di simile catastrofica situazione sono ovviamente innumerevoli. Ha detto Roger Nordmann, presidente della «Federazione», nel discorso di sabato a Berna: «È ovviamente importante focalizzare l’attenzione sulla scuola obbligatoria, ma ciò non è sufficiente nella misura in cui nel nostro paese ci sono oggi centinaia di migliaia di illetterati adulti, che in nessun caso rientreranno nella scuola obbligatoria».
Un’altra domanda che non si può eludere, però, concerne proprio la scuola, e non solo quella dell’obbligo. Dal 2000 a oggi si sono fatti molti proclami e si sono varate, qua e là, riforme e riformette. Ma, nei fatti, sembrerebbe che a nessuno interessi raggiungere l’obiettivo che al termine della scuola dell’obbligo ognuno sia almeno sufficientemente alfabetizzato e acculturato. Se la lingua madre è la lingua che permette pure di pensare, la sua padronanza è per davvero un diritto primario, peraltro garantito dalla Costituzione. Eppure si conoscono situazioni almeno imbarazzanti, come ad esempio studenti che hanno ottenuto la maturità senza padroneggiare neanche l’ortografia. D’altra parte l’obiettivo del plurilinguismo spinto è continuato anche dopo la pubblicazione del primo rapporto PISA, come se l’analfabetismo dei nostri quindicenni, questa volta di partenza e non di ritorno, fosse un evento di niuna importanza. È una situazione inaccettabile, che dovrebbe far accapponare la pelle. Invece annega nell’indifferenza di chi regge il Paese, forse convinto che per lavar piatti o pulire cessi negli ospedali sia addirittura meglio fare a meno di una testa ben fatta. Chissà se andrà a votare questo quasi un milione di illetterati? E, in caso affermativo, come farà mai a formarsi un’opinione, se non è in grado di leggere un articolo di giornale, di seguire un dibattito televisivo, di scrivere un biglietto augurale o un semplice e-mail in italiano (o in qualsiasi altra lingua)? Il dubbio è che anche la Svizzera abbia i suoi reverendi Terry Jones, populisti e reazionari che possono pescare indisturbati proprio nel mare magnum dell’ignoranza più rozza e volgare per costruire le proprie fortune politiche ed economiche. Anche se negli ultimi decenni il mondo è cambiato repentinamente e si è fatto immensamente più complicato, vi sono dei capisaldi costituzionali che resistono all’usura di ogni tempo. Uno di questi è l’obbligo scolastico definito dall’età. Forse sarebbe il tempo di ripensare questo confine e di definirlo in altri termini. In fondo a quindici anni uno può essere arrivato anche solo alla seconda media. Oppure otterrà la licenza nei giusti termini di età, ma senza aver raggiunto gli obiettivi richiesti. Insomma, bisognerebbe partire da lì, anche per creare delle proposte di formazione continua che non siano solo dei tempi supplementari: che, si sa, finiscono spesso ai rigori.