In Ticino ci saranno ancora muratori?
È con questo brusco assillo che il nostro Ministro dell’educazione, sul “Caffè” del 30 agosto, ha suggellato la fine della lunga e canicolare vacanza estiva ed ha inaugurato il nuovo anno scolastico. Il ministro è preoccupato per l’alto tasso di sedicenni che varca le porte del liceo – il 30%, contro la media nazionale del 20 – e si chiede “se non occorra sostenere maggiormente la via di una formazione professionale ancora troppo spesso (e a torto!, aggiunge) ritenuta di serie B”.
Coi tempi occupazionali che corrono non è certo il caso di stare a filosofare sul valore calcistico dell’uno o dell’altro percorso formativo. In fondo si potrebbe cominciare dalle denominazioni: perché il liceo è scuola ‘media superiore’ mentre, poniamo, l’apprendista deve frequentare un istituto scolastico né medio né superiore, cioè di serie B? E perché per entrare alla cantonale di commercio ci vogliono i corsi attitudinali, mentre per qualsiasi professione dell’industria o dell’artigianato sono sufficienti i corsi di base? Non è forse questa una maniera un po’ malevola per mettere in fila le diverse opportunità di formazione offerte al giovane dopo la scuola media? A ben guardare, in effetti, è la concezione stessa della scuola media che decreta la categoria d’appartenenza dei possibili percorsi formativi successivi, senza peraltro confessare che la cernita – metà alla media superiore e metà no – è socialmente selettiva.
I risultati di quest’anomalia insita nel nostro sistema scolastico sono numerosi, ma tutti altrettanto esecrabili. Succede che troppi bravi ragazzi, in controtendenza rispetto ai loro sogni, siano costretti a far fronte a un apprendistato che è vincolo e non libera scelta. Più tardi potranno diventare ingegneri, grazie al fatto che le scuole professionali e la SUPSI svolgono un eccellente lavoro: rigoroso e avveduto, attento al mondo reale, che muta e si trasforma. Parallelamente altri adolescenti più favoriti dalla sorte imboccheranno la via degli studi superiori e alcuni di loro (tanti? pochi?) andranno un giorno a gonfiare la cerchia di quelli che il Prof. Sandro Rusconi – autorevole docente di biochimica all’Uni di Friborgo – ha definito senza mezzi termini una pericolosa massa di “Fachidioten”, cioè di “sapienti talmente idioti da diventare facilmente manipolabili” (questa l’ho letta su “Scuola Ticinese, il periodico del DECS, mica su “Novella 2000”).
Bisognerebbe quindi cominciare col restituire ai paradigmatici muratori evocati dall’Avv. Gendotti la dignità che meritano, rivoltando come un guanto la scuola obbligatoria, ch’è ormai vecchia e decrepita nelle strutture, nei tempi e nei contenuti. Oggi non è più accettabile – né culturalmente, né economicamente, né tanto meno politicamente – che la scuola media spedisca metà dei suoi allievi in serie A e l’altra in serie B: perché è proprio così che stanno le cose. In altre parole abbiamo bisogno di una scuola in cui l’imparare abbia la chiara supremazia sul prendere (o dare) le belle note, e che sia un concetto faro, chiaro a tutti. Una scuola che metta al primo posto e per tutti il padroneggiare la lingua italiana e le fondamenta della matematica, e che porti tutti gli allievi a conoscere la cultura di questo paese con la sua storia, la sua geografia e soprattutto i suoi principi democratici – senza alcun bisogno di stilare classifiche e di dotare la scuola obbligatoria di colini che filtrano per lo più a casaccio (anche se a farne le spese son sempre i soliti scalognati).
Non si tratta dunque di creare un’unica e indifferenziata serie A, ma di coltivare un vivaio giovanile dove ognuno cresca imparando a giostrare in ogni ruolo con serietà, impegno e competenza, così da capire qual è quello che gli è più confacente: scegliere chi deve giocare in Nazionale non è compito dello Stato, almeno da noi.