Ammetto che il “Giornale del Popolo” non fa parte delle mie letture preferite, soprattutto da quando Giuseppe Zois lo dirige con piglio curiale. Però ogni tanto mi trastullo sfogliandolo, non fosse che per informarmi su quanto passa il convento del cattolicesimo accreditato. È così che sabato scorso sono incappato, in prima pagina, su un editoriale del direttore, che ha attirato immediatamente la mia attenzione con un titolo accattivante: “Cambiare registro culturale”. Toh, mi sono detto: vuoi vedere che la Santa Romana Chiesa è diventata abortista o che il Papa ha deciso di consentire il matrimonio ai preti e alle suore? Insomma, “culturale” è una parola di peso, per cui un lettore – seppur distratto come lo posso essere io – si aspetta stravolgimenti tali da incidere non solo sul popolo dei cattolici, ma sull’intera società civile.
Delusione annunciata, invece, perché il “registro culturale” di cui si parla – un po’ a sproposito, a dire il vero – è di tutt’altra pasta. Commentando i fatti di Erfurt, dove un giovane espulso dalla scuola ha fatto strage dei suoi (ex) insegnanti, Zois se la prende con “l’atmosfera che respiriamo e che avvelena soprattutto le nuove generazioni”: l’atmosfera sarebbe poi quella delle scene di violenza che i ragazzi vedono per anni e anni, dalla televisione ai videogiochi, e che possono trasformare in un batter d’occhio ogni innocuo adolescente in un giustiziere assetato di sangue.
La tesi, ovviamente, non è nuova, né originale. È dai tempi della diffusione massificata della televisione e degli audiovisivi in genere che una parte del mondo se la prende con la televisione, che induce all’ozio e all’indolenza, mentre istilla inesorabilmente il virus della violenza. Fin qui, dunque, nulla di nuovo, nessuno stravolgimento del “registro culturale”. Si trattasse solo del fatto che il direttore del GdP si serve di un caso drammatico, ma del tutto eccezionale, per farne una parabola e buttar lì il suo predicozzo contro la perniciosa vacuità di certi programmi, il suo editoriale non meriterebbe neanche un’energica scrollata di capo, tanto l’assunto è scontato. Ma Zois non si lascia sfuggire l’occasione per sparare sulla scuola, e sintetizzando alla carlona un paio di conferenze pubbliche, sciorina in cinque righe la sua riforma: “La scuola dovrebbe essere sempre di più anche un luogo che educa a diventare cittadini, a controllare i propri impulsi, ad ascoltare le emozioni e non soltanto aule dove si apprendono delle materie di studio, delle nozioni”. E conclude: “Ci vorranno sempre di più delle competenze psicologiche e ciascun docente dovrà anche essere un buon comunicatore”. Giuro che non ho riassunto nulla e che Zois ha scritto proprio e solo queste parole.
Si potrebbe argomentare a lungo sulla contrapposizione tra Educazione e Istruzione, magari per concludere che la Scuola potrebbe far bene entrambe le cose. Numerosi studiosi, un po’ in tutta Europa, sostengono da anni che i sistemi scolastici dovrebbero preoccuparsi dell’educazione alla cittadinanza e alla pace, invece che incenerire gran parte delle loro energie sull’altare della selezione scolastica più bieca. Ma Zois dovrebbe anche sapere che la strada che porta a questa scuola nuova è tutta in salita: non certo per colpa degli insegnanti o della burocrazia scolastica, tenuto conto che, almeno sino ad oggi, è tutto il sistema educativo ad essere costruito all’insegna della concorrenza spietata e dell’edonismo smodato. Il fallito tentativo di riforma del liceo francese, definitivamente affossato un paio d’anni fa dagli alti ufficiali della politica prima ancora che giungesse in Parlamento, la dice lunga sugli ostacoli che costellano la strada di quella scuola nuova di cui si parla da quasi un secolo.
Purtroppo, invece, la struttura stessa della scuola di oggi è ancora intrisa di cattolicesimo, tanta è la somiglianza tra i maestri di oggi, chiusi nelle loro aule alle prese con programmi desueti, e i chierici d’un tempo. E, d’altra parte, anche i cattolici nostrani potrebbero dare il buon esempio ed indicare la via maestra: potrebbero smettere di dar le note agli allievi che si iscrivono alle loro lezioni; potrebbero rinunciare al catechismo a favore dell’ecumenismo; meglio ancora, potrebbero mollare quell’ora settimanale di privilegio e collaborare con l’Associazione per la scuola pubblica per realizzare il progetto di Educazione al fenomeno religioso. A quel punto non saremmo al riparo dai pazzi, ma avremmo compiuto un perentorio passo avanti.