Nei giorni dell’apertura dell’anno scolastico, abbiamo letto anche da noi numerose riflessioni sulla nostra scuola. Oddio, in Ticino il dibattito non è particolarmente infiammato, segno che il sistema scolastico non è così sgangherato e che taluni legami tra scuola e società tengono ancora. Anche perché, nonostante tutto, le tensioni sociali sono molto «svizzere», non confluiscono in violenti episodi di piazza, non si trasformano in scontri fisici tra integrati ed esclusi, non lasciano tracce di polemica infuocata su quotidiani e settimanali. Siamo assai lontani, insomma, dalle consultazioni popolari sulle valutazioni scolastiche – note sì, note no… – o dalle pubbliche controversie sul degrado dell’ortografia, come succede da qualche anno in diversi cantoni romandi, forse influenzati dall’adiacente Francia. Nel nostro caso la contiguità con l’Italia (e il suo mutevole sistema scolastico) è senz’altro un vantaggio.
Eppure sotto sotto, nei diversi interventi, si leggono in filigrana due progetti di scuola che solo apparentemente hanno dei punti in comune. Da una parte c’è chi, con un malinconico occhio a un passato che non c’è più, opterebbe per un modello che privilegia l’istruzione. Accanto al tradizionale programma fondato su «leggere, scrivere e far di conto» sarebbe sufficiente aggiungere quelle quattro carabattole necessarie per stare solidamente a galla in questo mondo spietato: naturalmente qualche lingua straniera e l’informatica, oltre a un elenco di altre “cose” che la scuola dovrebbe e/o potrebbe “fare” (quello di assegnare sempre nuovi compiti alla scuola è ormai diventato uno sport nazionale). Una volta istituito «il programma», toccherà ad allievi e studenti dimostrare le loro capacità. Chi studia riesce. Chi è anche “predisposto” di suo farà molta strada. E gli altri s’arrangino: c’è sempre bisogno di braccia (e a quel punto non sarebbe neanche più necessario far le battaglie politiche a colpi di pecore nere…).
Pur tuttavia c’è anche chi ha in mente un altro modello di scuola: quello basato sull’Educazione, che è un proposito senz’altro più ambizioso – e pertanto difficile – ma che non è necessariamente in antitesi col primo schema citato. Anche una scuola che educa, nel contempo istruisce. Negli anni, assai recenti, dell’anti-nozionismo, era di moda ripetere che «è più importante imparare a imparare, che non ciò che s’impara». Quel manifesto è finito col bambino nello scarico, assieme all’acqua sporca. Ma il primato dell’Educazione e delle proprie capacità di leggere e interpretare il mondo, di un’educazione che trae la sua linfa vitale dalla conoscenza e dalle competenze, resta intatto. Lo diceva già Freinet oltre quarant’anni fa: «Ce n’est pas le jeu qui est naturel à l’enfant, mais le travail». D’altronde don Milani, ai suoi allievi di Barbiana, chiedeva grandi sforzi, consapevole che imparare e crescere non sono giochini – tanto meno giochini televisivi, coi quali è possibile diventar milionari e restare ancorati alla propria barbarie (un po’ come le note scolastiche: siamo davvero convinti che le buone note faranno un buon cittadino?).
Ma qual è, in definitiva, il modello a cui appartiene la scuola ticinese? Un po’ a tutt’e due, si direbbe, a seconda del vento che soffia. Prima che sia troppo tardi, converrebbe però che lo Stato definisse esplicitamente e tangibilmente, e non solo esteriormente, che scuola vuole per il futuro dei suoi cittadini: perché non è limitandosi a distribuire risorse omologate e apparentemente eque alle scuole dell’obbligo, che si risolvono i problemi della riuscita scolastica e dell’orientamento. Come l’insegnante non può far finta che i suoi allievi siano tutti uguali, così lo Stato non può fingere che tutte le sue scuole siano identiche. Proprio per questo motivo occorre un chiaro progetto, fatto di obiettivi e ambizioni culturali, di modalità per accompagnare gli allievi, di educazione alla cittadinanza e all’assunzione di responsabilità. All’attuale modello «liberale» (sulla linea di partenza, pronti, via: e vinca il migliore), dovremmo poter sostituire un modello autenticamente democratico, in perfetta linea con le finalità della nostra scuola (che sino a oggi nessuno ha messo formalmente in discussione).