Scuola: sullo stress dei nostri giovani

I fautori di classifiche di merito non dimentichino le parole di don Milani: “La scuola ha un problema solo, quello degli studenti che perde”

Si parla ancora dello stress dei nostri giovani e giovanissimi. Ha scritto Simonetta Caratti su laRegione: «Attacchi di panico, ansia, autolesionismo, depressione e abuso di psicofarmaci: un malessere silenzioso sta travolgendo sempre più giovani. Ragazzi e ragazze che si sentono disorientati, incapaci di immaginare il proprio futuro. Non sempre sanno dare un nome al dolore che provano, ma quel disagio è reale, profondo, e cresce nell’indifferenza di una società che continua a premiare la performance, l’immagine, la perfezione».

I produttori di stress sono numerosi e variegati, spesso presi sottogamba e a volte neppure distinti con chiarezza. Alcuni potrebbero anche essere controllati. È il caso dei telefonini, sempre più spesso presi di mira e colpevolizzati, quasi fossero dotati di vita propria, un po’ come le mostruose creature protagoniste di Alien, il film cult di Ridley Scott del 1979. Si tenta così di combattere questo presunto nemico con minacce e divieti. I genitori alzano le barricate e invocano il pugno di ferro istituzionale; sono probabilmente gli stessi genitori che gliel’hanno comprato, il mostro, e l’alimentano giorno dopo giorno: cibi costosi, gli abbonamenti.

Il Centro ha lanciato l’iniziativa «Smartphone: a scuola no!», che dovrebbe concludersi in questi giorni. Il successo è certo. Ed è altrettanto certo che ogni divieto rappresenta un fallimento dell’educazione. Il filosofo e pedagogista americano John Dewey, tra i fondatori della scuola attiva, riteneva che l’educazione non può poggiare su imposizioni o proibizioni – soprattutto quando non si sa più che pesci pigliare – ma su esperienze che permettano di sviluppare autonomia e responsabilità.

Tant’è: la stessa Simonetta Caratti ha titolato il suo Commento Pausa digitale anche per gli adulti. E precisa: «Le cause sono molteplici: pressioni scolastiche, genitori stressati o assenti, modelli di successo irraggiungibili». Sui genitori stressati o assenti potremmo disquisire a lungo. È un mantra che dura da anni, che insinua sottilmente una colpevole assenza. Ci saranno anche le assenze colpevoli, ma ho conosciuto tante situazioni in cui le colpe erano altrove, ad esempio in salari inadeguati che obbligano tante coppie a non poter scegliere tra i figli e la gestione finanziaria della famiglia, nella necessità di arrivare a fine mese, di frequente col fiatone. Così, molti genitori sono costretti a lasciare i figli agli asili-nido, poi alla scuola, al doposcuola, alle colonie, ai parenti lontani: non sempre senza costi – a parte l’alto costo di crescere senza una mamma e/o un papà.

La scuola non sempre è in grado di percepire appieno queste situazioni, che sono presenti in maniera significativa. Basterebbe un minimo di empatia, anche da parte degli insegnanti e di chi detta i programmi di studio, le regole di valutazione, i compiti e lo studio a casa, per capire che il problema non è nelle famiglie, ma è radicato nel contesto sociale, economico e culturale di questo sfigato Cantone.

Sì, la scuola è una grande fabbrica di stress. In un articolo su Naufraghi/e di un anno fa (La scuola non è il Golgota) avevo commentato una di quelle valutazioni internazionali che, a volte, contribuiscono a indirizzare le politiche scolastiche dei paesi che vi aderiscono. Quell’anno in cima alle classifiche c’erano Singapore e la Finlandia, due paesi con livelli analoghi ma percorsi assai diversi per raggiungerli. I giovani singaporiani – scrivevo – pagano un prezzo molto alto per un sistema così orientato al rendimento: mancanza di sonno, problemi di attenzione, pensieri confusi, che talvolta sfociano nel peggio. Ogni anno alcuni studenti si tolgono la vita per disperazione.

In Finlandia, invece, le giornate scolastiche sono più brevi che in quasi tutti gli altri Paesi: 4-6 ore al giorno, con una settimana di 5 giorni. Gli alunni dedicano inoltre poco tempo ai compiti a casa: 10-20 minuti al giorno. In questo modo non si penalizzano i bambini privi di supporto familiare e non ne risentono né il sonno né le prestazioni cognitive.

La conclusione, oggi come ieri, è una sola. Come diceva don Lorenzo Milani, «La scuola ha un problema solo, i ragazzi che perde». Eppure si insiste. Qua e là sembra addirittura un accanimento. Quando un insegnante non boccia nessuno si dice che è di manica larga, inattendibile sul piano del valore di ogni allievo/a. Quegli altri incutono terrore, nel loro istituto sono più famosi – che so? – di un centravanti ceduto ai club arabi. È quello che alimenta la statistica dei ragazzi e delle ragazze che la scuola perde per strada, a essere buoni un 10%. Ma una scuola senza i primi della classe e quelli che ci lasciano le penne, secondo taluni che scuola sarebbe?

Scritto per Naufraghi/e di mercoledì 19 novembre 2025

 

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