L’apertura di un nuovo anno scolastico porta con sé una sorta di ritualità che, a ben vedere, non ha più molte ragioni di esistere rispetto a quel lontano passato in cui si era deciso che occorreva tornare sui banchi di scuola con la fine dell’estate. All’epoca, il ritorno a scuola coincideva per molti con la discesa dagli alpi, con il crepuscolo della natura, per certuni con la fine di tre lunghi mesi di spensierata vacanza. Se solo si riflette con un po’ di cura, bisogna convenire che ancora fino a pochi decenni fa l’anno scolastico e l’attività di gran parte della popolazione si svolgevano in una sorta di reciproco rispetto e di assoluta non belligeranza. Oggi non è più così – o, almeno, non è più così per tutti.
Prendiamo quella importante fetta di popolazione che è legata indissolubilmente all’industria turistica: per loro il momento di maggiore impegno è proprio l’estate, e sappiamo che nel XXI secolo non è più il solo tradizionalissimo capofamiglia che, di buon mattino, si reca al lavoro. Al contrario sono molte le coppie di genitori che, durante l’estate, devono arrangiarsi alla bell’e meglio alla ricerca di una soluzione per accudire i figli. Contemporaneamente molti enti pubblici – a volte attraverso gli stessi istituti scolastici che han chiuso i battenti a metà giugno – devono creare dei luoghi in cui raccogliere i figli di chi lavora. Poi, quando gli alberghi e i campeggi avranno chiuso, questi genitori non potranno godersi le vacanze coi figli, che nel frattempo avranno iniziato la scuola.
Durante tutti i fabulous sixties era uso per molte madri raggiungere il mare, la campagna o la montagna col seguito di figli, mentre i padri restavano facilmente a casa e raggiungevano la famiglia per il fine settimana. Indubitabilmente oggi non si può più dire che tra l’istituzione scolastica e la cosiddetta società civile vi siano ancora dei chiari contratti di funzionalità e rispetto reciproco. È come se ci si fosse dimenticati che la scuola non è solo il luogo in cui si “imparano delle cose” e ci si educa, ma anche istituzione di socialità e socializzazione. Insomma: non vi è più un grande accordo tra i due, e la questione dei tempi è solo un aspetto – per molti, neanche il più importante.
Così lunedì prossimo il rito del ritorno sui banchi di scuola sarà celebrato dando i numeri, come ogni anno: tanti allievi, tanti docenti, tanti (speriamo pochi) disoccupati. Sarà una specie di ranz des vaches, senza il vestito bello e i canti e le danze, sostituiti con le crude statistiche, che non servono agli allievi né ai loro insegnanti, ma che danno almeno l’impressione di una grande macchina che si è messa in moto, quasi istintivamente, come una sorta di risveglio dal naturale letargo. Anzi: per troppi sarà il debutto di un altr’anno di sofferenze, in lotta con la media del 4.65, frastornati dall’impalpabile incomprensibilità d’un’espressione algebrica.
A differenza del Capodanno, non è neanche possibile dar voce ad astrologi e veggenti per sentire ciò che ci aspetta: perché dietro l’angolo c’è la consuetudine, null’altro che la consuetudine. Anche nell’anno che verrà si faranno grandi dibattiti, si imposteranno commissioni e gruppi di lavoro, ma i problemi veri resteranno sempre gli stessi – che, anzi!, per certi versi peggiorano anno dopo anno. Che bello sarebbe, un giorno, sentire che nessun allievo della scuola dell’obbligo è stato bocciato, che tutti hanno imparato, che il sostegno pedagogico è stato abolito perché divenuto superfluo… Che meraviglia sarebbe sapere che l’atavica suddivisione della scuola in materie è sparita sul serio: non più un’istruzione esoterica, ma un cammino che studenti e maestri percorrono insieme, accorpando scienza ed umanesimo, imparando il rispetto di sé e degli altri, assimilando pian piano cosa significa vivere e far vivere la democrazia.
Invece neanche lunedì prossimo leggeremo di questi miracoli. Ancora una volta ci dovremo accontentare dei numeri, mentre ci informeranno che i nostri adolescenti impareranno ancor più precocemente l’inglese, navigheranno felici nel web e avranno mense e doposcuola dappertutto: appunto, DOPOscuola.
Ma andrà meglio l’anno prossimo, quando – senza neppure aver bisogno di maghi e stregoni – tante cose cambieranno da così a così, rivoltate come un guanto: avremo modo di riparlarne.
Nel frattempo, buon anno scolastico a tutti.