In questi giorni di agitazione sindacale per protestare contro l’ormai noto taglio salariale del 2%, anch’io sogno uno sciopero generale, benché, come mezzo di pressione, sia ben distante dalla mia cultura politica, così come i cortei e le manifestazione di piazza, coi loro striscioni, gli slogan e tante pecore a far massa. Anzi: sogno addirittura una bella Costituente, che sappia rifondare la nostra scuola da cima a fondo. Bisogna farsene un baffo di quelli che sembrano i capisaldi del restauro della scuola, come ad esempio l’immarcescibile numero di allievi per classe, che da tanti decenni non è mai abbastanza esiguo. Credo che sia più che mai urgente abbattere questo ancien régime che dura da mezzo secolo e che tenta di risolvere i problemi chiudendo gli occhi davanti a un monarca sempre più nudo e impudico, questo re adulato e assediato da associazioni di categoria e sindacati e politici che, davanti a ogni problema grande o piccolo, inventano una leggina, un regolamento, una direttiva: che vanno a ingrassare un corpus di leggi scolastiche desuete, intricate, contraddittorie e in gran parte disattese.
Comincerei col separare quel che compete alla scuola e ai suoi insegnanti, che restano il fulcro attorno al quale ruotano la loro libertà e la capacità di insegnare e educare, da ciò di cui la scuola non può continuare a occuparsi. È sacrosanto che negli ultimi decenni è cresciuta a dismisura la necessità che i maestri si accollino ruoli extra. I docenti devono trasformarsi in assistenti sociali, psicologi, amministratori e surrogati dei genitori. Non va bene. Essi devono conoscere ciò che devono insegnare e, nel contempo, devono padroneggiare le competenze per insegnarle bene al maggior numero possibile di allievi. E basta. Richiesto di spiegare sinteticamente quale fosse il segreto dell’efficace scuola finlandese, un insegnante del paese dei mille laghi affermò: «Teachers teach», i maestri insegnano. Eccolo, il segreto. Ma per poter svolgere bene questa bellissima professione occorrono le condizioni appropriate: in questo mondo sempre più globalizzante e omologante, non è più possibile entrare in classe come stralunati cacciatori di farfalle, in braghe corte e col retino in mano.
E poi cosa insegnare? Ecco un secondo aspetto basilare. Assieme a tutto il proliferare di leggi e leggine, bisogna dare alle fiamme anche i corposi programmi della scuola dell’obbligo, sfrondandoli ed eliminando tutta la legna verde che li appesantisce inutilmente, fornendo gli alibi per le più malevole selezioni, che quasi sempre bastonano i più deboli. Serve una scuola che riesca davvero a educare cittadini che sanno pensare, che padroneggiano la lingua italiana e gli elementi fondamentali della matematica, che sono in grado di esprimersi nelle altre lingue nazionali (sì, d’accordo, mettiamoci pure anche l’inglese). E che hanno gli strumenti – storici, artistici, scientifici, … – per capire il mondo i cui vivono, per farlo proprio e per contribuire in prima persona a migliorarlo, rendendo sempre più salda la democrazia.
A scanso di equivoci, meglio dirlo schiettamente: non vagheggio nessuna restaurazione. Quello sarebbe un incubo. Invece il mio è solo un sogno e, come tutti i sogni, non si realizzerà: perché questo mondo non è una favola, in cui i rospi aspettano solo un bacio per trasformarsi in principi e principesse. Invece, per mia fortuna, sognare è ancora un’occupazione lecita, anarchica e gratuita.