Sulla proposta dei Verdi di abolire i cosiddetti livelli della scuola media il parlamento sta scaldando i motori. Nelle ultime settimane si è letto e ascoltato tanto e di tutto. Il 25 marzo la RSI ha dedicato la rubrica radiofonica «Millevoci» a questo tema, in una sorta di riassunto della problematica e delle posizioni. Condotta da Isabella Visetti, la trasmissione ha ospitato Franco Celio, gran consigliere del PLR, membro della Commissione scolastica, relatore del rapporto di maggioranza (contrario all’abolizione dei livelli); Michele Guerra, gran consigliere della Lega dei ticinesi, presidente della Commissione scolastica e relatore del rapporto di minoranza (ovviamente favorevole); e Emanuele Berger, direttore della Divisione della scuola del DECS.
L’iniziativa dei Verdi sa di sasso nello stagno. Non si propongono soluzioni puntuali. È però vero che lo stesso ministro Manuele Bertoli, all’indomani della presentazione dell’iniziativa, aveva onestamente dichiarato che conveniva discuterne: «Qualcosa che non funziona effettivamente c’è. Il tema quindi non è eludibile e non può essere liquidato con una presa di posizione dipartimentale. La riapertura del dibattito sulla scuola media è essenziale». Ma ora che il Gran consiglio è finalmente chiamato a prendere posizione, si mette in campo l’esercito, citando i soliti esperti non meglio identificati (magari mi sbaglio, ma sto pensando ai soliti culi di pietra) e allestendo una gran sceneggiata, chiedendo tempo in attesa della Riforma 4 e via tergiversando: l’importante è che le riforme facciano il loro corso affinché nulla cambi. Gattopardescamente.
In effetti dietro tutta ’sta difesa dei livelli della scuola media, peraltro circoscritta a due sole discipline, c’è un grande imbroglio, la madre di tutti gli equivoci contrabbandata per verità “scientifica”. A sentire lor signori si sarebbe indotti a credere che basterà trovare la giusta procedura affinché tutto funzioni e la maggior parte degli allievi impari quel che c’è da imparare, vale a dire ciò che è contemplato dal Piano di formazione della scuola media, un documento di ben 163 pagine che stabilisce cosa gli allievi devono (forse) imparare. Già a livello di contenuti c’è molto da discutere. Si tenga altresì conto del fatto che il piano di formazione presente nel sito del DECS è solo un «quadro di riferimento che deve permettere all’autorità politica e all’amministrazione scolastica di stabilire i confini dell’azione dei singoli istituti con l’indicazione dei principali obiettivi e orientamenti a cui tutti devono attenersi per garantire alla scuola la necessaria coesione e una formazione equivalente in tutto il Cantone». I dettagli, invece, sono da un’altra parte e, stando sempre al sito del dipartimento, «Negli ultimi anni l’autonomia dei singoli istituti scolastici è stata valorizzata tenendo conto delle particolarità delle sedi e delle esigenze degli allievi», così che «Ne risulta una ridefinizione dell’equilibrio tra la conduzione centrale, a livello cantonale, e la gestione periferica che chiama i singoli istituti a darsi, con maggiore responsabilità, un proprio profilo»: ergo, è vieppiù difficile capire bene e nel dettaglio cosa si è tenuti a sapere.
Nell’articolo «Di competenze, conoscenze, valutazioni e regole del gioco» ho toccato diversi aspetti che hanno a che fare anche col problema dei livelli. Ho citato, ad esempio, il Teorema di Pitagora, un contenuto classico della scuola media: uno di quegli obiettivi scolastici che possono essere affascinanti per avvicinare i giovani all’esercizio della speculazione intellettuale e allo sviluppo della forma mentis, ma che diventano una micidiale arma impropria nel momento in cui fantasiosi problemi di matematica diventano argomento di test e contribuiscono a decretare la nota scolastica della disciplina. Naturalmente avrei potuto fare tanti altri esempi tratti da pressoché tutte le discipline. Per intenderci, anche Leopardi ha pari dignità di Pitagora, tanto che sembrano almeno perverse certe richieste sulla metrica e le figure metaforiche e poetiche che spesso si incontrano nei famosi test che scandiscono gli anni scolastici. E così via esemplificando.
A dirla tutta: qualcuno crede davvero che un normale allievo di scuola media può acquisire tutte quelle nozioni lì (pardon: competenze!) in quattro anni, con settimane di 33 ore per 36.5 settimane annue, alle quali si aggiungono vagonate di compiti a domicilio, in settimana e assai spesso durante le vacanze scolastiche? Oppure siamo d’accordo che i migliori studenti impareranno solo una parte dell’intero elenco di nozioni e/o competenze e, in quanto primi della classe, sanciranno la norma di riferimento per tutti gli altri?
Insomma: tra valutare e insegnare c’è una bella differenza, ed è inutile fingere che gli insegnanti insegnano e che se gli allievi non imparano è colpa della loro pigrizia o di un quoziente intellettuale sgarrupato. Chissà perché, mi viene in mente una pagina dell’emozionante «Lettera a una professoressa»:
Attualmente lavorate 210 giorni di cui 30 sciupati negli esami e un’altra trentina nei compiti in classe. Restano 150 giorni di scuola. Metà dell’ora la sciupate a interrogare e fa 75 giorni di scuola contro 135 di processo.
Anche senza toccare il vostro contratto di lavoro potreste moltiplicare per tre le ore di scuola.
Durante i compiti in classe lei passava tra i banchi, mi vedeva in difficoltà o sbagliare e non diceva nulla.
Io in quelle condizioni sono anche a casa. Nessuno cui rivolgermi per chilometri intorno. Non un libro di più. Non un telefono.
Ora invece siamo a «scuola». Sono venuto apposta, di lontano. Non c’è la mamma, che ha promesso che starà zitta e poi mi interrompe cento volte. Non c’è il bambino della mia sorella che ha bisogno d’aiuto per i compiti. C’è silenzio, una bella luce, un banco tutto per me.
E lì, ritta a due passi da me, c’è lei. Sa le cose. È pagata per aiutarmi.
E invece perde il tempo a sorvegliarmi come un ladro.
Forse l’abolizione dei livelli – una perfida eredità della scuola media da quando, nel 1974, sostituì scuola maggiore e ginnasio – sarebbe per davvero un salutare sasso nello stagno, che costringerebbe a occuparsi dell’essenzialità dei programmi (pardon, del piano di formazione) e a smetterla di dissipare così tanto tempo nella valutazione. Un tempo scippato all’insegnamento.
Magari tra la «Riforma 4» e l’arrivo dei nuovi piani di formazione per la scuola dell’obbligo (HarmoS) tutto si sistemerà come per magia. Ne sapremo di più quando attorno a questi due Carneade si farà un po’ di chiarezza.