Sul Corriere del Ticino di martedì 3 febbraio Alberto Siccardi, promotore e agit-prop dell’iniziativa popolare «Educhiamo i giovani alla cittadinanza», se la prende per l’ennesima volta con il Governo, il DECS e il Gran Consiglio per le lungaggini che caratterizzano la discussione sull’iniziativa che, nella primavera del 2013, aveva raccolto in poco tempo oltre 10 mila firme. La sua presa di posizione, pubblicata nella rubrica L’Opinione col titolo «La civica nelle scuole: ostruzionismo statale», è comprensibile e legittima, almeno per certi versi; anche se verrebbe da dire che una persona civicamente educata e istruita dovrebbe conoscere i tempi della democrazia e sapere che, rispetto alle dittature e alle libere imprese, i tempi della democrazia diretta sono particolari: et pour cause.
Non so se corrisponde al vero che lo Stato stia facendo ostruzionismo. Forse c’è un po’ di melina, perché i giocatori in possesso di palla rallentano il gioco con passaggi leziosi. Sicuramente la posizione del Dipartimento dell’Educazione è poco chiara, dal momento che sta cercando una specie di quadratura del cerchio, nel tentativo di risolvere contemporaneamente le richieste dell’iniziativa sull’educazione civica e le istanze sull’educazione religiosa, nelle sue diverse sfaccettature.
Non condivido però il tono di Siccardi, a cavallo tra il vittimismo della minoranza – che poi minoranza non è – e certi modi da Sessantotto al contrario. Scrive ad esempio che certe frange della sinistra hanno accusato i promotori dell’iniziativa di essere fascisti e retrogradi. In tutti questi mesi non ho avvertito questo clima un po’ datato – anche se, bisogna pur dirlo, tra i promotori dell’iniziativa si incontrano diverse persone che del dileggio e dell’insulto a chi la pensa in altro modo hanno dettato e imposto un nuovo stile del dibattito politico. Non è il caso di Alberto Siccardi, col quale ho avuto modo più volte di discutere della “sua” iniziativa in modo civile e garbato: ecco perché questa sua Opinione sul Corriere mi suona un po’ come una caduta di stile.
Detto questo, chi mi segue in questo sito e chi legge la mia rubrica sul Corriere del Ticino sa che non condivido né le proposte dell’iniziativa di Siccardi & co., né i goffi tentativi del DECS e dei suoi tentacoli politici, sindacali e lobbistici di (non) risolvere i veri problemi che tormentano la scuola in rapporto alle sue finalità fondatrici.
È sufficiente inserire la parola cittadinanza nel riquadro apposito per trovare tante mie opinioni sul tema. Malauguratamente il dibattito pubblico è tutto da altre parti, apparentemente a sinistra e a destra, col rischio che gli interessi di partito o di area politica travalichino il nocciolo del discorso: ch’è poi quel che dovrebbe contare di più. E si badi bene che io non mi sento al centro.
Non scrivo ’ste cose per autocommiserazione o paranoia. Ma educare alla cittadinanza non è una questione che si può risolvere col bilancino del farmacista o con trattative da ragioniere. Non è, insomma, una questione di griglie orarie, di note sul libretto o di sciocche definizioni. Per quel che ho letto e capito, l’iniziativa «Educhiamo i giovani alla cittadinanza» pretende in sostanza che la scuola istruisca i giovani, così che conoscano, in teoria e a memoria, alcuni principi che fondano il nostro Paese: più “cose” conosci a memoria, più alta sarà la nota sul libretto, che farà media con le note delle altre discipline.
È una questione di chiarezza, perché l’istruzione è una cosa, l’educazione un’altra. Le parole non sono un optional, bisognerebbe usarle nel loro significato, a meno che non si considerino sinonimi l’istruzione e l’educazione, che per me restano comunque cose diverse, checché ne dicano e ne pensino i poteri che decidono.
Vi sono persone molto istruite, ma civicamente maleducate. Mi è venuto in mente un breve passaggio di un romanzo che sto leggendo in questi giorni, «Il male non dimentica», di Roberto Costantini (2014, Marsilio): «Vorrei parlare un po’, ma mio fratello è a Londra per studiare l’inglese e fare amicizie utili. Per imparare a rubare legalmente, come sostiene» sua madre (pag. 88).
E vi sono persone poco istruite, ma talmente educate che non raccontano frottole quando compilano la dichiarazione per le imposte, fanno cortesemente la coda allo sportello, rispettano lo Stato e i suoi rappresentanti anche quando non sono d’accordo, dànno dei lei sia al consigliere di stato che al cameriere che porta in tavola la pizza; leggono i giornali e ascoltano i dibattiti televisivi, ma non pendono dalle labbra di nessuno; pagano i contributi sociali e stanno alla larga da mazzette e inciuci col potere. E non rubano legalmente.
È quasi logico che, in questi tempi di politica da stadio e di posizioni in bianco e nero, il dibattito sull’educazione alla cittadinanza si riduca all’ennesima (inutile) discussione tra posizioni inconciliabili: inconciliabili perché, tutto sommato, da una parte e dell’altra si evita di andare al centro del problema, che è più complesso di come si tenta di sdoganarlo nell’arengo politico.
Non è un comportamento utile alla democrazia. Dato che non ho la sfera magica, non so come andrà a finire. Ma se nel frattempo non cambierà qualcosa di sostanziale nel dibattito, non potrà andare che male. Dovesse vincere l’iniziativa dei 10 mila e passa sottoscrittori non cambierebbe un ette, si svilirebbe l’insegnamento della storia, già ridotto ai minimi termini, e si nutrirebbero illusioni, funeste quasi per definizione. Dovesse prevalere il pensiero del DECS, invece, come sopra.
Credo che l’espressione Educare alla cittadinanza possa essere riassunta in un’unica parola: Educare. Un cittadino educato sa che non ha ragione che grida più forte, ma chi è in grado di dimostrare meglio. Appartenere alla maggioranza non significa ancora avere ragione: la democrazia, quella vera, è un’altra cosa.