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Le donne, i buoi e quei pregiudizi così difficili da debellare

Mai come oggi termini come razza, razzista e razzismo sono diventati così frequenti nei dibattiti e nelle dichiarazioni (non solo) dei politici: dai grandi quotidiani giù giù fino alle moderne osterie – che in questi anni sono diventate i famigerati social, senza scordare l’esemplarità dei commenti sconnessi e fuori controllo che infestano un gran numero di portali e di edizioni online dei grandi media. Ma è difficile trovare qualcuno che acconsenta a definirsi razzista. Nessuno lo è, razzisti sono gli altri.

L’ultimo caso è rappresentato da quel candidato della Lega che ambisce a governare la regione Lombardia. Così titolava HuffingtonPost Italia: «Troppi migranti, razza bianca a rischio». Poi corregge il tiro: «È stato un lapsus». Ma, per difendersi, aveva citato nientepopodimeno che la Costituzione italiana. Ancora l’HuffingtonPost: Attilio Fontana colpisce ancora. Nonostante consideri “inopportune” le sue parole di ieri sulla “razza bianca a rischio” per l’invasione dei migranti, il candidato del centrodestra in Lombardia insiste sul tema. “Dovrebbe anche cambiare la Costituzione perché è la prima a dire che esistono le razze”. Il riferimento è all’articolo 3 della Costituzione italiana: Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.

Le style est l’homme même, avrebbe chiosato Georges-Louis Leclerc de Buffon, il naturalista del XVIII secolo che ha influenzato gli evoluzionisti del secolo successivo. Insomma, uno che di razze se ne intendeva.

Nel ’72 Giorgio Gaber cantava: In Virginia il signor Brown era l’uomo più antirazzista. Un giorno sua figlia sposò un uomo di colore. Lui disse «Bene!», ma non era di buon umore. Il ritornello, tra una situazione e l’altra, fa così: Un’idea, un concetto, un’idea / finché resta un’idea / è soltanto un’astrazione. / Se potessi mangiare un’idea / avrei fatto la mia rivoluzione. E c’è pure una premessa: È cambiarsi davvero, è cambiarsi di dentro, che è un’altra cosa. [Giorgio Gaber, “Un’idea”, dall’album «Dialogo tra un impegnato e un non so», 1972].

 È difficile far cambiare opinione a un adulto che s’è fatto un’idea zootecnica della specie Homo sapiens, quand’è chiaro che non esistono razze umane. Da qualche parte qualcosa non ha funzionato a dovere nell’educazione di tante persone, che son venute su così, con le loro certezze, come quelli che credono che la terra è piatta, che i castelli sono infestati dai fantasmi, che l’astrologia è una scienza e che i regali di Natale li porta Gesù bambino; e prima i nostri, che è una versione aggiornata e allargata del vecchio donne e buoi dei paesi tuoi.

Se, come detto, è quasi impossibile far cambiare certe idee a un adulto, bisognerebbe invece darsi da fare per l’educazione dei cittadini di domani – mi riferisco, per intenderci, ai ragazzini che frequentano la scuola dell’obbligo, ma anche a studenti e apprendisti delle scuole medio-superiori e professionali. Oggi non sono più sufficienti la lettura di «storie esemplari» o i pistolotti moraleggianti che fanno il verso, attualizzandolo, al Cuore deamicisiano. I predicozzi, magari tolti dal fondo dei cassetti quando succede “qualcosa” che va oltre la ragazzata, mettono in pace le coscienze del sistema scolastico, ma servono a poco. Sono strategie che forse potevano funzionare per educare i figli del secondo dopoguerra, che crescevano in una società per molti versi meno caleidoscopica di quelle venute dopo, e che, soprattutto, sentiva da più parti le storie vere, molto vicine nel tempo, del nazismo e del fascismo, di Hitler e di Mussolini, dell’olocausto e delle bombe atomiche sganciate sul Giappone.

Invece è importante che il discorso prenda le mosse da basi scientifiche, ad esempio spiegando che la specie Homo sapiens fa parte della famiglia degli Hominidae, assieme agli oranghi, ai gorilla, agli scimpanzé e agli australopitechi – quest’ultimi ormai estinti da un po’.

Oggi la divulgazione scientifica ha assunto un’enorme importanza formativa e sarebbe utile che entrasse sempre più nella scuola. Gli esempi sono numerosi. Dato che sono partito dal discorso sul razzismo ho scelto di segnalare due lavori che hanno una base scientifica molto complessa, ma che, sul piano della divulgazione, offrono degli spunti che dovrebbero toccare da vicino la nostra sensibilità.

Ellaha, giovane curda. Immagine da YouTube, Let’s Open Our World

C’è un bell’esperimento, riassunto in un emozionante filmato presente in YouTube, cinque minuti avvincenti. È stato chiesto a 67 giovani provenienti da tutto il mondo di fare un test del DNA. Hanno scoperto di avere molto più in comune con altre nazionalità di quanto avrebbero mai pensato. In quei cinque minuti di questa sintesi ci sono momenti divertenti e altri emozionanti.

Ad esempio, seguiamo il dialogo dei due ricercatori con Jay, un giovane inglese.

JAY. Sono fiero di essere inglese, la mia famiglia ha servito nell’esercito, abbiamo difeso questo paese e siamo stati in guerra. Sì, penso che il mio sia il miglior paese del mondo, in tutta onestà. Quindi so di essere inglese. I miei genitori e i miei nonni mi hanno detto che sono inglese, perciò non vedo bene altre opzioni, devo per forza essere inglese.

RICERCATORE. Secondo lei, che cosa la rende inglese?

Il fatto di essere nato in Inghilterra. Il fatto che i miei genitori siano nati in Inghilterra. Il fatto che mia nonna e mio nonno siano nati in Inghilterra. [Mostra una foto dei nonni.] Entrambi sono stati nell’esercito, come dicevo, tutti e due in marina, la Royal Navy. Io in mezzo, con mio fratello maggiore a sinistra e mio fratello minore a destra.

Pensi ad altri paesi e ad altre nazionalità del mondo; ce ne sono alcune con cui pensa di andare d’accordo o che non le piacciono molto?

La Germania, sì, non mi piacciono i tedeschi.

Perché mai?

Eh, probabilmente deriva dai miei genitori e dai mei nonni, probabilmente risale alla guerra.

Che ne direbbe di intraprendere un viaggio basato sul DNA?

Che cosa potreste dirmi che non so già?

Sa come funziona il DNA? Ne riceviamo metà dalla mamma e metà dal papà, il 50% da ciascuno di loro, e loro ricevono il 50% dai loro genitori, e così via indietro nel tempo. E tutti quei frammenti dei nostri antenati fanno di noi la persona che siamo.

Dovrebbe sputare in questo tubo, lo riempia di saliva fino alla lineetta nera. Bene, la sua storia è in quel tubo. Che cosa ci dirà?

Dirà che sono inglese, come vi ho già detto.

Due settimane dopo i due ricercatori incontrano il gruppo di giovani che si è prestato per questo esame. Ogni giovane riceve un grafico con la sua stima etnica: provenienza geografica e percentuale.

Jay, può scendere e raggiungerci? È pronto?

Non proprio, ma ormai sono qui, perciò…

Gli viene consegnata la busta coi suoi risultati.

(Sorride e sospira). Irlanda 55%, Gran Bretagna 30%, 5% tedesco e 5% turco… Ci avete infilato anche la Turchia solo per farmi arrabbiare? Germania… Oddio… Germania. Vi avevo detto che non avrei voluto essere tedesco o turco e ci sono entrambi, quindi… È un po’ uno shock scoprire da quanti paesi provengo.

Non è solo Jay dall’Inghilterra, vero?

Sì, sono Jay da tutti i paesi, a quanto pare.

Immagine da YouTube, Let’s Open Our World

Allora, le piacerebbe visitare tutti questi posti?

Turchia e Germania? Sì.

Buon viaggio.

Per chi ha tempo è voglia, ci sono i colloqui personali con Ellaha, giovane curda, Karen del Burundi, Carlos di Cuba, la francese Aurélie, Yanina dalla Russia e altri.


Per restare al tema delle razze e del razzismo, segnalo, tra i tanti, la ricerca che sta conducendo la prof. Anna-Sapfo Malaspinas, attualmente docente all’Università di Losanna. Specialista in biologia computazionale ed evolutiva, è interessata alla genetica delle popolazioni, in particolare partendo dall’analisi del DNA di popolazioni scomparse.

HORIZONS, periodico di divulgazione della ricerca scientifica legato al Fondo nazionale svizzero della ricerca scientifica e all’Accademia svizzera delle scienze, ha pubblicato in dicembre un servizio sui recenti lavori della giovane docente e ricercatrice: Chasseuse de génome aux antipodes – La généticienne qui fait parler l’ADN des peuples disparus.

Tra l’altro la rivista rimanda a un progetto didattico concreto, scaturito dai lavori della prof. Malaspinas, una pièce teatrale per grandi e piccoli – Génome Odyssée – Un viaggio teatrale al cuore della scienza e delle tradizioni aborigene – che è stato presentato al museo etnografico di Ginevra nell’autunno scorso e che resterà al Musée de l’homme di Parigi fino al 27 gennaio prossimo.


Sono solo due esempi tra i tanti. Oggi la divulgazione scientifica è praticata da specialisti di grande bravura e sa porgere temi complessi con grande fascino. Attraverso il ruolo insostituibile dei maestri, è importante trasmettere queste passioni per superare ogni forma di pensiero magico: perché la conoscenza è una cosa seria e dev’essere possibile, nella scuola, occuparsi di problemi complessi per il solo piacere di conoscere e di accrescere il proprio bagaglio culturale.

Il tempo delle opinioni importanti, quelle che guidano il cittadino quando deve prendere delle decisioni o esprimere dei pareri, verrà più in là. Ma sarebbe conveniente imparare sin dall’età più tenera che le verità scientifiche non sono convinzioni personali, magari dei semplici pregiudizi, o peggio il risultato di una votazione. La scienza non è una mera questione di maggioranze e minoranze – ne sanno qualcosa quegli scienziati, che un tempo erano pure filosofi, incappati nelle ire dei poteri dell’epoca, perché le loro scoperte mettevano in dubbio le credenze dei contemporanei. Insomma, la terra non solo non è piatta, ma addirittura gira attorno al sole, e non il contrario.

Don Giovanni: seduttore, ingannatore o solo un pirla?

Anche quest’anno abbiamo archiviato Piazzaparola (v. Sulle tracce di Don Giovanni con gli allievi di scuola elementare). Erano quasi 500 gli allievi che, con noi e coi nostri artisti, si sono lanciati alla ricerca di Don Giovanni quel giovedì 14 settembre. Dire che quel giorno pioveva ormai non fa più notizia, tanto sta diventando un’abitudine (v. il resoconto dell’edizione 2016); peccato, però, aver dovuto rinunciare alle piazze, che offrono un clima più spensierato e allegro, esaltando le storie, i loro interpreti e il pubblico stesso.

Nel “Dom Juan ou le festin de pierre” di Molière (1665), Sganarelle, servo di Dom Juan, fu interpretato dallo stesso Molière. Nell’Ouverture del nostro Piazzaparola, Emmanuel Pouilly è nel contempo Molière, Sganarelle e Leporello, il servo di Don Giovanni nella versione di Lorenzo Da Ponte e Wolfgang Amadeus Mozart.

In ogni modo, com’era peraltro prevedibile, di Don Giovanni son rimaste solo le tracce delle sue malefatte. E sì che, al cospetto della statua del Commendatore, aveva mostrato tutto il suo coraggio tracotante, accettando l’invito a cena. Ma sul più bello, forse terrorizzato dalla determinazione furiosa di Donna Anna, Donna Elvira e Zerlina, che neanche il fido Leporello riuscì a contenere, non s’è fatto vivo ed è forse finito all’inferno, passando da dietro le quinte.

“Lo vidi entrare avvolto in un mantello”. Sara Giulivi è Donna Anna.

Ma chi è, dunque, Don Giovanni? Sveva Casati Modignani, una scrittrice che se ne dovrebbe intendere, così si è espressa ai microfoni della RSI, sollecitata dalla giornalista: «Lei li chiama dongiovanni. Io li chiamo dei pirla. È proprio… – non so come dire – ci sono, ma sono degli esseri abbastanza infelici, alla fine gente che si ritrova poi sola, senza niente. Quando tu ami una persona, poi tutta la tua personalità, tutto il tuo vissuto viene messo in gioco in questo rapporto. E quando tu trovi la stessa sincerità, lo stesso impegno dall’altra parte, anche nei momenti più drammatici, più difficili, non può che scaturire sempre qualcosa di positivo» (Turné del 9 settembre).

Pur senza incontrarlo direttamente, ecco come l’hanno definito gli allievi di una 5ª elementare: elegante, furbo, imbroglione, cafone, vivace, irrispettoso, bugiardo, ma anche divertente, simpatico (ma non lo vorrei come papà, né come fratello).

Georgiana Bordeianu (viola) e Deolinda Giovanettina (violino) hanno accompagnato il racconto di Donna Anna.

In un’altra classe i pareri divergono:

  • Secondo me l’incontro con Don Giovanni è stato bello perché non ho mai visto un uomo con così tante fidanzate! (Mike)
  • Mi è piaciuto molto l’incontro con Don Giovanni, perché era un eroe e aveva tantissime fidanzate! È stato bello! (Leonardo)
  • Questa giornata è stata interessante. I costumi li ho trovati originali e belli, le loro storie sono state interessanti e carine. Mi è piaciuto molto, non vedo l’ora di ritornarci! (Michele)
  • L’incontro con Don Giovanni è stato interessante e anche utile, perché non pensavo che un uomo potesse prendersi gioco di così tante donne. Non immaginavo che esistesse un ingannatore così “provetto”! (Evelina)
  • La giornata organizzata da Piazzaparola e dedicata a Don Giovanni è stata molto interessante, perché ho potuto viaggiare in un’era diversa e ho potuto conoscere Don Giovanni attraverso Donna Anna, Donna Elvira e la contadina Zerlina. Ho notato che erano tutte furiose con Don Giovanni, perché sono state ingannate, truffate e ipnotizzate dal suo fascino. È anche per questo che, ancora adesso, si parla di lui. Io lo trovo furbo e anche un eroe. (Sofia)
  • Secondo me la giornata al Teatro di Locarno dedicata a Don Giovanni è stata molto bella, istruttiva e affascinante. Non immaginavo che quest’uomo avesse così tante ragazze! Era però prevedibile che prima o poi finisse nei guai! Personalmente ho imparato che nella vita puoi avere soltanto una donna. (Mattia)
  • Secondo me questa giornata è stata molto bella, tranne alcune scene, che per me sono state un po’ noiose: penso a quella di donna Elvira. (Enea)
“Non bisogna mai credere ai signori”. Jasmin Mattei è Zerlina, con Mirjana Tadic alla fisarmonica (e Luca Botturi, che doveva solo voltare le pagine dello spartito, e si è invece trovato, senza preavviso, a incarnare Masetto: grazie, Luca).
  • Per me la giornata dedicata a Don Giovanni è stata fantastica, poiché il tema mi ha affascinato particolarmente! Don Giovanni è un personaggio davvero strabiliante. Quando la mia maestra, in classe, ci ha parlato di lui ho pensato WOW!, ma mi sono pure chiesto come mai e soprattutto come facesse a ingannare tutte quelle donne! (Simone)
  • Questa giornata mi è piaciuta molto perché gli attori sono stati bravissimi! (Alessandro)
  • Per me l’incontro con Don Giovanni è stato bellissimo e divertente. Ho imparato tante cose nuove. (Sofiya)
  • La giornata al Teatro di Locarno è stata particolarmente interessante, poiché ho conosciuto un personaggio davvero speciale! Mi ha colpito la scena in cui Donna Anna ha raccontato il duello tra Don Giovanni e il padre di Anna! (Lucrezia)
  • Personalmente l’incontro con don Giovanni è stato davvero speciale, poiché non avrei mai pensato che un solo uomo potesse avere così tante fidanzate! Questo aspetto è veramente eroico! Pensando alla grande organizzazione, mi ha colpito la scena in cui Donna Elvira ha cantato la sua melodia quasi lirica. Mi sono piaciuti i costumi di Zerlina, che erano veramente belli! (Rahel)
  • L’incontro con Don Giovanni è stato divertente e istruttivo, perché non pensavo che un tizio potesse ingannare così tante donne. (Aldo)
  • Secondo me l’incontro con Don Giovanni è stato molto interessante. Anche se era un grande traditore, mi è piaciuto ugualmente. Se io fossi una donna gli starei alla larga! (Leo)
“Mare in burrasca, terra in tempesta, se non mi ami ti spacco la testa”. Cristina Zamboni è Donna Elvira.

In un’altra classe la conversazione del giorno dopo ha tentato di svelare qualche mistero:

  • Dov’era Don Giovanni? Forse non si voleva far vedere perché si vergognava. | Forse non voleva fare duelli con la spada. | Io volevo vedere un duello, magari Don Giovanni moriva. | Secondo me era a parlare con altre donne. | Era un’ombra e non si faceva vedere. | Peccato, avrei voluto vederlo. | Chissà come era vestito? | Io voglio diventare come Don Giovanni e amare tutte.
  • Le donne. Erano molto arrabbiate, volevano uccidere Don Giovanni, ma non lo trovavano. | Però secondo me gli volevano ancora bene… si capiva… | Non era facile capire quello che dicevano, ma sembravano tristi. | Forse volevano ancora parlare con Don Giovanni.

Gli allievi di una 4ª elementare di Minusio sono unanimi nel deprecare Don Giovanni, giudicato non certo un eroe, ma un falso eroe.

  • Prima di tutto ha ucciso, e non mi sembra tanto una cosa da eroe. Poi è un falso galantuomo. (Manuel)
  • Da una parte fa il gentiluomo, il cafone, e dall’altra distrugge l’amore. Lui queste cose le faceva apposta, perché sapeva di avere un bell’aspetto e quindi piaceva alle donne. Purtroppo però era cattivo e perfido nel cuore. (Thea)
  • Non rispetta le regole, le leggi e la religione. Fa quello che gli pare. È un uomo egoista, che manipola la gente e soprattutto le donne. Infatti questo seduttore tradisce le donne, promettendo loro il matrimonio per poi abbandonarle. (Eliot)
  • Lui agisce seguendo l’istinto, inganna le donne, è prepotente, commette molti peccati, non vuole rinunciare a niente, sperperando tutto il suo denaro. Non si pente mai, difende fino alla morte il suo spirito libero e libertino. Don Giovanni è una persona molto irrequieta, che non si sofferma su niente. (John)
  • Una notte entrò nella casa di Donna Anna, sapendo di ingannarla. Lei reagì gridando. Suo padre, il Commendatore, arrivò e quando vide Don Giovanni volle difendere sua figlia e lo sfidò a duello, ma morì nel duello. (Cesare)
Il soprano Elena Revelant, accompagnata al pianoforte da Giovanni Galfetti, ha completato il racconto di Donna Elvira.
  • Faceva innamorare le donne e le sposava, ma poi le abbandonava e andava in cerca di un’altra donna da ingannare e così via. Don Giovanni faceva credere che lui era un gentiluomo, ma in realtà era un uomo cattivo, perché si divertiva a imbrogliare le donne con delle false promesse. (Mattia)
  • Don Giovanni colleziona conquiste femminili, come e fossero le figurine dell’album dei campionati di calcio. Non credo che se una ragazza o una signora piange per lui, a lui importi veramente. Un eroe è una persona che rinuncia a qualcosa per sé stesso e pensa prima al bene degli altri. Gli eroi non fanno i duelli con la spada, ma cercano di creare pace e bene per tutti quanti. Un eroe di tanto tempo fa è San Francesco d’Assisi, che era nato in una famiglia ricca e ha regalato tutto ai poveri del suo villaggio. (Noelle)
  • Secondo me è sia un egoista che un ingannatore. (Alessia)

Almeno su un punto Don Giovanni ha mantenuto la promessa: «Chi son io tu non saprai». Resta l’interrogativo, per grandi e piccini: un grande seduttore, il più grande ingannatore della terra o, più semplicemente, un falso eroe o un celebre pirla?

Le foto sono di Luca Ramelli/SUPSI.


Per chi fosse interessato alla manifestazione maggiore, quella svoltasi a Lugano per i grandi, a inizio dicembre, rimando al sito ufficiale (http://www.piazzaparola.ch/) o, meglio ancora, alla ricca e affollata rassegna stampa.


 

 

 

 

 

 

 

Sulle tracce di Don Giovanni con gli allievi di scuola elementare

“Chi son io tu non saprai”: inseguendo l’ombra di Don Giovanni, il più grande ingannatore della terra, a cura di Silvia Demartini e Adolfo Tomasini, con le scelte musicali di Giovanni Galfetti.

[Comunicato stampa della SUPSI]

Giovedì 14 settembre 2017 sarà una giornata speciale per oltre 500 allievi delle ultime classi delle scuole elementari del Locarnese, una giornata in cui avranno occasione di spostarsi in vari luoghi della città (Teatro di Locarno, Piazza Grande, Corte interna del castello visconteo, Chiesa Nuova) sulle orme di un personaggio immortale, un autentico mito, narrato e musicato per secoli dai più grandi autori: Don Giovanni. Ciò accadrà in seno all’evento letterario luganese Piazzaparola (promosso dalla “Società Dante Alighieri” di Lugano, da quest’anno diretta da Yvonne Pesenti Salazar), che, da alcuni anni a questa parte, vanta a Locarno una filiazione di tutto riguardo: un evento d’eccezione dedicato agli allievi e ai loro insegnanti, promosso e sostenuto dal Dipartimento formazione e apprendimento della SUPSI.

Al pubblico verrà proposta, come nelle edizioni precedenti, un’immersione nella narrazione e nella musica (insomma nella cultura più profonda e completa), alla scoperta, questa volta, di un personaggio controverso e misterioso. Questo non verrà banalmente reso “da ragazzi”, ma realizzato “per ragazzi”, cioè pensando alla loro sensibilità, ma, allo stesso tempo, credendo nella curiosità e nello spirito critico dei giovanissimi destinatari, ai quali la letteratura ha molto da insegnare sul mondo di oggi.

Una sfida accattivante, lo si capisce subito. Il titolo della giornata è Inseguendo l’ombra di Don Giovanni, il più grande ingannatore della terra, e il programma (curato da Silvia Demartini e Adolfo Tomasini, con le scelte musicali di Giovanni Galfetti), consiste nel racconto delle avventure del celebre personaggio da parte di tre voci femminili. I loro racconti offriranno un punto di vista moderno e inedito, unendo alla più nota versione di Mozart e Da Ponte elementi precedenti e successivi. Un notevole numero di artisti di qualità, tra cui i musicisti Georgiana Bordeianu, Giovanni Galfetti, Deolinda Giovanettina, Elena Revelant e Mirjana Tadic, e gli attori Sara Giulivi, Jasmin Mattei, Emmanuel Pouilly e Cristina Zamboni, daranno vita alla manifestazione: per conoscerli e apprezzarli, non resta che aggirarsi per Locarno dalle 9.30 alle 15.00 del 14 settembre, e lasciarsi trasportare dalle letture e dalle note. Tutte i luoghi (Teatro, Piazza, Castello, Chiesa Nuova) sono aperti al pubblico. Si ringraziano gli sponsor Città di Locarno e SYZ Banque privée.

Qui è possibile scaricare il programma dettagliato della giornata.

Un’immagine della prima edizione locarnese (2013), dedicata a Giovanni Boccaccio: «Intendo di raccontare cento novelle nel pistelenzioso tempo»

Le mediocrazia e la rivelazione che la scienza non è democratica

Nei giorni scorsi ho ricevuto due segnalazioni che mi sono sembrate molto interessanti, benché a un primo colpo d’occhio non si capisce cosa c’entrino la prima con la seconda. E, soprattutto, cosa possano avere a che fare con l’educazione.

Un amico e collega che stimo molto, sebbene di tanto in tanto ci si accapigli senza censure (ad esempio sulla storia del numero di allievi per classe), mi ha messo sotto gli occhi un’intervista pubblicata a fine maggio dal quotidiano La Stampa. Titolo: Mediocri di tutto il mondo vi siete uniti. E avete vinto. (Qualora il link non funzionasse, si può recuperare l’intervista qui).

L’intervistato è il filosofo canadese Alain Deneault, autore del saggio La mediocrazia. Naturalmente mi rendo conto della mia stessa mediocrità, nel momento in cui segnalo un articolo che gira attorno a un libro che non ho letto e di cui, fino a poche ore fa, non conoscevo l’esistenza. Forse lo stimolo che ne ho ricavato, e che mi porterà a leggere il volume con la necessaria curiosità, stuzzicherà anche la passione di qualche mio lettore.

Johannes von Kepler

Più o meno nelle stesse ore mio figlio mi ha pressoché imposto di recuperare e ascoltare con attenzione la puntata dell’11 giugno di In ½ ora, l’appuntamento settimanale di Rai 3 condotto da Lucia Annunziata, ospiti quel giorno Piero Angela, il più noto divulgatore scientifico italiano, e Roberto Burioni, medico, ricercatore e professore ordinario di microbiologia e virologia. Si è parlato di Scienza e opinione pubblica, una discussione di grande attualità, trattata con chiarezza e rigore: come si confà a una discussione su temi politici senza la protervia dei politici, anche se i temi erano immensi, come il riscaldamento del pianeta o i vaccini: ma lo si è fatto senza alzare la voce, anche quando la conduttrice ha messo sul tavolo argomenti non propriamente accomodanti.

Anche in questo caso invito gli amici che mi seguono a prendersi la mezz’ora necessaria per seguire l’emissione, che è ricca di spunti interessanti e, per tanti versi, “pedagogici”. Ad esempio che la velocità della luce non si decide per alzata di mano, a maggioranza, perché la scienza non è democratica.

Oppure s’incappa nella constatazione che nella scuola non si insegna la scienza, ma si insegnano le materie scientifiche – la biologia, la matematica, la fisica… ma non si insegna il metodo della scienza, l’etica [della scienza].

Vuoi vedere che la diffusione ormai quasi pandemica della mediocrazia ha a che fare con colpevoli strafalcioni educativi come questo?

Pinocchio e il fascino discreto della lettura

Non so se oggi sia ancora di moda l’esortazione di tanti insegnanti: «Bisogna leggere tanto per imparare a scrivere bene». Ho fatto l’insegnante e poi il direttore di scuola. Quelle sollecitazioni hanno un loro senso, è indubbio; ma contengono un che di moraleggiante, come uno che non sa bene a che santo votarsi e cerca una scusa per trarsi d’impaccio. La correlazione non è automatica: se il tuo insegnante, ad esempio, non è un lettore assiduo e magari – rara avis, ma può succedere – non ha particolari doti didattiche, la lettura come esercizio fine a sé stesso, un compito scolastico come tanti, diventa una (s)tortura semplicemente dannosa.

In buona sostanza è sempre meglio riflettere sul significato di quel che si dice, sennò si rischia di sparare precetti a vanvera, un po’ come quando chiedi Come va? all’incontrato per caso: non ti interessa neanche lontanamente la risposta, e ti meriteresti ogni volta un lungo catalogo di malanni e malesorti, da ascoltare pazientemente. Annuendo.

Non è il momento, proprio quando ci stiamo avvicinando al termine di questo strano anno scolastico, di imboccare lunghe dissertazioni pedagogico-linguistiche. La questione mi è venuta in mente incrociando un po’ per caso (ma proprio solo un po’) l’attività di due professionisti che stimo. Sul Corriere delle Sera del 17 maggio Paolo Di Stefano ha scritto: «Nessuno pensi di liberarsi di Pinocchio, come in fondo ha fatto Carlo Collodi, il quale, dopo aver creato il burattino di legno indomabile e bugiardo, per amore di lieto fine lo neutralizzò trasformandolo in un bravo ragazzo in carne e ossa. E come continua a fare la scuola, che lo ignora tranquillamente da oltre un secolo forse con l’idea che si tratti di un libro per l’infanzia e dunque un genere di narrativa «minore». Si sa che non è affatto così. Le avventure di Pinocchio sono un capolavoro della letteratura italiana, e bisognerebbe avviare una campagna perché la sua lettura diventi obbligatoria. O forse no: meglio evitare il rischio del rigetto scolastico, di cui sono vittima da sempre I promessi sposi» (Pinocchio in cattedra: saggi e convegni anche nelle università).

Cammina, cammina, cammina, alla fine sul far della sera arrivarono stanchi morti all’osteria del Gambero Rosso.

A naso, e guardando alle mie esperienze recenti, direi che nel canton Ticino Pinocchio e le sue avventure accendono ancora amori e passioni, forse perché le vicende del burattino più famoso del mondo non sono mai diventate, neanche a scuola, strumenti di sevizia. Fino a qualche decennio fa Le avventure di Pinocchio. Storia di un burattino erano un intermezzo ai pur piacevoli libri di lettura di Dante Bertolini – che erano solo quattro, uno in meno della durata della scuola elementare. Ecco allora che in 3ª, o più facilmente in 4ª, il romanzo di Collodi era un’inusuale parentesi lunga un anno. Mi verrebbe da dire che i personaggi di questo grande romanzo resistono bene all’usura del tempo e continuano a solcare le nostre aule, come racconti continuati e come letture individuali, ma anche come veri e propri itinerari didattici: forse perché, a parte qualche inevitabile eccezione, Pinocchio non è mai stato usato come strumento di accanimento pedagogico – e il personaggio è avvincente per conto suo.  Che poi, a ben guardare, anche il finale del romanzo – quando Pinocchio diventa leziosamente un bambino – può prestarsi ad altre interpretazioni. Philippe Meirieu, nel suo «Frankenstein pédagogue», libro del 1996 poi tradotto in italiano nel 2007 col titolo Frankenstein educatore, ne dà un’interpretazione divergente e originale.

«Salitemi a cavalluccio sulle spalle e abbracciatemi forte forte. Al resto ci penso io, disse Pinocchio a suo padre. Appena Geppetto si fu accomodato per bene sulle spalle di suo figlio, Pinocchio, sicurissimo del fatto suo, si gettò in acqua e cominciò a nuotare… Ora è ben lontana la piccola peste velleitaria e capricciosa di cui nessuno si sarebbe fidato. Al suo posto c’è un bambino determinato che non esita ad affermare la sua volontà, serenamente e senza violenza; un bambino che ha abbandonato le gesticolazioni disordinate e gli impulsi contraddittori… per stabilire, alla fine, un atto, uno vero, “un atto di coraggio”, direbbe qualcuno: forse, semplicemente, “un gesto da uomo”.

A fare da contraltare a questo intervento preoccupato e combattivo, ecco nuovamente Paolo Di Stefano, ospite di Daniele Dell’Agnola nella puntata del 24 maggio del programma Il bidello Ulisse nella rete dei libri La vera storia di Selim! – durante la quale si è parlato del romanzo I pesci devono nuotare, attraverso tre pareri di ragazze di scuola media, che l’hanno letto, e una chiacchierata con l’ospite della puntata, lo stesso Di Stefano.

Il bidello Ulisse è il personaggio, inventato da Dell’Agnola, che ha mosso i primi passi come protagonista di una rubrica pubblicata nell’inserto culturale del Corriere del Ticino. Nel 2015, pur continuando sporadicamente le incursioni cartacee, Ulisse si è trasferito armi e bagagli su Teleticino: in tre anni ha inanellato quaranta puntate, ha coinvolto un centinaio di allieve e allievi, coi loro insegnanti di una decina di sedi di scuola elementare e media; e, soprattutto, ha presentato ottanta libri, messi di volta in volta sotto i riflettori e gli occhi critici di quei ragazzi che, i libri, li avevano incontrati a scuola.

Insomma, un gran bel segnale (anche se tra gli ottanta titoli, sino a oggi, non è comparso Pinocchio: forse perché non ha più bisogno di promozioni televisive). Anche se…

Anche se non bisogna mai dare nulla per scontato, perché il pericolo è che, un giorno o l’altro, di Pinocchio restino solo le versioni cinematografiche, da quella scioccamente moralista di Walt Disney (1940), allo sceneggiato televisivo di Luigi Comencini (1972) o alla prova di Roberto Benigni (2002), oltre alle innumerevoli rivisitazioni del teatro per ragazzi, che resteranno tali solo fino al giorno in cui il pubblico conoscerà ancora l’originale, con tutti i suoi sani sberleffi.

Qui giace la bambina dai capelli turchini, morta di dolore per essere stata abbandonata dal suo fratellino Pinocchio.

Prima che sia troppo tardi, quindi, conviene tener viva l’anima anarchica di Pinocchio, in modo da custodire la storia di quel pezzo di legno, che piangeva e rideva come un bambino, e che subito dopo aver imparato a camminare da sé e a correre per la stanza, infilata la porta di casa, saltò nella strada e si dette a scappare.


Le due immagini sono tratte dal volume Pinocchios Abenteuer. Eine Geschichte die vor mehr als hundert Jahren in Italien Passierte, mit 60 Bildern von Frl. Martha Pfannenschmid, 1968, Zürich: Silva-Verlag.