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Il fascino di imparare per imparare, e creare insieme cose bellissime!

In questo cantone smodato succedono a volte delle “cose” che converrebbe propagandare a dovere, mentre invece se ne viene a conoscenza un po’ per caso. Nel passato fine settimana gli occhi del Ticino tutto – si fa ovviamente per dire – erano rivolti agli appuntamenti referendari, quello cantonale sui rifiuti (partecipazione del 41.7%) e quello federale sull’energia (42.3% in Svizzera), alla Notte bianca di Locarno e alla manifestazione podistica straLugano (per la cronaca ha vinto un keniano).

Al LAC di Lugano c’era invece il concerto di Superar Suisse. Carneade? Sì.

Sono grato al direttore generale delle scuole comunali di Lugano, Sandro Lanzetti, che me ne ha accennato giusto due mesi fa, in occasione di un incontro informale e amichevole, e di aver messo in questa informazione tanta passione e un’emozione neanche troppo velata.

«Superar Suisse» è la ramificazione di un progetto europeo, che, a sua volta, si è ispirato al famoso «El Sistema», un modello didattico musicale, ideato e promosso in Venezuela da José Antonio Abreu, che consiste in un sistema di educazione musicale pubblica, diffusa e capillare, con accesso gratuito e libero per bambini di tutti i ceti sociali.

Superar è un termine spagnolo che significa andare oltre i limiti, vincere e crescere andando oltre i propri confini.

Si legge nel sito elvetico che «Superar utilizza tutte le possibilità e gli effetti positivi che la promozione musicale e artistica rappresentano, al fine di dare un notevole contributo al cambiamento in senso egualitario della società. Superar è stata fondata nel 2009 dal Konzerthaus di Vienna, il Vienna Boys Choir e la Caritas dell’Arcidiocesi di Vienna come un progetto musicale dell’Europa centrale ricalcante lo stile del progetto “El Sistema” venezuelano. Nel corso degli anni Superar è cresciuta rapidamente, sia in Austria che in altri paesi. Attualmente è attiva in 14 sedi in Austria e in dieci sedi in Slovacchia, Svizzera, Liechtenstein, Romania e Bosnia. Superar Suisse è stata fondata nel 2012. [Essa] rende reale un’educazione musicale di alta qualità sia nella formazione della voce e del canto, sia nella formazione strumentale orchestrale per tutti i bambini e adolescenti – a prescindere dalla loro origine familiare e situazione economica».

Per farla breve, ho assistito a un momento musicale e sociale molto appassionante, assieme a un pubblico folto, entusiasta e caloroso. Al LAC, domenica, c’erano i ragazzini del coro e dell’orchestra di Lugano (oltre cento ragazzine e ragazzini tra gli otto e i dieci anni), con i cori di Winterthur e del Vorarlberg e le orchestre di Zurigo e Milano. Sotto la direzione dei maestri Marco Castellini, Carlo Taffuri e Pino Raduazzo hanno dato vita a un’ora di belle emozioni, dove i termini di energia, entusiasmo e divertimento hanno caratterizzato l’evento, annullando le inevitabili esitazioni esecutive.

È vero che il seme originario – El Sistema venezuelano – nel frattempo ha generato l’Orquesta Sinfónica Simón Bolívar e ha lanciato nel firmamento artistico mondiale musicisti di sicura fama, uno su tutti il direttore d’orchestra Gustavo Dudamel. Ma la forza di Superar, discendente europeo di El Sistema, risiede nel grandissimo progetto di coinvolgere chi, per scelta autonoma, non avrebbe probabilmente mai imboccato un’avventura artistica come questa.

Sarebbe banale, e pure stucchevole, imboccare un discorso sulla forza educativa della musica d’assieme, che si potrebbe facilmente ergere a modello educativo. Però mi piace l’idea che questi ragazzi, sotto la guida e la partecipazione di maestri che non sono assillati da sciocchi traguardi di pagelle e certificazioni inoppugnabili e troppo spesso definitive, diano vita – gioiosamente e insieme – ad armonie che sono artistiche e, nel contempo, sociali. Qualche insegnamento lo dovrebbe pur ricavare anche la scuola dei test, degli esami reiterati e un poco tribunaleschi. Quella dell’immediata e finta spendibilità di acquisizioni scolastiche troppo spesso solo scolastiche.

Mi ha detto un collega luganese all’uscita: «Conosco tanti di questi ‘orchestrali’ e ti posso garantire che, tra i banchi di scuola, non sono sempre facilmente gestibili».

Chissà come mai a scuola no e in orchestra sì? Vuoi vedere che…

Superar Suisse sarà alla Tohnalle di Zurigo l’11 giugno alle 11.15 e il 29 giugno alle 19 alla Elisabethenkirche di Basilea.


I principi di Superar sono:

  • la regolarità e l’assiduità: almeno due lezioni, ma al meglio tre o quattro alla settimana.
  • Gratuità: La partecipazione alle lezioni Superar sono gratuiti per i bambini e genitori.
  • Pari opportunità: Superar si prefigge che tutti i bambini e i giovani possano accedere all’istruzione musicale, che si estende evidentemente in campo artistico e culturale. In tal modo Superar vuole rafforzare la loro partecipazione nella società e potenzialmente migliorarne le opportunità.
  • Preparazione artistica: Superar stabilisce elevati livelli artistici e di insegnamento per la selezione dei suoi tutor. Regolari aggiornamenti di essi anche contemporaneamente a Tutor Superar di altri paesi – che garantiscono l’alta qualità dell’insegnamento.
  • Respiro internazionale: Superar è finora l’unico progetto ispirato al programma El Sistema venezuelano, ad essere attivo in diversi paesi, tenendo concerti congiunti, corsi di formazione e incontri, sia per i tutor che per la direzione Superar, nonché per i bambini e gli adolescenti che ne fanno parte.
  • Ulteriori sviluppi: Superar è concepito come un programma di costruzione e formazione che fornisce moduli avanzati per permettere a tutti anche un futuro percorso artistico.

Vietare non serve a nulla, ma è un bell’alibi quando l’adulto non sa più che pesci pigliare

Il portale TicinoLibero ha dato notizia che tre parlamentari – il popolare democratico Giorgio Fonio, il socialista Henrik Bang e la liberale Maristella Polli – hanno presentato un’interrogazione per chiedere di proibire i cellulari a scuola, mirando ad arginare il fenomeno bullismo.

Scrivono che «Sui telefonini l’assedio si moltiplica per dieci, per cento, per mille. Chi è finito nel mirino ha l’impressione che non ci sia nulla da fare, che sia impossibile difendersi. Nasce un senso di solitudine e di impotenza. La vergogna spesso conduce al silenzio: non si osa parlarne ai genitori, ai docenti. Il ragazzino, l’adolescente, si deprime. Se la cosa si prolunga nel tempo, possono comparire idee suicidarie e in qualche caso la vicenda finisce in tragedia».

La proposta non è una novità assoluta. Già sul finire del 2006 un altro parlamentare liberale, all’epoca pure insegnante di scuola media, aveva chiesto al Consiglio di Stato se non fosse «finalmente intenzionato a proibire totalmente l’uso del telefonino in tutte le scuole obbligatorie del Cantone». Avevo commentato la notizia sul Corriere de Ticino del 12 gennaio 2007: Telefonini a scuola: educare o reprimere?

La mia opinione, oggi che sono passati dieci anni, non è per nulla cambiata, anche se di miglioramenti concreti non se ne sono visti, malgrado la drammaticità di tanti esiti.

A scuola, come in famiglia, certi divieti sono il chiaro segnale di adulti che non sanno più che pesci pigliare: ma i docenti sono professionisti formati e pagati per fare scelte educative  attendibili, a differenza dei genitori. Oso credere che la sparata dei tre parlamentari sia una sorta di sasso nello stagno, per svegliare chi non dovrebbe proprio dormire.

Insomma: e se la scuola ricominciasse a educare e a far cultura, smettendo di essere al traino dell’economia globalizzata? Se la piantasse di essere schiava di una selezione controproducente, iniqua e costosa, e tentasse invece di puntare alle vere finalità della scuola pubblica e obbligatoria?

Il lavoro di crescere nel colloquio con due scrittori

Questo articolo è stato pubblicato dal Corriere del Ticino del 7 aprile 2017. Esso si riferisce a un incontro promosso dal DFA/SUPSI (Invito a una bella serata…). Contrariamente alle mie abitudini, in calce al testo si trovano alcuni documenti interessanti, che testimoniano alcuni aspetti di questa giornata.


Ho avuto l’opportunità, qualche giorno fa, di accompagnare per l’intera giornata due scrittori che hanno parlato di sé, del proprio lavoro e di due loro romanzi con un gruppo di allievi di III e IV media di Locarno, per poi chiudere la giornata con un pubblico di adulti: una platea piuttosto rada, per la serie «pochi ma buoni». Paolo Di Stefano, scrittore e inviato del Corriere della Sera, e Daniele Dell’Agnola, insegnante e scrittore, si sono messi in gioco prendendo le mosse dai loro recenti romanzi «I pesci devono nuotare» e «Anche i bruchi volano». Sono rimasto piacevolmente sorpreso dalle ragazze e dai ragazzi, incontrati in due gruppi piuttosto numerosi: per quasi due ore hanno seguito attentamente il colloquio tra i due scrittori, intercalati dalla lettura di alcune pagine particolarmente significative con la voce affascinante di Sara Giulivi, ricercatrice e docente della SUPSI con la passione per il teatro.

I temi dei due romanzi hanno innescato un fiume impetuoso e variegato di peripezie attuali e toccanti: emozioni accese dalle storie – quella di Selim, il ragazzo egiziano che giunge in Sicilia sui famigerati barconi, che poi scappa a Milano e mette in gioco tutta la sua fierezza per imparare bene l’italiano, che lui intuisce essere una chiave di integrazione fondamentale: perché i pesci devono nuotare e ne hanno pure il sacrosanto diritto. E quella di Felix, adolescente che vive in un posto che c’è e non c’è, iperattivo e dislessico, che lotta per sottrarsi alla scuola, dove gli impongono il Ritalin «con la speranza di farti diventare un uomo forte», mentre «la verità è che vogliono tenerci sotto controllo, a noi iperattivi»: Felix, che ama le farfalle e odia i bruchi. I due scrittori hanno preso molto sul serio il loro pubblico di quattordicenni, proponendo temi difficili e rispondendo a domande altrettanto complicate, perché la realtà è quella lì. Si è capito che la platea si era preparata bene e che reagiva con intensità al mare di sollecitazioni che la travolgeva attraverso la letteratura: un’arte, come ha sottolineato Di Stefano, che esige fatica e impegno a chi scrive e a chi legge, e non dà risposte prêt-à-porter ai grandi interrogativi: ma sparge dubbi, stimola la riflessione, invita a scelte consapevoli, forse mai definitive.

Mi sono chiesto, mentre andavo all’ex convento di Piazza San Francesco per l’incontro col pubblico degli adulti, quale magia aveva potuto generare la tensione di quella decina di classi di scuola media, che aveva incontrato i due intellettuali senza passare attraverso esami e selezioni di idoneità. Credo di avere individuato due fattori decisivi: si è discusso di cose difficili, ma con la serietà e il rispetto dovuto ai giovani interlocutori; e non ci si è lasciati sedurre dal facile giochino dei verdetti da parte di chi tiene il coltello per il manico e sente il bisogno incessante di sancire cosa è giusto e cosa è sbagliato. Con quei bei pensieri sono arrivato alla Magistrale, in un’aula magna quasi deserta. Non c’erano i futuri insegnanti a far la calca per entrare e conquistare i posti migliori. Ma questa, naturalmente, è un’altra storia, sulla quale converrebbe riflettere. Però è utile osservare che anche quest’ultimo incontro, condotto con spigliata competenza da Christelle Campana, volto noto del nostro TG, è stato degno del pubblico appassionato col quale, nelle ore precedenti, si erano costruiti pensieri importanti.


Qui si può scaricare la copia del mio articolo così com’è apparso sul Corriere del Ticino del 7 aprile 2017, a pagina 30.

Nel sito del Dipartimento formazione e apprendimento della SUPSI è possibile trovare un bell’articolo pubblicato da Daniele Dell’Agnola su La Regione del 1° aprile (La pazienza per resistere), nonché una galleria di immagini.

Il programma Turné della RSI ha mandato in onda un servizio, che si può guardare qui (Pesci, bruchi e Wunderkammer, a partire da 12’ 20”).

Nel sito del Corriere della Sera, per terminare, si può leggere un bell’articolo di Paolo Di Stefano – I libri si amano con meno chiacchiere e più lettura – un testo che ha contribuito alla messa a punto dell’incontro locarnese del 30 marzo.

Invito a una bella serata: un incontro con due scrittori che discutono del lavoro di crescere

Ne parlo anche perché ci ho ficcato il naso.

Lo so, è una brutta abitudine quella di mettere il becco nelle faccende altrui. E sì, concordo: mi si può inquisire per correità.

A mia discolpa posso dire che è bello lavorare con gli amici del DILS, il Centro competenze didattica dell’italiano lingua di scolarizzazione, di cui è responsabile Simone Fornara.

Parto dal centro: l’appuntamento è per giovedì 30 marzo alle 17.30, nell’aula magna dell’ex scuola magistrale cantonale, in Piazza San Francesco a Locarno, dov’è in programma un incontro che sarà nel contempo simpatico e di grande interesse.

Titolo: Il lavoro di crescere nel colloquiotra due scrittori.

Protagonisti: due scrittori, due romanzi, una conduttrice e una lettrice. E poi il pubblico, che mi auguro numeroso e appassionato.


Paolo Di Stefano (Avola, 1956) è inviato speciale del Corriere della Sera. È autore di numerosi romanzi tra cui «Baci da non ripetere» (1994), «Azzurro troppo azzurro» (1996, Premio Grinzane Cavour), «Tutti contenti» (2003, Superpremio Vittorini e Superpremio Flaiano), «Aiutami tu» (2005, SuperMondello), «La catastròfa» (2011, Premio Volponi), «Giallo d’Avola» (2013, Premio Viareggio-Rèpaci), «Ogni altra vita» (2015, Premio Bagutta), «I pesci devono nuotare» (2016).

Daniele Dell’Agnola, classe 1976, è docente alla SUPSI, insegnante di italiano alle medie, autore di romanzi, tra i quali «Melinda se ne infischia» (2008), «Baciare non è come aprire una scatoletta di tonno» (2014, con pièce teatrale tradotta in francese e tedesco), «Anche i bruchi volano» (2016). Ha ideato per il Corriere del Ticino la rubrica di narrativa Il bidello Ulisse, che è diventato un format su Teleticino, dove presenta libri per bambini e ragazzi.

Di Stefano narra una storia vera, quella di Selim, un ragazzo egiziano che, con l’incoscienza e la forza dei suoi diciassette anni, attraversa il deserto e la Libia, fino a raggiungere il mare e imbarcarsi per l’Italia. Dopo fatiche, stenti e preghiere sussurrate, il viaggio lo conduce in Sicilia, insieme a centinaia di migranti in cerca di sogni. Il suo è il più grande e ambizioso: vuole un riscatto dall’infanzia che si è lasciato alle spalle, parlare l’italiano meglio degli italiani, costruirsi un futuro. Selim, a Milano, non è solo. Dentro e accanto alla sua vita ne scorrono altre, meno luminose ma altrettanto esemplari: la dolce Marlene, il ruvido Raymon, l’amico Tawfik e alcuni misteriosi angeli protettori, in un mondo che cambia velocemente, dove si innalzano barriere per difendersi da ciò che non conosciamo.

Anche la storia di Dell’Agnola parla di adolescenti, ragazzi e ragazze in bilico tra una fanciullezza più o meno felice e un’età adulta misteriosa e che può intimorire. Felix, dodicenne in affanno, iperattivo e ribelle, vive in un quartiere ai margini della città. Ama la cultura, odia la scuola e Marcello Porcello, figlio del pediatra che gli somministra metilfenidato come fosse cioccolata. Si rifiuta di frequentare la scuola, così è seguito da un’orda di psicologi, pedagogisti, medici e specialisti, che lui definisce i «draghi drugugubri». Un giorno incontra Alice, misteriosa ragazzina piuttosto vivace. Con lei e altri amici vivranno una metamorfosi grazie ad avventure e tragedie, alle prime esperienze sessuali e al desiderio di scontrarsi, misurarsi… e volare.

Christelle Campana, giornalista del TG della Radiotelevisione svizzera, sarà la conduttrice della serata.

 

 

 

Sara Giulivi, docente e ricercatrice al DFA della SUPSI, che ha alle spalle una formazione come attrice presso il Centro Teatro Internazionale di Firenze, leggerà alcune pagine significative dei due romanzi.

 

Spero davvero di salutare un pubblico numeroso, perché ne varrà la pena.

Anch’io con gli amici del Re

Ebbene sì, anch’io, una volta, ho fatto il fondatore – senza nessun merito particolare, se non quello d’essere amico di alcuni che, in quell’occasione, Fondatori lo furono davvero. Fatto sta che il 2 giugno del 1993 firmai gli statuti dell’Associazione degli Amici dell’Organo di Locarno (AOL), approvati dall’Assemblea costitutiva del 2 giugno 1993.

Sono ancora con loro, con gli amici che ci sono ancora, perché questo manipolo di appassionati continua da cinque lustri a proporre il grande repertorio della musica organistica, senza quella puzza sotto il naso che troppo spesso distingue chi si perita di far cultura.

E non poteva andare che così, se solo si pensa che il direttore artistico dell’associazione, Giovanni Galfetti, è un musicista sensibile e un Maestro a tutto tondo. Figlio d’arte, Giovanni insegna oggi al Dipartimento formazione e apprendimento della SUPSI, l’ex scuola magistrale. C’era durante tutte le metamorfosi di quella scuola degli ultimi trent’anni o giù di lì, dalla post-liceale all’Alta scuola pedagogica a oggi. Il suo sito testimonia, persino con troppa modestia, il suo grande impegno di musicista, educatore e uomo di cultura.

In occasione del venticinquesimo anniversario dell’AOL, La Rivista, mensile illustrato del Locarnese e valli, ha pubblicato sul suo numero di dicembre 2016 un mio articolo, con alcuni ricordi e qualche aneddoto. L’intento era quello di scansare a ogni costo toni dotti e saputelli: se, con Giovanni e qualche altro, continuo a dare una mano, è perché non ci siamo mai lasciati ingolosire dell’elitismo, che è l’anticamera della petulanza. Perché siamo amici del Re, mica volgari cortigiani, che, come canta Verdi, sono vil razza dannata.

Mi piace riproporlo di seguito, mentre la copia dell’originale può essere scaricata qui.


Una sera d’autunno del 1990 mi chiamarono Giovanni Galfetti e Marco Balerna. Mi raccontarono che in primavera si doveva organizzare per bene l’inaugurazione dei rinnovati organi della collegiata di Sant’Antonio. A quel tempo la mia cultura organistica era quella dei noti paracarri: conoscevo a malapena l’inizio della Toccata e fuga in re minore di Bach. I due amici sapevano però che ero un musicofilo onnivoro e curioso, che credevo nella diffusione della cultura – non solo quella musicale, ovvio – e che se c’era da dare una mano non mi sarei tirato indietro.

Scoprii presto alcune cose: che nella collegiata c’era un bell’organo romantico, che da tanti anni vivacchiava come un vecchio trascurato dai parenti, strusciando i piedi e spargendo armonie disarmoniche, col fiato corto; che già nel 1986 la Città di Locarno, proprietaria dello strumento, aveva destinato un credito importante per il restauro; e, per finire, che i rinnovati organi erano uno solo, quello lì, e che il plurale era un francesismo del Balerna. In ogni modo, non rifiutai l’invito e nella primavera di 25 anni fa andò in scena un battesimo coi baffi: concerto inaugurale con il principe degli organisti, Daniel Chorzempa, musicista di origine polacca ma cresciuto a Minneapolis, una stella di prima grandezza del panorama organistico.

Nasce l’AOL

Com’era normale che fosse, non eravamo pratici di organizzazioni di quel tipo. Così Chorzempa ci fece un poco ammattire – e lascio perdere dettagli che ci farebbero arrossire. Resta che la fase inaugurale, in quell’intensa primavera, fu emozionante, perché dopo il principe ospitammo Jeanine Lehmann, grande interprete svizzera, e poi alcuni bravi organisti di casa nostra: Livio Vanoni, Diego Fasolis e Giovanni Galfetti. Fu forse grazie alla passione e agli stimoli di quei giorni che avviammo la creazione dell’AOL, l’associazione degli Amici dell’Organo di Locarno, con lo scopo di valorizzare gli organi delle chiese locarnesi, in particolare lo strumento Urbani-Bossi-Marzi della collegiata, e di promuovere e organizzare concerti e altre attività musicali legate all’organo. L’AOL vide la luce il 2 giugno del 1993, alla presenza di una ventina di soci fondatori, tra i quali voglio citare Giovanni Galfetti, l’anima artistica del gruppo, Marco Balerna e l’arciprete Storelli don Ernesto, come autografò quella sera l’approvazione degli statuti. È in quell’anno che è partita un’avventura artistica e culturale straordinaria.

Giovanni Galfetti alla tastiera dell’organo, che Mozart definì “il Re degli strumenti”.

L’AOL, finché lo strumento non ricominciò e dar segni di sfinimento, ha proposto per diversi anni tre concerti tradizionali – per Santo Stefano, per la domenica delle Palme e per Pentecoste, oltre, in alcuni anni, il concerto di Ognissanti – decine e decine di matinée, con l’indispensabile sostegno dell’Ente per le Iniziative del Locarnese, e qualche concerto speciale, ospitando alcune punte di diamante della scena organistica internazionale. Mi piace rammentare e sottolineare che, con l’unica eccezione dei concerti inaugurali, l’AOL non ha mai chiesto un biglietto d’entrata, accontentandosi di un’eventuale offerta libera all’uscita, a seconda della disponibilità e del piacere provato. Forse è questo dettaglio, forse è il genere musicale in sé e i luoghi in cui stanno gli organi, forse sono altre caratteristiche misteriose: ma il pubblico, il nostro pubblico, è particolare e simpatico. Non ha il cilindro per cappello, due diamanti per gemelli, il bastone di cristallo, né la gardenia nell’occhiello. Sotto le navate della collegiata ho visto i pubblici più diversi e compositi: dal musicista attento al critico pedante, dal melomane che annuisce rapito a quello che riflette e vola in chissà quali mondi fantastici; ma anche intere famiglie con figli grandi e piccoli al seguito. Per ciò che mi concerne, da quella telefonata autunnale di cinque lustri fa ho scoperto un mondo artistico meraviglioso, un crogiuolo di compositori e di culture incantate, un repertorio inatteso ed emozionante, come sa fare l’arte, magari esaltata da luoghi che stuzzicano anche gli spiriti più laici.

Quindici anni di grande musica

Il cammino con gli amici dell’AOL ha riservato anche qualche aneddoto. Mi viene in mente quell’organista svizzero, protagonista di un concerto di Santo Stefano d’una ventina di anni fa, che dette qualche gatta da pelare al nostro direttore artistico: perché la panca dell’organo era troppo alta rispetto alle sue gambette – fu necessario tagliarne un pezzo, in quel dì di festa – e perché quel giorno non si era sbarbato e bisognava trovargli un rasoio. Capricci da stelline della TV.

Nel 1996 ospitammo una delle più grandi organiste del ’900, Marie-Claire Alain, figlia di Albert e sorella di Jehan, organisti importanti, una famiglia da enciclopedia, allieva di alcuni grandi della musica francese, da Maurice Duruflé a Marcel Dupré, compagna di corso di alcuni dei più importanti organisti della scuola francese del Novecento, come Pierre Cochereau: insomma, un monumento. Al termine di un concerto entusiasmante e indimenticabile, e dopo il ricevimento a casa Rusca con discorsi e rinfresco, questa donnina che certo non se la tirava, benché fosse Lei, chiese se era possibile mangiare un boccone. Non ci avevamo pensato, e fu abbastanza difficile trovare un ristorante ancora aperto a quell’ora, dove fosse possibile andare oltre un panino imbottito col pane del giorno prima. Quel martedì sera finimmo in un ristorante della città vecchia, con un piatto di spaghetti e un bicchiere di vino sfuso, a chiacchierare del più e del meno come un gruppo di vecchi amici.

Locarno 1996. L’Arciprete don Ernesto Storelli stringe la mano a Marie-Claire Alain, una delle più grandi organiste del ’900.

Due anni dopo, il 5 maggio, data di per sé poetica, ecco un’altra serata speciale, con un altro grande vecchio della musica organistica francese, definito da alcuni l’Arthur Rimbaud dell’organo. Jean Guillou, classe 1930, dal 2014 organista titolare emerito del grande organo della chiesa di Saint-Eustache di Parigi, restò a Locarno alcuni giorni. Propose un programma che spaziava da Bach a Mendelssohn, da sé stesso a una delle sue celeberrime trascrizioni, in questo caso il «Prometeo» di Franz Liszt. E finì con un’improvvisazione su due temi proposti da Giovanni Galfetti. Non dimenticherò mai quel concerto, in parte per il programma così scoppiettante, in altra parte perché durante l’esecuzione del brano d’apertura, a chiesa strapiena, l’organo andò in tilt: una canna un po’ anarcoide improvvisò uno sciopero dello zelo, continuando a cantare la sua nota. Concerto interrotto. Galfetti uscì sul sagrato a strapparsi i capelli. Guillou non perse l’aplomb: lasciò la consolle, entro fisicamente nell’organo, trovò il difetto, rimediò e continuò il programma, terminato in un tripudio.

Mi sia concesso un ricordo molto personale. Il giorno precedente andai a trovarlo sull’organo, portando i miei figli di nove anni. Stava provando il «Prometeo», un’esultanza tardo-romantica che ben riflette la forza del poema sinfonico di Liszt. Ci accolse come un nonno felice e, mentre dava fiato poderoso all’organo, invitò i due jeuns anges a varcare la porticina accanto alle tastiere, quella che porta nel cuore dell’organo, in quel bosco di canne. L’uno varcò la soglia, ma ne uscì difilato, un po’ spaurito. L’altro venne fuori solo dopo la nota finale, e per un po’ di settimane continuò a disegnare canne d’organo che mandavano note lassù, chissà fino a dove.

L’incertezza e la rinascita

Al di là di questi nomi importanti, l’AOL ha invitato alle tastiere dell’organo di Sant’Antonio decine e decine di organisti, noti e meno noti, musicisti di lungo corso e giovani esordienti. Il pubblico ha sempre accolto molto positivamente, a volte con entusiasmo, le tante proposte musicali, a volte mescolate a voci soliste o ad altri strumenti. Così anche quando, una decina di anni fa, fummo costretti a ridurre l’attività a causa delle precarie condizioni dell’organo, abbiamo sempre fatto il possibile per mantenere viva la pur giovane tradizione, proponendo anche in quel periodo difficile il grande concerto di Santo Stefano e le matinée dei mercoledì primaverili e autunnali.

Già da quest’anno, tuttavia, il programma tornerà ai fasti di un tempo (anzi, di più). Grazie alla tangibile sensibilità culturale della Città e del Cantone, il nostro strumento, che è stato definito il più grande e importante organo romantico del Ticino, ha ripreso a suonare, a suonare bene, disponibile con tutte le sue caratteristiche, che sono tante e seducenti, al servizio degli organisti che vorranno proporre le loro scelte artistiche al nostro pubblico affezionato. In settembre c’è stata una sorta di prova generale, con quattro matinée molto seguite e apprezzate, offerte da Marina John, da Marco Balerna col trombettista Ivano Drey, da Roberto Olzer e da Giovanni Galfetti. Poi, il 23 ottobre, c’è stato il concerto inaugurale, per dare il benvenuto all’organo rinato: alle tastiere Francesco Finotti, organista onorario del Duomo di San Lorenzo in Abano Terme (PD); e sul pulpito, a presentarlo, Bepi De Marzi, l’autore del celebre «Signore delle cime», clavicembalista e organista nei prestigiosi Solisti Veneti di Claudio Scimone. Con un pubblico decisamente inusuale – l’arciprete Don Carmelo Andreatta, commosso, non ha saputo trattenersi: «Dovreste venire al mio posto e guardare giù: uno spettacolo!» – il tempo è trascorso svelto e delizioso, sulle onde della musica, dell’interpretazione accattivante di Finotti e delle affascinanti introduzioni di De Marzi.


P. S.: Nel brano Jean Guillou esegue il finale di «Prometeo», poema sinfonico di Franz Liszt, nella trascrizione per organo dello stesso  Guillou (Registrato nella Collegiata di Sant’Antonio a Locarno il 5 maggio 1998).