Capita, ogni tanto, che qualche amico o conoscente mi segnali articoli, libri, situazioni o documenti tratti dal web. Nel grande magma dell’informazione oggi si trova proprio di tutto.
Oggi pomeriggio mi è arrivata la segnalazione del video di una conferenza. Il titolo mi ha incuriosito, visto che il tema – o, almeno, la parola chiave, «competenze» – è famosa un po’ in tutta la Svizzera e genera non poche inquietudini: «Per una scuola delle competenze, non dei voti».
Si tratta di una conferenza di una decina di minuti, tenuta in un teatro da tale Salman Khan: mai sentito nominare. Come tutti ho dato un’occhiata alla rete e, con quel nome, ho trovato un attore indiano, una stella di Bollywood. Mica possibile.
Allora ho affinato la ricerca e ho trovato quel che cercavo: Salman Amin Khan è un educatore e imprenditore bengalese, naturalizzato statunitense. Diciamo che la voce Wikipedia in inglese è un po’ meno fuorviante rispetto alla versione italiana. Per tagliar corto, Salman Khan ha alle spalle tre titoli conseguiti al prestigioso MIT, Massachusetts Institute of Technology: due bachelor in scienze e in matematica, poi un master in ingegneria elettronica e informatica, a cui ha aggiunto un altro master a Harvard.
Ecco la presentazione del video: «Costruireste mai una casa su fondamenta lasciate a metà? Naturalmente no! Perché, allora, avanziamo a marce forzate lungo i programmi scolastici quando gli studenti non hanno ancora assimilato i concetti di base?»
Cosa racconta durante la breve conferenza quest’uomo di scienza e imprenditore dell’educazione, fondatore della Khan Academy? Prendetevi dieci minuti e guardatela, perché ne vale la pena: è chiara e accessibile, a tratti divertente.
Per un pedagogista «classico» come potrei essere io, la vera notizia non è quel che racconta, che si rifà sostanzialmente a tanti anni di storia della pedagogia: da Rousseau e Pestalozzi, per giungere a Célestin Freinet e Don Lorenzo Milani, senza scordare quel grande movimento utopistico e pacifista che è stata la Ligue Internationale pour l’Éducation Nouvelle, l’unica lega che mi sento di applaudire, quella fondata a Calais, nel 1921, da personaggi quali John Dewey, Jean Piaget, Maria Montessori, Beatrice Ensor, Adolphe Ferrière e Elisabeth Rotten.
Per contro la notizia da prima pagina è che sul pulpito c’è uno che normalmente, nelle nostre scuole medie, medio-superiori e terziarie, non muoverebbe un dito per proibire le monoclassi e le certificazioni annuali, per sopprimere i dannosi, costosi e dispendiosi livelli della scuola media e i tassi spropositati di bocciatura al liceo; perché invece costoro stanno vigili e sornioni all’ombra delle barricate, a difendere e rafforzare tutti i bracci armati della scuola pubblica.
E invece cosa dice il nostro professore bengalese?
Per esempio che non si può continuare un percorso di apprendimento se vi sono anche delle seppur minime lacune.
«In un’arte marziale – dice – ci si esercita sulle abilità di cintura bianca fino ad assimilarle bene, e solo a quel punto si avanza e si diventa una cintura gialle. Anche gli strumenti musicali si imparano così: continuate a esercitarvi sul brano più semplice, e solo quando l’avete imparato bene passate a uno più avanzato».
Di transenna: è un principio già applicato da Freinet sessanta e più anni fa col suo sistema dei brevetti.
Aggiunge: «Tradizionalmente a scuola raggruppiamo tutti gli studenti di solito per età. Poi, durante la scuola media, li dividiamo per età e voti, e li spingiamo come pecore tutti allo stesso ritmo. Così di solito succede che, diciamo in una lezione di pre-algebra alle medie, dove si insegnano gli esponenti, l’insegnante fa una lezione sugli esponenti. Poi andiamo a casa e facciamo un po’ di compiti. Il mattino dopo correggiamo i compiti. Poi un’altra lezione, compiti, lezione, compiti. Questo continua per circa due o tre settimane, e infine c’è un test. In quella verifica, magari io prendo un 75%, tu forse il 90% e lui il 95%. E anche se il test ha rivelato alcune nostre lacune – io non avevo un quarto del programma, e c’era un 5% che anche lo studente migliore non sapeva – l’intera classe passerà all’argomento successivo, probabilmente più avanzato, che prevede cioè la conoscenza delle lacune. Potrebbero essere i logaritmi o gli esponenti negativi. Il processo continua e subito emerge l’assurdità della situazione».
Chi mi ha segnalato questo filmato ha chiosato: «Sant’Iddio, quanto vero è ciò che afferma e propugna questo docente indiano: tutti possono farcela a capire e ad appropriarsi della conoscenza e, quindi, della cultura». Ma, sostiene lui, dobbiamo cambiare a fondo il nostro modo di insegnare!
Ma toh!?
Io aggiungerei: la scuola dello Stato – dai politici agli insegnanti, dai funzionari ai direttori, dagli studenti ai genitori – deve smetterla di essere indifferente alle differenze, deve rispettare la storia e il profilo culturale e cognitivo di ognuno, deve continuare a garantire le pari opportunità in entrata, ma poi deve battersi affinché vi sia concretamente l’opportunità di raggiungere risultati elevati per ognuno all’uscita dalla scuola dell’obbligo.
Per finire, ecco il sogno e l’auspicio del professor Khan, l’attualizzazione di aspirazioni pedagogiche centenarie e mai realizzate, quelle di una pedagogia che dovrebbe far rima con democrazia e benessere e, stavolta sì!, con delle pari opportunità che non restino fermi ai blocchi di partenza.
Non sarebbe solo ‘una gran bella cosa’. Penso che sia un imperativo sociale. Stiamo uscendo da quella che chiamereste l’era industriale e stiamo entrando nella rivoluzione dell’informazione. È chiaro che sta succedendo qualcosa.
La società industriale era piramidale. Alla base della piramide serviva lavoro umano. In mezzo alla piramide c’era l’elaborazione dell’informazione, ossia una classe di burocrati, e in cima alla piramide c’erano i proprietari del capitale, vale a dire gli imprenditori e la classe intellettuale, creativa.
Ma sappiamo cosa sta già succedendo, entrando nella rivoluzione informatica. Il fondo di questa piramide, l’automazione, sta decollando. È l’elaborazione dell’informazione, è la specialità del computer. Come società dobbiamo chiederci: tutta questa produttività sta avvenendo grazie alla tecnologia, ma chi vi partecipa? Sarà solo la cima della piramide? In tal caso, cosa faranno gli altri? Che ruolo avranno?
Oppure facciamo qualcosa di più ambizioso? Cerchiamo cioè di invertire la piramide, con una grande classe creativa, dove quasi tutti possono partecipare come imprenditori, artisti, ricercatori.
Non penso che sia utopistico. Credo che in realtà sia tutto basato sull’idea che se lasciamo attingere al loro potenziale padroneggiando i concetti, riuscendo a gestire in autonomia la propria formazione, le persone possono farcela. Pensateci: da cittadini del mondo è veramente esaltante. Pensate al genere di equità che potremmo avere, e a che passo la civiltà potrebbe progredire.
Quindi sono molto ottimista. Penso che sarà un periodo molto esaltante in cui vivere.
Anch’io, a dirla tutta. Con dei lunghi momenti di grande sconforto.