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È ancora possibile riformare sul serio la scuola?

Si sente spesso dire che la scuola è un cantiere sempre aperto, che poi, ogni tanto, crea il capolavoro, la riforma epocale. Tutto è storico, tutto è rivoluzionario – o, almeno, profondamente riformistico. Per restare a questo Cantone e lasciando perdere le iperboli della globalizzazione, credo che l’ultima riforma epocale della scuola ticinese sia l’istituzione della scuola media nel 1974. Insomma, tanti anni fa.

Se lasciamo perdere i tanti compromessi che si sono succeduti fino a oggi – i sistemi si assestano, per difendere le posizioni acquisite e far sì che i cambiamenti non siano troppo innovativi – bisogna ammettere che la storica decisione innescò innumerevoli altre trasformazioni: oltre alla soppressione della scuola maggiore e del ginnasio, la fondamentale riforma determinò la diffusione dei licei, l’ideazione di una nuova legge della scuola, la riforma degli studi magistrali, i nuovi programmi della scuola elementare.

Non da ultimo, la scuola dell’obbligo diventò più lunga di un anno, cancellando quei segmenti scolastici inventati per colmare il buco tra la licenza di scuola maggiore e il traguardo delle quindici candeline sulla torta: in pratica le scuole di avviamento professionale e di economia domestica.

Con gli occhi di oggi si potrebbe arguire che, in definitiva, non è successo nulla di importante, anche perché il mondo circostante è cambiato di più e più in fretta, mentre la cinica selezione scolastica è ancora lì a determinare gran parte della politica scolastica, spesso come atteggiamento reazionario nei confronti di una scuola media che, sino a oggi, non è comunque riuscita a mantenere tutte le promesse di quegli anni lontani, così ardenti e traboccanti di sogni.

Per chiarezza, sono dell’opinione che il progetto «La scuola che verrà» ha poco di storicamente rilevante, tanto che è ancora da capire se, nei confronti delle più alte finalità della scuola pubblica e obbligatoria, cambierà concretamente qualcosa. Per ora la selezione scolastica percorre ancora strade darwiniste, il calendario scolastico si rifà a quello della nascita della scuola popolare (oltre due secoli fa), l’organizzazione di base è impantanata nella sacra triade dell’insegnante che lavora nella Sua aula e coi Suoi allievi. Siamo fermi all’Ottocento.

Mi ha colpito una recente decisione del governo ginevrino, che ha allungato l’obbligatorietà della frequenza scolastica fino a 18 anni, quindi tre in più rispetto alla tradizione che prevede il «liberi tutti» a 15 anni. I motivi della decisione – che, di per sé, non ha niente di epocale, considerata la percentuale altissima di ragazzi che continua la sua formazione dopo il termine anagrafico – sono molto pragmatici: «Circa 1000 giovani, di cui la metà minorenni – ha scritto la Tribune de Genève – interrompono annualmente la loro formazione alla scadenza dei 15 anni. Secondo il Dipartimento dell’istruzione pubblica il rischio che si ritrovino disoccupati è quattro volte più alto di ogni giovane diplomato». Pensiamoci. Il limite dei 15 anni prima di andare a lavorare è stato fissato quando il mondo era un altro. Quella sì, potrebbe trasformarsi in una riforma epocale, perché permetterebbe di riorganizzare da cima fondo una scuola nuova – sempre che al Paese importi qualcosa di formare cittadini critici, cólti, competenti e – perché no? – pure felici, pronti ad affrontare nuove sfide ogni giorno che passa e a contribuire al benessere di ognuno.

L’attualità di don Milani, malgrado le censure di mezzo secolo fa

A cinquant’anni dalla scomparsa di don Lorenzo Milani (1923-1967), «Dialoghi», il bimestrale di riflessione cristiana diretto da Enrico Morresi, ha allegato al n° 248 dell’ottobre 2017 un interessante quaderno curato da Aldo Lafranchi: don Lorenzo Milani cantore e martire della Verità. L’autore prende le mosse dal libro Tutte le opere di Lorenzo Milani, edito in maggio dall’editore Mondadori.

Non si tratta, come ci si poteva pur attendere, di un comune saggio a cavallo tra la deferenza e la celebrazione, bensì di un tentativo di restituire la complessa figura di questo prete anomalo, con diversi contributi di rilievo rispetto alla conoscenza più diffusa. In tal senso Lafranchi si attiene strettamente agli scritti di don Lorenzo, realizzando una personale scelta di brani, raggruppati in alcuni momenti significativi: gli anni verdi, il ministero pastorale, la Scuola Popolare, la scrittura al servizio della lotta alle ingiustizie sociali… Scrive nell’introduzione: «Il presente lavoro è offerto a chi, sui dati biografici di don Lorenzo, è fermo a Lettera a una professoressa, alle due lettere, ai cappellani militari e ai giudici, a “l’obbedienza non è più una virtù” e al castigo dell’isolamento a Barbiana. L’intento è di mettere a profitto i due volumi di Tutte le opere per spalancare le finestre sulla vita di un uomo promesso a un fascino particolare».

Faccio parte della (probabilmente) lunga schiera di ignoranti che conoscono don Milani attraverso la Lettera e poco più, ciò che, tuttavia, non mi fa sprofondare dalla vergogna. A differenza di altri, la Lettera ce l’ho ancora sotto mano – conservo gelosamente una copia acquistata nel 1976 – e, già allora, l’avevo letta tutta. Mi occupo e mi sono occupato di don Milani per il suo contributo involontario alla storia delle idee pedagogiche, un impegno che possiede ancor oggi una grande tensione etica: perché la scuola dell’obbligo non può avere lo scopo di selezionare le future élite, e nemmeno di legittimarle, neanche fosse l’infallibile depositaria del destino di ognuno.

Eppure, più o meno da sempre, si sono letti attacchi durissimi contro le sue idee e i suoi sostenitori – che, detto per inciso, è difficile capire se siano tanti o pochi.

All’esame scritto di pedagogia, in quella ormai lontana primavera del 1974 che mi avrebbe consegnato la patente di maestro di scuola elementare, mi toccò un tema tratto dalla «Lettera a una professoressa»: Bocciare è come sparare in un cespuglio. Forse era un ragazzo, forse una lepre. Si vedrà a comodo. Non saprei neanche dire se questo autore fosse stato trattato specificamente negli anni della formazione. Già l’anno d’acquisto del volume confermerebbe questa ipotesi; ricordo, in IV magistrale, il Rapporto sulle strategie dell’educazione (più noto come Rapportro Faure), e poi Jean-Jacques Rousseau e l’Emilio, John Dewey, Édouard Claparède (L’educazione funzionale), Jerome Bruner (Verso una teoria dell’istruzione, mi pare).

Di bocciature e di “pari” opportunità

Il tema della bocciatura è ben presente in don Milani e in tanti autori prima di lui. Non è dunque chissà quale novità nel contesto della storia delle idee pedagogiche – con la precisazione che la Lettera, attribuita ai ragazzi della scuola di Barbiana, non è intenzionalmente un saggio di pedagogia, bensì si configura come un duro attacco alla scuola italiana di quegli anni e al potere politico che l’aveva istituita e che la governava.

In altri scritti che compaiono nel mio blog ho più volte parlato del tema della bocciatura, che ha a che fare con l’indifferenza alle differenze e col primato dell’insegnamento, che dovrebbe avere il sopravvento su ogni forma di esclusione e di certificazione durante la scuola dell’obbligo. Sappiamo fin troppo bene come a creare l’insuccesso scolastico ci sia una lunga serie di variabili che si preferisce omettere, ipocritamente, quando si parla dell’organizzazione della scuola – e di quella pubblica e obbligatoria in particolare. Con il comodo alibi delle pari opportunità si sorvola sulla possibilità che l’insegnante non sia all’altezza dei suoi compiti, che i programmi scolastici non siano un dogma, che gli strumenti per la valutazione (i test e le loro scale di misurazione) siano assolutamente soggettivi e parziali.

Quel che non si dice e non si cita

Come una specie di nemesi, gli slanci pedagogici di don Milani sono stati costretti a pagare tributi importanti sin dalla loro pubblicazione. Sono convinto che ciò sia accaduto, e continua ad accadere, perché della scuola di Barbiana si cita solo ciò che fa comodo, tralasciando invece importanti passaggi che avrebbero infastidito, già nel ’68 e dintorni, chi impugnava don Lorenzo come un vessillo rivoluzionario e anche chi, oggi (ma sempre meno), ne fa una bandiera senza conoscere il testo di riferimento: che non è universale, ma è radicato nell’Italia di quegli anni, dopo il fascismo, con la questione meridionale del tutto irrisolta, il peso della chiesa cattolica e le tensioni tra democristiani e comunisti. In realtà la professoressa del titolo non era un’insegnante qualsiasi, bensì il prototipo dell’insegnante di quella scuola pubblica e di quegli anni – e forse tutt’altro che estinta.

Ecco, per esemplificare, qualche passaggio della Lettera che in quegli anni là non era citato, perché sicuramente non avrebbe fatto comodo, col rischio di far seppellire da una risata la Lettera tutt’intera: com’era d’uso.

Maestri disoccupati. Si sente lamentare che c’è troppi maestri. Non è vero. È che quel posto ha fatto gola a tanti cui di fare il maestro non importa nulla. Se aumentate l’orario spariranno tutti. [pag. 113]

Processo penale. Attualmente lavorate 210 giorni di cui 30 sciupati negli esami e un’altra trentina nei compiti in classe. Restano 150 giorni di scuola. Metà dell’ora la sciupate a interrogare e fa 75 giorni di scuola contro 135 di processo. Anche senza toccare il vostro contratto di lavoro potreste moltiplicare per tre le ore di scuola. Durante i compiti in classe lei passava tra i banchi mi vedeva in difficoltà o sbagliare e non diceva nulla. Io in quelle condizioni sono anche a casa. (…) Ora invece siamo «a scuola». (…) C’è silenzio, una bella luce, un banco tutto per me. E lì, ritta a due passi da me, c’è lei. Sa le cose. È pagata per aiutarmi. E invece perde il tempo a sorvegliarmi come un ladro. [pag. 127-8]

Pieno tempo e famiglia. La scuola a pieno tempo presume una famiglia che non intralcia. Per esempio quella di due insegnanti, marito e moglie, che avessero dentro la scuola una casa aperta a tutti e senza orario. (…) L’altra soluzione è il celibato. [pag. 86]

Pieno tempo e diritti sindacali. C’è capitato in mano un giornaletto sindacale per insegnanti: «No all’aggravio dell’orario di cattedra! Ci sono state battaglie sindacali memorabili per fissare l’obbligo orario e sarebbe assurdo tornare indietro». Ci ha messo in imbarazzo. A rigore non possiamo dir nulla. Tutti i lavoratori lottano per ridurre l’orario e hanno ragione. Ma il vostro è un orario indecente. [pag. 88]

Più ciechi ancora. Il professore più a sinistra l’ho sentito parlare per l’Associazione Insegnanti e Famiglie. A proposito di doposcuola gli scappò detto: “Ma voi non sapete che io faccio 18 ore di scuola la settimana!”. La sala era piena di operai che si levano alle quattro per il treno delle 5.39. Di contadini che, d’estate, 18 ore le fanno tutti i giorni. Nessuno rispose, né sorrise. Cinquanta sguardi impenetrabili lo fissavano in silenzio.

Dicesi maestro. Una sola compagna mi parve un po’ elevata. Studiava per amore dello studio. Leggeva dei bei libri. Si chiudeva in camera a ascoltare Bach. È il frutto massimo cui può aspirare una scuola come la vostra. A me invece m’hanno insegnato che questa è la più brutta tentazione. Il sapere serve solo per darlo. «Dicesi maestro chi non ha nessun interesse culturale quando è solo». [pag. 110]

Le riforme che proponiamo. Perché il sogno dell’eguaglianza non resti un sogno vi proponiamo tre riforme. I – Non bocciare. II – A quelli che sembrano cretini dategli la scuola a pieno tempo. III – Agli svogliati basta dargli uno scopo. [pag. 80]

Vorrei che fosse chiaro: non credo che alla scuola servano insegnanti celibi e nubili. Non ho mai creduto nella vocazione o nella missione. Ma è fondamentale, credo, decidere di voler fare l’insegnante come contributo al benessere democratico e culturale e alla crescita del Paese e ricevere una formazione che parta dal ruolo istituzionale del maestro di scuola, che approfondisca e delinei i suoi compiti deontologici. A partire da lì sarà poi possibile riempire la cassetta degli attrezzi con tutti gli strumenti didattici più adeguati per raggiungere le vere finalità della scuola.

Per restare al tema della bocciatura, non ho mai creduto alla nota politica. Non è che se certifico una conoscenza inesistente faccio un favore all’allievo e al paese. «Dell’«insegnante di greco molto odiato ma i cui allievi imparano il greco bene», don Lorenzo si limita a prendere atto che la funzione del professore è di insegnare il greco, non d’essere amato…» [Articolo di A. Lafranchi, pag. 9].

Sante parole, forse è il caso di dirlo.

A scuola non servono paladini della vocazione, ma professionisti preparati e motivati

Quanto alle tante stilettate inferte alla professoressa e, più in generale, all’establishment del tempo, non si tratta, né oggi né ieri, di farne una questione sindacale, riducendo il tutto a ore e giorni di presenza a scuola. Nondimeno, prima o poi, converrà riflettere anche sulla distribuzione del tempo di un anno tra quello educativo e formalmente istruttivo rispetto ai compiti di semplice sorveglianza e di formazione-educazione del tutto informale. Perché potrebbe anche essere che riempire i tempi delle pause scolastiche con ogni sorta di attività para e/o dopo scolastica si traduca in definitiva in un uso poco intelligente del tempo disponibile per crescere bene.

Don Milani condusse la sua battaglia per l’uguaglianza affinché i suoi ragazzi capissero il Vangelo. «Ho l’incarico di predicare il Vangelo. Predicarlo in greco non si può perché non intendono. Sicché bisogna predicarlo in italiano, ma i miei parrocchiani l’italiano non l’intendono. Trovo l’ostacolo della lingua e alla lingua mi dedico. Considerando lingua tutti i problemi della scuola» [Articolo di A. Lafranchi, pag. 9]. Era importante che capissero l’italiano, non solo come puro e semplice utensile comunicativo, ma come strumento complesso che comprende la cultura in tutte le sue accezioni. Anche la scuola dello Stato ha un suo vangelo, sperando che sia assolutamente laico.


Riferimenti

ALDO LAFRANCHI, Don Lorenzo Milani cantore e martire della Verità, Quaderno speciale allegato a «Dialoghi», N° 248, ottobre 2017, p. 32 | Il quaderno può essere richiesto alla redazione di «Dialoghi», all’indirizzo allinyg@hotmail.com (la spesa è di 14 franchi).

RUOZZI, A. CANFORA, V. OLDANO, Tutte le opere di Lorenzo Milani, 2017, Milano: Mondadori (collana I Meridiani), EAN 9788804657460, 2 volumi, pagine CXXXVII-2809, 140 €

SCUOLA DI BARBIANA, Lettera a una professoressa, 1967, Libreria editrice fiorentina

Sono passati cent’anni, ma la scuola vecchia resiste, in barba ai suoi acciacchi

Quando, il 1° agosto scorso, ho pubblicato qui la mia inchiesta sul IV congresso della Ligue Internationale pour l’Éducation Nouvelle (LIEN), che si era tenuto a Locarno dal 3 al 15 agosto 1927, non mi aspettavo certo immediate reazioni, soprattutto locali.Dal Ticino, che di questi tempi è al contempo elettrizzato – ehi raga!, c’è Locarno Festival – e sonnacchioso, non mi attendevo chissà quali sussulti. Se nessuno se n’è accorto per novant’anni, non sarà certo uno starnuto nel mio sito a far sussultare gli animi dei più (che sono in vacanza, mica al Festival del film).

Tuttavia ho ricevuto alcuni messaggi autorevoli, che mi hanno fatto piacere.

Per cominciare Marco Balerna, ex sindaco di Locarno, ha commentato così: Grazie Adolfo per averci ricordato che Locarno non è stata solo la «Città della Pace», ma anche «Città della Scuola». Se solo si fosse continuato e perseverato su certi principi e certe realtà… Ma così va il mondo: bisogna sempre ricominciare e ricominciare. Che fatica. Ma questo è il nostro destino di uomini.

Nei giorni seguenti, da Ginevra, dove ho studiato, mi sono arrivati altri messaggi che mi hanno fatto un poco arrossire: non cito gli autori, perché non ne ho chiesto il permesso, e non riporto cosa mi hanno scritto, perché va bene un po’ di vanità, ma vediamo di non esagerare.

Detto questo voglio segnalare due cose.

1. Il 14 e 15 settembre gli Archives Institut Jean-Jacques Rousseau organizzano un colloquio internazionale sul tema Genève, une plateforme de l’internationalisme éducatif au 20è siècle. Va da sé che l’utopia della Lega Internazionale per l’Educazione Nuova ha molto a che fare con l’esprit éducatif genevois. Chi è interessato (io lo sono, ma in quei giorni dovrò essere a Locarno, perché c’è «Piazzaparola», di cui scriverò da qui a là) trova all’indirizzo indicato tutto quel che serve.

2. Inoltre: il mio fascicolo 1927: Locarno accoglie l’Educazione Nuova è ora disponibile anche nel sito di Lien International d’Éducation Nouvelle. Ne sono contento, perché anche così si offre una maggiore diffusione alle idee di cui sono portatori i due LIEN, quello di oggi e quello di un secolo fa, che continuano a sognare un cambiamento del contratto scolastico, per andare verso una scuola che non etichetti più nessuno e che non selezioni più la gioventù, ma la istruisca e la educhi, seriamente e con gioia.

Il Manifesto di LIEN, nato durante il simposio di un anno fa a Villeurbanne, nei pressi di Lione (lo si può scaricare qui) è di grande interesse, meglio ancora se si riesce a leggerlo tenendo in filigrana le (H)armo(S)nizzazioni odierne – in bilico tra editti dai toni suadenti e piani di studio di non esemplare chiarezza – la Scuola che verrà e i tanti dibattiti un po’ scontati, che si susseguono negli ambienti politici e si riflettono specularmente sui media.

Mi limito a citare due o tre argomenti, tratti dal Manifesto, che fanno spesso capolino nei discorsi dei politici e che, naturalmente, rispecchiano e rinvigoriscono i pareri dell’opinione pubblica.

  • La fratellanza confusa con la compassione, che valorizza l’aiuto e il sostegno ai più sfavoriti, rafforzando e legittimando in tal modo le disuguaglianze.
  • «Le pari opportunità», falsamente garantite dalla Scuola, che sono una frottola sociale, perché consolidano un sistema ingiusto, insinuando in ognuno il convincimento di «meritare» la propria sorte. Attraverso le cosiddette pari opportunità si impedisce che si protesti o che si esiga chissà che, dal momento che si è fatto di tutto per offrire a ognuno la possibilità di riuscire. Si tratta di una mistificazione che scaturisce dal presupposto che il successo degli uni e l’insuccesso degli altri si spiegano attraverso i “doni” ricevuti alla nascita o i meriti personali.
  • La certezza che la competizione accresce la motivazione, incoraggia l’apprendimento e giustifica sforzi e sacrifici, dissociando il piacere e il lavoro.
  • Transeat, invece, sul tema della differenziazione, un’araba fenice dalle millanta interpretazioni (di comodo).

Insomma: secondo un modo di dire comune la scuola, parlo di quella dell’obbligo, è un cantiere sempre in movimento, per dire che si è pronti ad affrontare, giorno dopo giorno, ogni novità.

Eppure, ogni tanto, viene il dubbio che anche la scuola, a immagine del capolavoro di Tomasi di Lampedusa, auspichi che sotto sotto «Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi».

Il fascino di imparare per imparare, e creare insieme cose bellissime!

In questo cantone smodato succedono a volte delle “cose” che converrebbe propagandare a dovere, mentre invece se ne viene a conoscenza un po’ per caso. Nel passato fine settimana gli occhi del Ticino tutto – si fa ovviamente per dire – erano rivolti agli appuntamenti referendari, quello cantonale sui rifiuti (partecipazione del 41.7%) e quello federale sull’energia (42.3% in Svizzera), alla Notte bianca di Locarno e alla manifestazione podistica straLugano (per la cronaca ha vinto un keniano).

Al LAC di Lugano c’era invece il concerto di Superar Suisse. Carneade? Sì.

Sono grato al direttore generale delle scuole comunali di Lugano, Sandro Lanzetti, che me ne ha accennato giusto due mesi fa, in occasione di un incontro informale e amichevole, e di aver messo in questa informazione tanta passione e un’emozione neanche troppo velata.

«Superar Suisse» è la ramificazione di un progetto europeo, che, a sua volta, si è ispirato al famoso «El Sistema», un modello didattico musicale, ideato e promosso in Venezuela da José Antonio Abreu, che consiste in un sistema di educazione musicale pubblica, diffusa e capillare, con accesso gratuito e libero per bambini di tutti i ceti sociali.

Superar è un termine spagnolo che significa andare oltre i limiti, vincere e crescere andando oltre i propri confini.

Si legge nel sito elvetico che «Superar utilizza tutte le possibilità e gli effetti positivi che la promozione musicale e artistica rappresentano, al fine di dare un notevole contributo al cambiamento in senso egualitario della società. Superar è stata fondata nel 2009 dal Konzerthaus di Vienna, il Vienna Boys Choir e la Caritas dell’Arcidiocesi di Vienna come un progetto musicale dell’Europa centrale ricalcante lo stile del progetto “El Sistema” venezuelano. Nel corso degli anni Superar è cresciuta rapidamente, sia in Austria che in altri paesi. Attualmente è attiva in 14 sedi in Austria e in dieci sedi in Slovacchia, Svizzera, Liechtenstein, Romania e Bosnia. Superar Suisse è stata fondata nel 2012. [Essa] rende reale un’educazione musicale di alta qualità sia nella formazione della voce e del canto, sia nella formazione strumentale orchestrale per tutti i bambini e adolescenti – a prescindere dalla loro origine familiare e situazione economica».

Per farla breve, ho assistito a un momento musicale e sociale molto appassionante, assieme a un pubblico folto, entusiasta e caloroso. Al LAC, domenica, c’erano i ragazzini del coro e dell’orchestra di Lugano (oltre cento ragazzine e ragazzini tra gli otto e i dieci anni), con i cori di Winterthur e del Vorarlberg e le orchestre di Zurigo e Milano. Sotto la direzione dei maestri Marco Castellini, Carlo Taffuri e Pino Raduazzo hanno dato vita a un’ora di belle emozioni, dove i termini di energia, entusiasmo e divertimento hanno caratterizzato l’evento, annullando le inevitabili esitazioni esecutive.

È vero che il seme originario – El Sistema venezuelano – nel frattempo ha generato l’Orquesta Sinfónica Simón Bolívar e ha lanciato nel firmamento artistico mondiale musicisti di sicura fama, uno su tutti il direttore d’orchestra Gustavo Dudamel. Ma la forza di Superar, discendente europeo di El Sistema, risiede nel grandissimo progetto di coinvolgere chi, per scelta autonoma, non avrebbe probabilmente mai imboccato un’avventura artistica come questa.

Sarebbe banale, e pure stucchevole, imboccare un discorso sulla forza educativa della musica d’assieme, che si potrebbe facilmente ergere a modello educativo. Però mi piace l’idea che questi ragazzi, sotto la guida e la partecipazione di maestri che non sono assillati da sciocchi traguardi di pagelle e certificazioni inoppugnabili e troppo spesso definitive, diano vita – gioiosamente e insieme – ad armonie che sono artistiche e, nel contempo, sociali. Qualche insegnamento lo dovrebbe pur ricavare anche la scuola dei test, degli esami reiterati e un poco tribunaleschi. Quella dell’immediata e finta spendibilità di acquisizioni scolastiche troppo spesso solo scolastiche.

Mi ha detto un collega luganese all’uscita: «Conosco tanti di questi ‘orchestrali’ e ti posso garantire che, tra i banchi di scuola, non sono sempre facilmente gestibili».

Chissà come mai a scuola no e in orchestra sì? Vuoi vedere che…

Superar Suisse sarà alla Tohnalle di Zurigo l’11 giugno alle 11.15 e il 29 giugno alle 19 alla Elisabethenkirche di Basilea.


I principi di Superar sono:

  • la regolarità e l’assiduità: almeno due lezioni, ma al meglio tre o quattro alla settimana.
  • Gratuità: La partecipazione alle lezioni Superar sono gratuiti per i bambini e genitori.
  • Pari opportunità: Superar si prefigge che tutti i bambini e i giovani possano accedere all’istruzione musicale, che si estende evidentemente in campo artistico e culturale. In tal modo Superar vuole rafforzare la loro partecipazione nella società e potenzialmente migliorarne le opportunità.
  • Preparazione artistica: Superar stabilisce elevati livelli artistici e di insegnamento per la selezione dei suoi tutor. Regolari aggiornamenti di essi anche contemporaneamente a Tutor Superar di altri paesi – che garantiscono l’alta qualità dell’insegnamento.
  • Respiro internazionale: Superar è finora l’unico progetto ispirato al programma El Sistema venezuelano, ad essere attivo in diversi paesi, tenendo concerti congiunti, corsi di formazione e incontri, sia per i tutor che per la direzione Superar, nonché per i bambini e gli adolescenti che ne fanno parte.
  • Ulteriori sviluppi: Superar è concepito come un programma di costruzione e formazione che fornisce moduli avanzati per permettere a tutti anche un futuro percorso artistico.