«A mio modo di vedere nella scuola ticinese c’è un eccesso di pedagogia. I docenti si sono trasformati in assistenti sociali, attenti solo alle dinamiche relazionali. L’istruzione strettamente detta viene sempre meno». Questo è il concetto di pedagogia secondo il professor Danilo Boggini, presidente di quel collegio dei docenti del liceo di Bellinzona che nei giorni scorsi ha lanciato il suo «Appello per la scuola», affinché i genitori di questo cantone possano «… essere compiutamente informati in merito alla scuola che frequentano i nostri figli». Ohibò! Che la scienza di Socrate e Quintiliano, di Rousseau e Pestalozzi, di Freinet e don Milani diventi uno strumento per trasformare gli insegnanti in assistenti sociali, non è solo una bufala, ma una sparata che deve far riflettere. È ovvio che il pulpito dal quale scende la predica ha la sua importanza. E il pulpito, in questo caso, è quello del liceo, una scuola post-obbligatoria che, giustamente o meno, ha tassi di selezione particolarmente elevati, soprattutto durante il primo biennio. Il che, di per sé, non deve scandalizzare. Si potrebbero dire tante cose sull’impostazione di fondo dell’appello bellinzonese, ed altri lo stanno facendo meglio di me. Ma non si possono nemmeno sottacere talune contraddizioni.
Ad esempio non sta in piedi affermare da una parte che, per colpa dei tagli ai bilanci, «non ci sono più risorse sufficienti per un’offerta adeguata di corsi di sostegno e di recupero» e, dall’altra, dire che sarebbe necessario diminuire drasticamente il numero degli studenti liceali. Nessuno pretende che il liceo, scuola che avvia a studi terziari, debba dotarsi del sostegno pedagogico o di altri approcci tipici della scuola dell’obbligo. È forse utile ricordare che c’è una sostanziale differenza tra sostegno pedagogico e recupero: il primo è materia da specialisti dell’apprendimento ed è una tipica struttura della scuola dell’obbligo. Il secondo, più semplicemente, è un modo per dare una mano a chi, di tanto in tanto, fa fatica a seguire qualche insegnamento specifico: e nella scuola elementare fa parte dei normali compiti dell’insegnante, senza bisogno di monte-ore. Tuttavia anche il liceo ha bisogno della sua specifica pedagogia: per insegnare non è sufficiente “sapere le cose”. Insegnare, per contro, significa fornire nozioni teoriche o elementi pratici affinché l’allievo impari, costruisca nuove competenze, le arricchisca, diventi un cittadino curioso, consapevole, partecipativo. E ancora, la pedagogia ci soccorre nel momento della valutazione: le note – purtroppo – sono spesso un cocktail di soggettività e convinzioni del tutto personali e raramente esplicitate. Dimostrare delle competenze o delle conoscenze non significa limitarsi a restituire nozioni a memoria, col bel risultato che, ogni tanto, non sono i migliori a proseguire, bensì i più furbi o fortunati.
Se però volessimo fare a meno della pedagogia, potremmo muoverci come quel liceo svizzero-tedesco che, nel 2004, aveva lanciato un progetto pilota: lezioni senza docente per promuovere l’apprendimento individuale; gli allievi ricevono una lista di “cose da sapere” e devono sbrogliarsela da soli. Gli insegnanti saranno presenti per assisterli solo per un’ora settimanale (invece delle odierne tre o quattro), salvo ovviamente essere raggiungibili tramite posta elettronica. A quel punto sarebbe sufficiente organizzare due o tre sessioni d’esame, prendendo due piccioni con una sola fava: da una parte si risparmierebbero un bel po’ di milioni, dall’altra si omologherebbero le valutazioni, senza più perverse differenze da un metro di giudizio all’altro. A ben pensarci è ben più affascinante vagheggiare un liceo rispettoso, serio, rigoroso, dove il maggior numero possibile di studenti acquisisce il maggior numero possibile di conoscenze e di competenze. Anche perché, come ha scritto don Lorenzo Milani, «Bocciare è come sparare in un cespuglio. Forse era un ragazzo, forse una lepre. Si vedrà a comodo». E aggiungeva: «La scuola ha un problema solo. I ragazzi che perde». Anche questa è pedagogia.