Mezzo secolo di femminismo impegnato ha prodotto una diversa percezione dell’universo femminino, ma non ha ancora sconfitto taluni pregiudizi che portano a galla il nostro lato più scimmiesco, al di là del compiacimento nel definirci sapiens. Una riprova la si ha in questi giorni, ascoltando le chiacchiere piazzaiole attorno alla vicenda di don Italo, il parroco di Gordola accusato di molestie e atti sessuali con fanciulli. Le modalità dell’arresto del sacerdote – una scena degna della miglior tradizione cinematografica statunitense – e, soprattutto, il ruolo della minorenne che avrebbe fatto da esca infilzata sull’amo della polizia – stanno dividendo l’opinione pubblica: c’è chi giudica inammissibile il comportamento di don Italo e c’è chi, viceversa, è più propenso a colpevolizzare la ragazzina precoce e ammiccante, rea di aver solleticato oltre misura gli istinti repressi del prete, che è maschio prima che ministro di Dio: il che porta irrimediabilmente a concludere che non è fatto di legno, come suol dirsi.
Lungi da me anche solo il ghiribizzo di prender posizione pro o contro l’accusato, la vittima, la polizia o la magistratura. Però questo filosofeggiare attorno a un plausibile peccato originale della ragazza deve suscitare una seria riflessione, perché non si può ammettere che un qualsiasi adulto si trasformi in uno sporcaccione, solo perché una ragazzina gli fa l’occhiolino più o meno inconsapevolmente. Intanto bisogna precisare che il concetto di “maggior età” è una convenzione e non una massima divina. C’è una maggior età civica e ce n’è un’altra “sessuale”; entrambe sono definite dal legislatore e si modificano nel tempo, adattandosi di volta in volta alle nuove realtà e alle ideologie dominanti. È certo curioso osservare che, mentre molti studiosi sottolineano come l’adolescenza sembri prolungarsi sempre più nel tempo, gli Stati tendono vieppiù a ridurre l’età di transito al rango di adulto.
Ma la relazione tra adulti e fanciulli – come si chiamano i nostri cuccioli in questo genere di faccende – non può limitarsi ai semplici dati anagrafici, che sono tutto sommato solo dei numeri, forse delle medie. Ciò vale soprattutto di fronte a persone che, per l’attività che svolgono, si ritrovano in una posizione gerarchicamente superiore rispetto al pubblico di cui si occupano: sacerdoti, certo, ma anche insegnanti, infermieri, capiufficio e via di seguito. Ciò che don Italo avrebbe fatto è grave di per sé, indipendentemente dalle eventuali provocazioni e dalle insidie consapevolmente celate nel tranello. E resterebbe grave anche se la ragazzina avesse avuto due o tre anni di più. Purtroppo questa vicenda – o, per lo meno, le chiacchiere che le ruotano attorno – ha messo in luce che anche da noi c’è chi è disposto a perdonare il maschio che si lascia trascinare dai suoi istinti primordiali, se solo si può ipotizzare che la vittima – una femmina! – ha usato le armi della tentazione, magari senza nemmeno accorgersene.
Sembra, insomma, di esser tornati ai tempi delle prime minigonne, quando c’era chi lanciava i suoi moralistici anatemi: poi non lamentatevi se vi violentano per la strada. Non ci sono santi che tengano: un atteggiamento del genere deve essere respinto, poiché inaccettabile e irrispettoso. Se, per contro, intendiamo prestar fede all’assioma secondo cui le donne, in primo luogo quelle giovani, carine e seducenti, possono diventare potenzialmente pericolose per i maschi più sensibili e frustrati, allora è meglio correre subito ai ripari: ad esempio introducendo il saio obbligatorio nelle scuole medie e nei licei, negli oratori e negli ospedali, nelle sale da ballo e in tutti i luoghi dove satana potrebbe lasciare il suo segno malefico.