Un matrimonio diverso e in apparenza un po’ strambo

Copertina flyer italmatica_Pagina_1L’esogamia, in etnologia, è la regola, adottata da tanti popoli dell’antichità, che prescriveva il matrimonio tra persone di altre tribù. La biologia invece, che definisce l’esogamia come un metodo riproduttivo attraverso l’incrocio di individui poco affini, dà implicitamente la spiegazione scientifica alla scelta di “quei” popoli che, per primi e in maniera molto assennata, avevano capito che l’arricchimento del patrimonio genetico era fondamentale per il miglioramento della specie Homo sapiens. Ho conosciuto la prorompente forza dell’esogamia leggendo Edgar Morin, in particolare il suo Le paradigme perdu: la nature humaine del 1973, e seguendo all’università le lezioni su questo tema di quel grande maestro che è stato per me Walo Hutmacher.

Non è il caso che mi metta a declamare più o meno a memoria le mie (presunte) conoscenze sul tema e le loro ricadute in termini di educazione. Basti dire che, secondo il filosofo e sociologo francese, senza l’esogamia Homo sapiens non sarebbe diventato l’animale così evoluto che conosciamo, una bestiola capace di sragionare, ma proprio per questo pure ingegnoso nel fare nascere ordine dal caos: determinando la sua stessa evoluzione.

La questione m’è venuta in mente pensando al titolo del convegno organizzato nel giugno prossimo dal Dipartimento Formazione e Apprendimento della SUPSI. Silvia Sbaragli, PhD in Mathematics Education, e Simone Fornara, dottore di ricerca in linguistica italiana, ideatori del convegno e, soprattutto, iniziatori di questa bella storia d’amore tra due individui appartenenti a tribù diverse, han voluto chiamare il convegno «Questo matrimonio s’ha da fare», con sottotitolo didascalico e chiarificatore: «Italiano e matematica nella scuola del terzo millennio».

Insomma, non hanno resistito alla voglia di ribellarsi all’esortazione del bravo, che aveva intimato al pavido e accomodante Don Abbondio: questo matrimonio non s’ha da fare, né domani, né mai. Sappiamo com’è andata a finire la storia di quel matrimonio.

Resta che, come hanno scritto Silvia Sbaragli e Simone Fornara nella presentazione dell’evento, il convegno che propongono va decisamente contro i luoghi comuni, quei luoghi comuni che oppongono pressoché da sempre l’italiano e la matematica, falsamente definite disciplina pressappochista e “creativa” la prima, scientifica e “pignola” la seconda. Per poi accorgersi, soprattutto fuori dalla scuola, che entrambe sono discipline umaniste, che han solo da guadagnare da un matrimonio come questo. Si noti, d’altra parte, che la matematica, sostantivo femminile, è disciplina che, nel pensare popolare, s’addice soprattutto agli uomini, mentre l’italiano, sostantivo maschile, può andar bene anche per cervelli di donna. Ditelo a Margherita Hack o a qualche sua collega di ieri e di oggi.

Insomma: tante fantasie da parte di uno che alla matematica ha sempre dato del Lei senza capirla molto, per segnalare il convegno italmatico del 25 giugno e per raccomandare a ognuno di prendervi parte. Perché la scuola, soprattutto quella dell’obbligo, ha un gran bisogno di arricchire il proprio patrimonio genetico.

2 commenti su “Un matrimonio diverso e in apparenza un po’ strambo”

  1. Caro Adolfo,

    Sono senza parole, è il caso di dirlo visto il tema del congresso! Non ti insegno nulla di nuovo ricordandoti che almeno un matrimonio su due finisce con un divorzio, perché non si va più d’accordo, non si hanno più punti in comune, non si valuta più il mondo con lo stesso metro! Più che un matrimonio d’amore, il vostro mi sembra un matrimonio forzato, imposto con i dolori che ne conseguono: una bella trovata per scrollarsi di dosso l’impasse epistemologica nella quale si trova il mondo dell’insegnamento moderno. Il titolo del vostro convegno è coraggioso, anche se, in un certo senso, al passo coi tempi. Molti sono gli esempi di associazioni azzardate tra campi di ricerca e di analisi distanti l’uno dall’altro! Penso a certe correnti terapeutiche o certi fenomeni artistici e tecnologici. Certo, nel nostro mondo tutto è fattibile e spesso i risultati sono gradevoli, ma di frequente strappati con l’inganno. Non basta metter lì due campi d’indagine per sperare che nasca un prodotto fatto un po’ dell’uno e un po’ dell’altro. Il problema è molto più grave. Per il momento, i tempi non sono maturi per associare delle problematiche così culturalmente distanti. Il rischio di importare da un campo all’altro concetti e modi di pensare senza alcun controllo epistemologico è alto. Per esser seri, al di là del progetto del convegno, dobbiamo prima di tutto padroneggiare i criteri di controllo necessari alla gestione del meccanismo di import/export. Sennò rischiamo di diluire e magari anche modificare sostanzialmente concetti che l’uno o l’altro dei due campi ha impiegato secoli a sviluppare. In altri termini, si tratta, per me, di capire come un concetto, un’idea possa esistere al di fuori del suo campo di riferimento.
    E poi: il segnale al mondo dell’insegnamento è problematico, visto che gli insegnanti hanno una certa difficoltà a individuare la natura e la specificità degli oggetti e dei contenuti insegnati. Mi sembra che con questo colloquio non fate altro che annebbiare la visione già precaria del mondo della conoscenza. Chi ha pratica di formazione degli insegnanti sa benissimo con quale difficoltà questi definiscono le proprietà di ciò che stanno insegnando. Andate a chiedere alle maestre d’asilo (con tutto il rispetto per l’amor del cielo, ne sono una pure io, lo dico al lettore!), ma non solo, di spigare il contenuto di una lezione destinata a dei piccoli alunni e vedrete come le cose e gli oggetti coesistono in una specie di mescolanza degna di une ricetta di cucina stravagante. E per dirla con i termini del mio amico e matematico François Conne: Tout est dans tout et moi je ne suis pas là!

    Un caro saluto!

    LUCA

    1. Caro Luca,
      a dirla tutta son rimasto anch’io quasi senza parole, dopo questa tua sparata in bilico tra un atto d’accusa e una concione. Capisco certi tuoi tormenti, che riportano a galla il didattico della matematica fresco di studi, quello di una ventina d’anni fa col quale entravo molto facilmente in polemica – a volte tanto per vederti un poco stizzito. Eppure non riesco proprio a seguirti fino in fondo. Quel certo dogmatismo intransigente che caratterizza la predica mi sembra fuori luogo e ammantato di pregiudizi. Come ben sai non sono e non sono mai stato un disciplinarista. Anzi, ancor oggi rifuggo le lobby disciplinari e, nel limite delle mie esigue possibilità, le critico aspramente; esse sono spesso causa prima di tanti mali della nostra scuola. Conosco bene Silvia Sbaragli, Simone Fornara e i loro collaboratori principali. E sono quindi convinto che non diluiranno né modificheranno sostanzialmente «concetti che l’uno o l’altro dei due campi ha impiegato secoli a sviluppare».
      Un anno fa ti avevo invitato a venire a Locarno per «Matematicando», ma avevi declinato, senza nascondere una certa altezzosità. E allora ti rinnovo l’invito: iscriviti al nostro convegno, il 25 giugno l’anno scolastico sarà terminato anche a Ginevra. Sono convinto che ti gioverà l’incontro diretto con una realtà scientifica e pedagogica di valore sicuro e certamente senza spocchie. Nous serons là.

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