E così da quest’anno anche il nostro Cantone, sulla scia dei più blasonati Ginevra e Vaud – per stare ai cantoni neolatini – ha la sua bella scuola elementare in lingua inglese. Gran parte dei ticinesi ne sentiva chiaramente la mancanza, tanto che, per dare risalto al lieto evento, il DECS si è fatto rappresentare al battesimo dal direttore della Divisione della scuola, Prof. Diego Erba. Stando alle cronache locali l’idea è vecchia di almeno vent’anni, ma c’è voluto nientepopodimeno che una riforma legislativa per dare la stura a questa fondamentale innovazione: «Un obiettivo che non si era potuto concretizzare – ha rilevato questo giornale il 6 settembre scorso – poiché la legislazione cantonale non consentiva agli studenti residenti nel Cantone di frequentare la scuola elementare non in lingua italiana. La recente revisione della legge scolastica cantonale – avvenuta grazie alla collaborazione tra il Dipartimento e il Consiglio di Stato da una parte e diverse associazioni, tra le quali la Camera di Commercio Americana in Svizzera, dall’altra – ha reso possibile lo sviluppo di quest’iniziativa a condizione che vengano impartite lezioni in lingua italiana pari al 20 per cento delle ore totali».
Non posso sapere come si ossequierà quest’ultima condizione, ma non è così difficile immaginarlo. Da tempo immemore, ormai, tutte le scuole includono nel loro pacchetto “tutto compreso” ben più di un quinto di attività non propriamente sostanziali, per cui ci vuole veramente poco per inventare quelle cinque o sei ore settimanali durante le quali ci si perita di comunicare nell’idioma dei Chiesa e degli Orelli. D’altra parte ben prima di questa trovata mercantile dell’American School di Montagnola esistevano, qua e là in Ticino, scuole svizzero-tedesche, dove in italiano non ti rispondevano nemmeno al telefono. Ma che ci vogliamo fare? Ormai il settore pubblico della formazione sta cedendo sempre più al privato, al di là del risulto popolare della memorabile votazione del 18 febbraio 2001: se la scorsa settimana a Montagnola era presente ufficialmente il nostro DECS al varo della prima scuola elementare in lingua inglese, non è raro trovare qualche politico che stringe mani e butta là due parole in occasione di questa o quella manifestazione promossa da scuole private: sarebbe curioso fare una statistica, ma credo che, proporzionalmente, sia più facile trovare l’onorevole di turno o il grand commis dello Stato – poniamo – alla consegna dei diplomi della Villa Erica di Locarno piuttosto che in una qualsiasi scuola obbligatoria del Cantone.
Ma il bello è che, pochi giorni dopo l’inaugurazione della grande novità pedagogica ticinese in cima alla Collina d’Oro, è arrivata una singolare e simpatica notizia dalla Commissione della scienza, dell’educazione e della cultura del Consiglio nazionale, che raccomanda di inserire nella legge sulle lingue il principio secondo cui «La Confederazione e i cantoni si adoperano congiuntamente affinché la prima lingua straniera insegnata sia una lingua nazionale». Sarà che noi – quando fa comodo – diventiamo un affettato “Sonderfall”; sarà che a furia di menarla con l’importanza dell’inglese c’è venuto naturale cambiare addirittura la legge per fare un cortesia alla Camera di Commercio Americana in Svizzera: ma rischiamo di rimediare l’ennesima figuraccia, perché – come ha scritto questo giornale – «Se le Camere dovessero confermare la decisione della commissione, i cantoni che hanno optato per l’inglese dovranno fare dietrofront»: noi abbiamo addirittura concesso l’inglese prima ancora dell’italiano. D’altra parte lo stesso Consigliere di Stato direttore del DECS, in risposta ad un attacco un po’ di casta giunto dal “Movimento per la scuola”, negli scorsi giorni ha scritto che «… bisogna spostare l’auspicato dibattito dalle preoccupazioni sindacali, contabili e di risparmio alle questioni di sostanza». Appunto.