Domenica scorsa il popolo ginevrino, chiamato a votare un’iniziativa popolare che aveva raccolto un paio d’anni fa quasi 30 mila firme, ha deciso a larga maggioranza di reintrodurre note cifrate regolari, trimestrali e annuali a partire dalla 3ª elementare. Le note, hanno detto i promotori dell’iniziativa, sono un codice che tutti i genitori capiscono (a parte, beninteso!, gli immigrati dell’ultima ora): sono un cambiamento semplice e cristallino, che mette in risalto una scuola che istruisce prima di educare. La ripetizione cadenzata di prove sancite dalle note, commentate dagli insegnanti e controfirmate dai genitori, sfocerà in valutazioni intermedie e finali: sotto il segno della trasparenza, della comunicazione interattiva e (non lo scrivono ma lo sottintendono) dello statuto di rigorosa imparzialità.
A Ginevra le note della scuola elementare erano state cancellate nel ’99, nell’ambito di una vasta riforma di tutto il settore. Più o meno negli stessi anni, anche l’allora Ufficio dell’Insegnamento Primario aveva ordito un progetto che perseguiva obiettivi affini: perché togliere le note si configura come un tentativo di migliorare l’insegnamento, al riparo da ansiogene competizioni, che vanno solitamente a scapito degli allievi maggiormente in difficoltà. Quel progetto era naufragato ancor prima del battesimo popolare: forse era un po’ contorto. D’altra parte la nostra scuola media era nata senza i mezzi punti e senza la nota di condotta: entrambi reintrodotti dopo qualche anno. Sembrerebbe, insomma, che senza note non sia possibile insegnare – e non è un caso che molti insegnanti difendono a denti stretti questa tutto sommato obsoleta pratica di valutazione, che non ha mai risolto i veri nodi della scuola, ma che, nel contempo, non ha ancora trovato, in gran parte dei sistemi scolastici occidentali, una tangibile e fruttuosa alternativa.
Personalmente credo che la scuola, prima di valutare, dovrebbe insegnare. Invece già a partire dalla scuola media test, blitz, esperimenti e prove tengono banco per un tempo smisurato, a scapito dell’insegnamento. Da più parti si continua a ripetere che le valutazioni cifrate – vale a dire con le notissime note… – rappresentano un modo scientifico (?) per svelare se un allievo ha sufficientemente imparato e se padroneggia quanto è contemplato dai programmi. Eppure la soggettività dei voti scolastici è sotto gli occhi di ognuno: chi non è mai incappato nel maestro magnanimo – largo di manica, si dice – amato dai quegli allievi che, invece, si deprimono quando incappano nel collega con la manica attillata?
Per tornare sulle rive del Lemano, è singolare prendere atto che il popolo ha respinto anche il controprogetto del Gran Consiglio, che tentava almeno di limitare i danni dell’iniziativa attraverso delle prove cantonali – cioè prove da somministrare a tutti gli allievi e quotate con lo stesso metro – e una valutazione regolare degli istituti scolastici, ma senza spingersi fino ai singoli insegnanti. Note o non note, occorre pur dire che dietro una valutazione insufficiente ci può essere effettivamente un allievo che non ha imparato; ma le cause dell’insuccesso possono essere molteplici ed affondare le loro radici nell’allievo stesso, ma anche nel suo insegnante o nella velleità dei programmi. Nonostante tutto continueremo a incontrare allievi che non hanno imparato un tubo ma che mettono in cascina splendidi voti.
Si consideri infine che la votazione ginevrina ha fatto la stessa fine delle votazioni federali sugli stranieri e sull’asilo. Anche la modifica della legge scolastica ha imboccato la strada della chiusura, dal momento che i maggiori beneficiari della scuola che dà i numeri non saranno certo i figli delle classi più scalognate. Questo è il vento che spira sul nostro Paese: ne prendano atto quelli che fanno la nostra scuola, siano essi politici, formatori o dirigenti.