Il portale TicinoLibero ha dato notizia che tre parlamentari – il popolare democratico Giorgio Fonio, il socialista Henrik Bang e la liberale Maristella Polli – hanno presentato un’interrogazione per chiedere di proibire i cellulari a scuola, mirando ad arginare il fenomeno bullismo.
Scrivono che «Sui telefonini l’assedio si moltiplica per dieci, per cento, per mille. Chi è finito nel mirino ha l’impressione che non ci sia nulla da fare, che sia impossibile difendersi. Nasce un senso di solitudine e di impotenza. La vergogna spesso conduce al silenzio: non si osa parlarne ai genitori, ai docenti. Il ragazzino, l’adolescente, si deprime. Se la cosa si prolunga nel tempo, possono comparire idee suicidarie e in qualche caso la vicenda finisce in tragedia».
La proposta non è una novità assoluta. Già sul finire del 2006 un altro parlamentare liberale, all’epoca pure insegnante di scuola media, aveva chiesto al Consiglio di Stato se non fosse «finalmente intenzionato a proibire totalmente l’uso del telefonino in tutte le scuole obbligatorie del Cantone». Avevo commentato la notizia sul Corriere de Ticino del 12 gennaio 2007: Telefonini a scuola: educare o reprimere?
La mia opinione, oggi che sono passati dieci anni, non è per nulla cambiata, anche se di miglioramenti concreti non se ne sono visti, malgrado la drammaticità di tanti esiti.
A scuola, come in famiglia, certi divieti sono il chiaro segnale di adulti che non sanno più che pesci pigliare: ma i docenti sono professionisti formati e pagati per fare scelte educative attendibili, a differenza dei genitori. Oso credere che la sparata dei tre parlamentari sia una sorta di sasso nello stagno, per svegliare chi non dovrebbe proprio dormire.
Insomma: e se la scuola ricominciasse a educare e a far cultura, smettendo di essere al traino dell’economia globalizzata? Se la piantasse di essere schiava di una selezione controproducente, iniqua e costosa, e tentasse invece di puntare alle vere finalità della scuola pubblica e obbligatoria?
Quando i problemi si fanno complessi, la tentazione – soprattutto di alcuni politici – è quella di semplificarli proponendo soluzioni drastiche. La proibizione è una di queste. In questo caso, senza entrare nei dettagli, il problema del cyberbullismo è innanzitutto un problema di bullismo e di giovani che lo praticano, altri che lo subiscono e, soprattutto, della moltitudine che assiste e non fa nulla. Un problema educativo innanzitutto. Spostare la soluzione del problema sul solo strumento (il telefonino) è quindi facile quando non si sa come agire.
La scuola sul tema dell’uso dei telefonini si interroga da molto tempo. Durante lo scorso anno scolastico un gruppo di lavoro coordinato dal CERDD ha redatto un rapporto sull’uso di questi mezzi nella scuola obbligatoria. Questo rapporto, superata la fase di consultazione, è ora presentato nei vari settori scolastici che sapranno dare al tema – si suppone – la giusta importanza.
Senza entrare nei dettagli, in questo si affronta l’uso del dispositivo personale a scuola da diversi angoli: giuridico, tecnico e pedagogico-educativo. È su questo ultimo angolo che il rapporto propone soluzioni interessanti che passano dalla formazione dei vari pubblici toccati: gli allievi, i docenti e anche i genitori.
Ma, questi approfondimenti che necessitano di investimenti e riflessioni sono poca cosa per i politici che vedono in modo dicotomico.
Da approfondire…
Caro Beo, grazie per il complemento prezioso e competente.
D’accordissimo con te, caro Adolfo.