Dice: «Tutta un’altra scuola! (quella di oggi ha i giorni contati)»

Tutta un'altra scuolaNel mese di luglio il Corriere del Ticino ha dedicato quattro pagine ad alcune segnalazioni librarie da parte delle sue firme (le quattro puntate sono apparse il 7, il 12, il 14 e il 28 luglio). Ho avuto il piacere di poter proporre anch’io un libro, e – pensa te! – ho scelto un argomento scolastico: Tutta un’altra scuola! (quella di oggi ha i giorni contati) di GIACOMO STELLA (2016, Giunti Editore, p. 128, € 10).

Che la scuola di oggi abbia i giorni contati non è ovviamente un dato certo. Ma questo pamphlet è una lettura assai tonica per tutti quelli che soffrono mal di pancia infiniti a contatto con «l’esperienza più importante della nostra vita»: una scuola vecchia con il vestito nuovo. Detto dei «10 motivi per cui la scuola fa male», l’autore spiega come e perché la scuola potrebbe essere un posto dove la paura non esiste, un luogo da cui guardare il mondo dei grandi non per distruggerlo, ma per cambiarlo. Tutto lì.

Trovo utile che sui temi della scuola, la scuola come istituzione, siano pubblicati di tanto in tanto libri per il grande pubblico, fuori da quel grande terreno troppo spesso recintato col filo spinato solitamente gestito dagli addetti ai lavori. Un esempio di due anni fa (che peraltro non mi aveva granché elettrizzato, malgrado il successo editoriale…) è L’ora di lezione. Per un’erotica dell’insegnamento, di Massimo Recalcati (2014, Einaudi).

Giacomo Stella è conosciuto in Italia e in Europa per i suoi studi sulla dislessia e, in genere, sui disturbi specifici di apprendimento. Ed è proprio osservando a scuola tanti allievi in difficoltà che è nata la sua riflessione, riassunta nel titolo di uno dei primi capitoli: «La cosa più grave che si può fare a scuola è sbagliare». Appunto.

Eccoli qua, allora, i «10 motivi per cui la scuola fa male (lo faccio per il tuo bene)»:

  1. Non riesci a imparare le tabelline? Devi ripassarle tutti i giorni e fare i calcoli senza la tavola pitagorica. Devi sforzarti, altrimenti non imparerai mai. È per il tuo bene!
  2. Sottolinea tutti i miei errori di ortografia in rosso. Ogni pagina sembra un campo di battaglia. «Correggi tutto e ricopia in bella grafia. È per il tuo bene!».
  3. Devi scrivere in corsivo. Mi rifiuto di leggere i tuoi temi se sono scritti in stampato, eppoi alle medie non si può scrivere in stampatello. Usare il computer? Troppo comodo ragazzo mio, bisogna esercitarsi per ottenere risultati. Lo dico per il tuo bene.
  4. Alle prove di verifica ho sempre tutto il compito come gli altri: fotocopie che non riesco a leggere con parti da completare. Se non riesco a finire la maestra mi fa stare in classe durante la ricreazione per terminare. Gli altri giocano e io scrivo. Perché? «Per il tuo bene!»
  5. L’inglese non lo capisco per niente. Le lettere non si leggono mai allo stesso modo. L’insegnante però dice che devo studiare perché l’inglese è importante eppoi lei non può fare differenze con gli altri. L’inglese è una lingua indispensabile per comunicare. Ma allora, se serve per comunicare, perché non posso impararlo solo all’orale? «È per il tuo bene!».
  6. Non hai risposto con sicurezza all’interrogazione, come al solito non hai studiato abbastanza. Eppoi mi chiedi di essere comprensiva con te, per le tue difficoltà. Cosa dovrei fare? Darti la sufficienza? No, non posso farlo, debbo darti un voto insufficiente, così la prossima volta studierai di più. Lo faccio per te, per il tuo bene!
  7. Non riesco a ricordare a memoria i verbi ma la prof dice che me li chiederà tutti i giorni. Lo fa per il mio bene.
  8. Ho ricevuto una nota perché non prendo appunti durante le lezioni. lo non riesco a scrivere e ascoltare. Ho chiesto di registrare la lezione, ma mi hanno detto che non si può, per la privacy.
  9. Leggere ad alta voce davanti a tutti, incespicandomi a ogni parola con il sottofondo delle risatine dei miei compagni. Perché? «Per il tuo bene».
  10. Non amo la scuola, detesto gli insegnanti e quando i miei genitori mi dicono di studiare mi chiudo in camera mia e ascolto la musica. Lo faccio per il mio bene.

Non si tratta, a ben vedere, di pratiche scolastiche che nuocciono solo a bambini e ragazzi affetti da disturbi particolari, ad esempio di natura neurologica. Sappiamo invece, e lo vediamo giornalmente, che tante abitudini così presenti tra le quattro mura dell’aula arrivano a produrre disagio e insuccesso scolastico per le cause più diverse, dalla plus-dotazione intellettuale alle differenze socio-culturali, passando naturalmente per tante tipologie di disturbi specifici dell’apprendimento.

Che poi la scuola di oggi abbia i giorni contati è ancor tutto da vedere. Come ho scritto più volte in queste Cose di scuola, bisognerebbe avere il coraggio intellettuale e politico di andare a toccare le strutture portanti della scuola stessa, che appare obsoleta a diversi livelli malgrado i continui cambiamenti interni, le riforme, le trasformazioni delle didattiche… Ma, ad esempio, non si è ancora in grado – in particolare nella scuola dell’obbligo – di superare il vetusto e iniquo dispositivo delle valutazioni reiterate, dei voti più o meno inappellabili, delle differenze enigmatiche tra un 4½ e un 5.

Tutta un'altra scuola - INDICE

La lettura di questo Tutta un’altra scuola! è piacevole, disseminata di esempi riconoscibili da chiunque, senza far capo a tecnicismi utili solo a confondere le acque. E tra un tema e l’altro, sempre presi dalla quotidianità, Stella ci conduce per mano dal decalogo introduttivo a un dodecalogo di speranze, per descrivere tutta un’altra scuola, una scuola che è il posto migliore dove andare.

  1. Perché imparare è eccitante e farlo con i miei amici è bellissimo.
  2. Perché i docenti sono sempre disponibili e sorridenti. Puoi chiedergli qualunque cosa, non gli dai fastidio, si può anche scherzare con loro.
  3. Perché posso dire sempre quello che penso ed essere ascoltato dagli altri. Il docente difende la mia idea come quella di tutti gli altri.
  4. Perché le mie idee contano, sono importanti e ho imparato ad ascoltare anche quelle degli altri.
  5. Perché a scuola trovo sempre gli strumenti migliori e si possono vedere e provare sempre le ultime novità.
  6. Perché è un posto dove posso stare quanto voglio e trovare sempre qualcuno che mi ascolta e mi dà nuove idee.
  7. Perché è un posto dove posso scegliere di fare cose diverse: musica, cinema, teatro, sport.
  8. Perché non mi sento mai uno stupido, non ho più paura di sbagliare, sento che quello che faccio è sempre qualcosa di utile.
  9. Perché sto meglio a scuola che a casa da solo e non sempre i miei mi ascoltano.
  10. Perché rispettare le regole non ci pesa. Valgono per tutti e quindi siamo tutti uguali.
  11. Perché siamo tutti belli e brutti, bravi e un po’ stupidi, capaci e incapaci, ma stiamo bene insieme.
  12. Perché la mia scuola è un posto dove la paura non esiste. Siamo tutti insieme, stiamo bene e ci sentiamo sicuri. Guardiamo il mondo da lì, guardiamo il mondo dei grandi, non vogliamo distruggerlo, vogliamo cambiarlo.

Anche i compiti a casa servono a marcare le disuguaglianze

Il sito de La Repubblica ha pubblicato il 21 luglio scorso un articolo di un certo interesse, cucito col tono un po’ scanzonato che si addice al caldo di questi giorni: Milano, la disobbedienza delle mamme sui compiti delle vacanze: “Diritto al riposo per i bimbi”. (Qualora non si riesca e leggerlo in repubblica.it lo si può scaricare qui). Racconta della «protesta organizzata in una scuola elementare, dove è partita la rivolta d’estate: “I nostri figli si danno da fare tutto l’anno, ora devono giocare e riposare”». Il succo della protesta delle mamme è già nel titolo.

Curiosi anche diversi commenti dei lettori. Scrive tal Yuri Pomè: «ma che scuole hanno fatto quelle mamme? i compiti a casa e durante le vacanze ci sono sempre stati!! il problema è che oggi i compiti li fanno i genitori e non i figli. a me mai mia madre o mio padre mi facevano i compiti, al massimo chiedevo aiuto». Gli fa eco un certo rocgreg: «Sì dai facciamoli crescere tutti ignoranti… incapaci di formulare una frase di senso compiuto e di intrattenere rapporti sociali… bella roba!!!». Aggiunge Attilio Gusmaroli: «Il trionfo dell’ignoranza e del non far niente ha obnubilato i cervelli di queste mamme. Abituare i propri figli in questo modo, ovviamente dando a loro in pasto tablet e smartphone, utili solo a mandare il cervello in “pappa” sortirà solo un effetto: crescere una generazione di incapaci buoni solo per fare gli scaricatori nei mercati generali. Ma nemmeno saranno capaci di fare ciò e vivranno alle spalle di questi genitori. PS I miei genitori erano altra cosa e li ringrazio ancora oggi nell’avermi educato allo studio che mi ha dato cultura e mi ha dato anche un ottimo tenore di vita». E via sentenziando.

Nelle scuole elementari ticinesi vigono da alcuni decenni norme pertinenti per disciplinare i compiti a casa, riunite in modo chiaro in due documenti con lo stesso titolo, I compiti a domicilio, uno per gli insegnanti, l’altro per i genitori. Sono norme senza data, quindi attuali, sottoscritte dal Collegio degli ispettori delle scuole elementari; e, malgrado i tanti cambiamenti in atto, erano certamente ancora validi l’anno scolastico passato. Si legge infatti nelle Disposizioni per gli insegnanti del giugno 2015 che «… nella riunione d’inizio anno, ai genitori dovranno essere presentati in modo particolare gli obiettivi educativi e le competenze che s’intendono raggiungere e sviluppare con gli allievi così come il senso dei compiti a domicilio; ricordiamo le indicazioni contenute nel testo Compiti a domicilio tuttora valide sia per i genitori sia per gli insegnanti».

Tuttavia bisogna dire che, come succede con tante direttive scolastiche, tra il dire e il fare c’è di mezzo il solito mare. Questa dei compiti a casa è una delle tante norme di solito trascurate. I compiti appartengono ai dogmi della scuola. L’insegnante che non li prescrive con regolarità pignola e un poco ottusa rischia di passare per un mollaccione, uno dal quale gli allievi avranno poco da imparare. L’abitudine di assegnare compiti a casa è un segno distintivo, informa che si è un insegnante di quelli di una volta, uno che è riuscito a non lasciarsi infettare dalle menate psico-socio-peda proliferate nel Sessantotto.

D’altra parte la protesta delle mamme milanesi non è proprio nuova. Ne avevo già scritto oltre dieci anni fa, prendendo spunto da un articolo apparso sul Corriere della Sera a firma Barbara Palombelli, che avevo intitolato La scuola e il dramma dei compiti a domicilio (Corriere del Ticino, 24.11.2004). E avevo ripreso il tema stimolato da una mamma, che mi aveva scritto: «La maestra di mio figlio dice di aver ricevuto una direttiva, secondo la quale non si possono più dare compiti, nemmeno di recupero, neanche nelle vacanze o nei fine‐settimana. Mio figlio era contentissimo, ovviamente io molto meno!» (I compiti a casa, una tradizione che resiste al passare del tempo, Corriere del Ticino, 5.11.2012).

Vignetta i compiti a casa
Vignetta tratta dal blog di Barbara Gaiardoni, pedagogista

Reputo che la protesta delle mamme meneghine sia insopportabile. I commenti… anche.

Mi sa che le madri che hanno deciso di non cedere e di andare fino in fondo (tanto ci sarà sempre qualche mass-media bendisposto), siano proprio lombarde DOCG, senza troppi assilli rispetto alla propria identità economica, culturale e sociale. E a quella della prole.

Il guaio è che a scuola ci devono andare anche gli altri, quei figli che non sanno da che parte cominciare con questa storia dei compiti. Così capita che in zona cesarini salti fuori un compito non fatto, e il papà o la mamma dànno una mano, tra una ramanzina e uno sbadiglio. Ma non è detto che quel papà o quella mamma sia in grado sul serio di dare una mano al piccino: e a quel punto la frittata è servita.

Fino a tre anni fa dirigevo una scuola frequentata da tanti poveri diavoli, spesso alle prese con un’integrazione difficile e, alle spalle, una famiglia che s’arrabattava per arrivare a fine mese. Era una lotta continua con i maestri particolarmente compito-dipendenti. Credo che, con equilibrio, convenga tenere sveglio e attivo il cervello sempre, anche sotto l’ombrellone o all’ombra di un larice. Il dubbio è che la scuola, ogni tanto, chieda i compiti (serali, fine-settimanali, estivi, natalizi, carnevaleschi, pasquali…), senza pretendere il cervello acceso proprio mentre si è in classe, obbligati a essere a scuola.

In questi casi anche i compiti a casa si trasformano in esaltatori delle differenze e dei ritardi.