Il general Guisan e la generale ignoranza della storia

In pochi giorni mi è capitato di leggere nella stampa locale due diversi articoli che facevano riferimento ad Henri Guisan, generale dell’esercito svizzero eletto dall’assemblea federale il 30 agosto 1939. Armando Dadò ha intitolato «Conoscere la storia» l’editoriale di luglio del suo mensile La Rivista: «Guisan è sempre stato “il Generale” per antonomasia. Si può quindi capire come rimasi di stucco quando consegnai un libro sul Generale a una brava ragazza che dopo il liceo si era laureata con successo, e mi chiese chi fosse questo Guisan. Ne rimasi sbalordito e pure la ragazza si sorprese di non sapere. È mai possibile, pensai, che una persona intelligente e fresca di studi, ignori il nome di Henri Guisan? Questo significa non sapere che ruolo ha avuto la Svizzera durante il secondo conflitto mondiale».

Il 13 luglio, su queste pagine, Matteo Airaghi ha ricordato «L’angoscia rimossa del mese più buio», quello racchiuso tra il 25 giugno e il 25 luglio 1940. A pochi giorni dalla capitolazione della Francia, il presidente della confederazione Pilet-Golaz pronunciò un ambiguo discorso alla nazione, «sulle cui infelici ambiguità – ha scritto Airaghi – gli storici ancora non concordano, ma che di fatto venne percepito dalla popolazione come una sorta di preparazione alla resa nei confronti dell’incipiente nuovo ordine mondiale e alla pressoché ineludibile fine della democrazia». La risposta arrivò giusto un mese dopo. Nel momento in cui la Svizzera era accerchiata dalle potenze dell’Asse, Guisan convocò i comandanti militari al Grütli, luogo-simbolo del paese: «Siamo giunti a una svolta decisiva nella storia del nostro paese. Non si tratta soltanto di un regime politico ma dell’esistenza stessa della Svizzera. Il solo mezzo di essere rispettati è quello di affermare la nostra volontà di difenderci fino alla fine e di vendere cara la nostra pelle». Dadò e Airaghi avevano entrambi citato un articolo di Claudio Magris, «Indifesi perché smemorati: chi ignora il passato non sa affrontare l’oggi» (Corriere della Sera del 23 febbraio), titolo rivelatore di una riflessione profonda e severa.

Il 25 luglio 1940 il generale Henry Guisan convocò al Grütli, luogo-simbolo del paese, gli ufficiali con potere di comando dell’esercito svizzero.

È inutile fingere che la scuola, e con lei tutto il sistema della formazione e dell’informazione, non abbia colpe nella diffusa ignoranza della storia. Ma, nel contempo, bisogna pur dirlo senza troppi giri di parole: non è vero che in altri anni si conosceva la storia – ed erano anni, non solo per i comuni cittadini, meno affollati di informazioni e di bugie. La storia – e altre discipline essenziali come le scienze e le arti – la conoscevano alcune élite, era la storia delle date, degli avvenimenti, dei nomi e dei miti. Man mano che ci si inoltrava nella scolarità aumentavano le nozioni, ma in tanti si fermavano alla scuola maggiore. Non si può dimenticare che fino al 1974 in Ticino c’era un unico liceo, non certo un liceo di massa.

La scuola di oggi, e anche questo bisogna dirlo, si occupa della storia con un atteggiamento ambiguo. Pochi anni fa la divisione della scuola del DECS ha pubblicato due splendidi manuali per la scuola media, «La Svizzera nella storia», dal paleolitico alla globalizzazione attraverso testi espositivi, documenti, linee del tempo, carte, grafici, esercizi, approfondimenti e voci di glossario. Ma la dotazione oraria è avara, e non è certo un caso se, nei mesi della scuola a distanza e della presenza a singhiozzo, la storia apparteneva alle materie a discrezione di ogni istituto: dopo, nell’ordine, matematica, tedesco, italiano e inglese.


Note e riferimenti

Questo articolo è apparso nel Corriere del Ticino col titolo «L’ignoranza della storia».

ARMANDO DADÒ, «Conoscere la storia», in la Rivista – Mensile illustrato del Locarnese e Valli, N° 7, Luglio 2020, pp. 7 e 9

MATTEO AIRAGHI, «L’angoscia rimossa del mese più buio», in Corriere del Ticino, N° 158, 13.07.2020, pp. 1 e 11

Su MARCEL PILET-GOLAZ (1889-1958) si veda il Dizionario Storico della Svizzera (https://hls-dhs-dss.ch/it/articles/004641/2011-02-03/). In particolare, riguardo a quanto citato nel mio articolo, vi si legge:

Presidente della Confederazione per la seconda volta nel 1940 (…), il 2 marzo dello stesso anno succedette a Giuseppe Motta alla testa del Dipartimento politico. In questa duplice veste dovette far fronte alla grave crisi di fiducia che la Svizzera attraversò dopo la sconfitta della Francia in giugno. Il suo discorso del 25.6.1940, approvato dal Consiglio federale, aspirava a rassicurare il Paese, ma la sua retorica infelice e le affermazioni, quanto meno ambigue, in favore di una rigenerazione autoritaria della democrazia non fecero che alimentare l’incertezza. In seguito Pilet-Golaz non fece nulla per dissipare i malintesi. Al contrario, il 10 e 14 settembre successivi, ricevendo i rappresentanti del Movimento nazionale svizzero, favorevole all’allineamento della Svizzera al Terzo Reich, offrì ulteriori argomenti ai sospetti che continuarono a gravare su di lui anche in seguito.

Incaricato di applicare la politica di neutralità del Consiglio federale, Pilet-Golaz omise di informare i colleghi sulle strette relazioni che intratteneva con il ministro di Germania a Berna. Né la grave crisi diplomatica del luglio del 1940, preceduta dai combattimenti aerei tra la Luftwaffe e alcuni caccia svizzeri, né le proteste e le reiterate pressioni del Reich contro la stampa svizzera o la posizione assunta da Berna nei negoziati economici con la Germania permettono però di dubitare veramente della sua volontà di difendere l’indipendenza e la sovranità della Confederazione, dal novembre del 1942 circondata dalle potenze dell’Asse. Pilet-Golaz sembra invece aver creduto, almeno fino all’autunno del 1942, nella vittoria del Reich e la sua mancanza di prudenza verbale, per quanto calcolata, poté più volte far dubitare Berlino quanto alla fermezza delle sue convinzioni democratiche o alla sua determinazione a mantenere una posizione di stretta neutralità.

Sul discorso di HENRI GUISAN (1874-1960) del 25 luglio 1940, si veda nuovamente il Dizionario Storico della Svizzera: Rapporto del Grütli.

CLAUDIO MAGRIS, «Indifesi perché smemorati: chi ignora il passato non sa affrontare l’oggi», in Corriere della sera, 23.07.2020

I due volumi «La Svizzera nella storia», editi dalla divisione della scuola del DECS, non sono in commercio. Ne avevo scritto sul Corriere del Ticino alla pubblicazione di ogni volume: La storia nella scuola e la Svizzera nella storia (15.03.2013) e «La Svizzera nella storia», un manuale scolastico di gran pregio (20.12.2014)

L’istruzione è un valore aggiunto per la crescita economica e sociale

È stata dura tenere aperte le scuole fino a metà marzo. E di nuovo dura riaprirle. Fosse stato per alcuni politici avremmo fatto la fine dell’Italia, che oggi tutti deridono. Aveva scritto il direttore del Corriere del Ticino: «Triste, irresponsabile, probabilmente illegale. È il comportamento dei Municipi di Lugano e Locarno. Aprire ora un derby istituzionale Comuni/Cantone sulla chiusura/apertura delle scuole è il peggio che un politico con responsabilità esecutive possa fare. E cosa fanno Lugano e Locarno? Né chiudono, né aprono. Organizzano il caos, la scuola dell’obbligo senz’obbligo. In preda alla paura, alimentano la paura. Sconcertante». Ci riproveranno in maggio, sempre loro. Il giorno del ritorno in aula la frequenza scolastica era attorno al 95%. Un mese dopo il medico cantonale aveva affermato che i bambini non erano il motore dell’influenza: «I dati riguardanti i più piccoli sono arrivati un po’ tardivamente, altrimenti si sarebbe benissimo potuto evitare di chiudere le scuole in Svizzera». Tanto di cappello.

Sta di fatto che la pandemia ha sconvolto un terzo dell’anno scolastico, due mesi chiusi in casa con la scuola a distanza, poi di nuovo in sede, benché con tempi ridotti: ma era importante rivedere docenti e compagni. Naturalmente si potrebbe parlare di molti aspetti venuti a galla in questi mesi. Ne vengono in mente tanti, dall’importanza della didattica ai contenuti dei programmi, dalla valutazione al calendario scolastico. Sarebbe però improvvido e sconsiderato tentare ora ipotesi e possibili conclusioni, tanto più che la SUPSI sta svolgendo un’indagine a 360 gradi «per raccogliere i vissuti, le esperienze, le difficoltà e i bisogni emersi durante la fase di scuola a distanza» e quella di scuola parzialmente in presenza.

Ci sono però alcune cose di cui si può già parlare. Tanto per cominciare, il Paese si è accorto dell’importanza della scuola e della sua presenza regolare, che può essere ingombrante, ma necessaria per il funzionamento sociale ed economico di tutti. È un valore aggiunto che si dovrà rivalutare, pensando ai tanti alunni che, durante l’anno, passano più ore nei circuiti extra-scolastici che a scuola. Per un paio di mesi anche i Franti hanno rimpianto questo luogo di crescita e di educazione alla libertà: perché la didattica e gli obiettivi disciplinari avranno pure la loro importanza, ma non sono il fondamento della scuola pubblica e obbligatoria.

Poi bisogna parlare dei genitori, soprattutto di quella moltitudine silenziosa chiamata a gestire un ambiente di convivenza fisica e psicologica che non conoscevano. In tantissimi casi la scuola ha fatto appello alla loro responsabilità educativa e formativa. Molti non sapevano come raccapezzarsi, né per vivere tutti insieme, gomito a gomito, giorno dopo giorno; né per capire cosa dovevano fare per aiutare i figli a svolgere i compiti somministrati a distanza. Tuttavia se per diventare insegnanti occorrono anni di studio, non si vede come chiunque potrebbe crearsi competenze pedagogiche e didattiche dall’oggi al domani. Se ne sono accorti un po’ tutti che a farne le spese sono stati i soliti ultimi anelli della catena sociale, economica e culturale. Ma è così da sempre, anche quando non ci sono virus nell’aria e le scuole vivono il loro secolare tran tran.


Questo articolo è apparso nell’edizione del 12 luglio 2020 del domenicale ilCaffè, nel contesto di un più ampio servizio sulla scuola, parzialmente chiusa dal 16 marzo alla chiusura dell’anno scolastico, e sugli scenari di riapertura, che sono in via di elaborazione. L’articolo principale – La scuola di domani – Ecco i tre scenari possibili dal 31 agosto – è l’intervista al ministro Manuele Bertoli,  direttore del Dipartimento dell’Educazione, della Cultura e dello Sport.


Citazioni

La citazione del direttore del Corriere del Ticino, Fabio Pontiggia, è del 13 marzo, dunque nei giorni in cui il governo cantonale decise la chiusura («Pessima lezione», p. 1). Dall’inizio della pandemia Pontiggia ha pubblicato ben 70 editoriali corti, sempre interessanti e inflessibili. «Con questo appunto – ha scritto nell’edizione del 2 giugno – si chiude la serie dei 70 editoriali corti. Ieri 0 decessi e 0 contagi: si torna alla normalità».

La citazione del medico cantonale Giorgio Merlani è tratta dall’intervista pubblicata nel Corriere del Ticino del 10.06.2020 (GIONA CARCANO, «A un mese dalle riaperture sono sorpreso ma contento», intervista al medico cantonale, p. 4).