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A scuola per il piacere di apprendere

È indubbio che la scuola – soprattutto quella dell’obbligo – sta vivendo un po’ in tutto il mondo occidentale una crisi di identità che si manifesta attraverso un dibattito, a volte conflittuale, tra i partigiani dell’utilitarismo e del darwinismo educativo, e chi invece continua a credere nel potere liberatorio del pensiero e dell’educazione, allo scopo di forgiare cittadini consapevoli, competenti e democratici.

Da diversi anni la Conferenza dei Direttori degli istituti scolastici comunali del Cantone Ticino persegue un percorso di formazione e di riflessione che intende contribuire allo sviluppo di una politica scolastica basata sulla convinzione che a scuola sia più importante capire che riuscire, e che in tal senso la scuola deve diventare un luogo dove l’allievo possa sbagliare senza rischi (Philippe Meirieu, 2004). Analogamente è importante che la scuola recuperi il piacere di acquisire anche ciò che non è immediatamente spendibile: la padronanza della lingua italiana e del suo sterminato retroterra culturale, «per pensare, sentire ed essere»; le basi del linguaggio matematico, che favoriscono la speculazione intellettuale e lo sviluppo del pensiero razionale; la conoscenza della storia, delle arti e della cultura, affinché ognuno possa costruire la sua identità e contribuire con piena coscienza allo sviluppo della nostra società e alla realizzazione delle istanze di giustizia e di libertà (Legge della scuola, 1990).

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Insegnando la matematica: metodo e necessità

Da qualche giorno è giunto nelle librerie del Cantone il volume di Ivo Dellagana e Franco Losa “Dimat – Differenziare in matematica” (cfr. Corriere del Ticino del 26 ottobre ), un testo che prende le mosse da un originale approccio all’insegnamento della matematica nel II ciclo della scuola elementare. Dimat ha mosso i primi passi nell’ormai lontano 1990 e, a tutt’oggi, è stato adottato da un gran numero di insegnanti, beninteso con l’essenziale autorizzazione dell’autorità scolastica. Neanche il tempo di vendere le prime copie del libro, che già il parlamentare Norman Gobbi ha rivolto una malevola interrogazione al Governo.
Diremo subito che, a mente nostra, Dimat rappresenta un tentativo apprezzabile e concreto di adattare l’insegnamento – in questo caso della matematica – alle necessità di quella Scuola che, vieppiù, deve fare in modo che tutti gli allievi possano raggiungere gli obiettivi fissati dai programmi scolastici, differenziando i percorsi formativi e i tempi di apprendimento, partendo dalle attitudini e dalle caratteristiche individuali di ogni allievo. In altre parole, scegliere di insegnare la matematica basandosi sulla struttura pedagogica suggerita da Dimat, significa anteporre alla selezione scolastica, che ancor oggi è la vera palla al piede di ogni scuola repubblicana, l’apprendimento da parte del maggior numero possibile di allievi di ognuno degli obiettivi definiti dai programmi.
Secondo Gobbi, però, il metodo proposto da Dellagana e Losa è fallimentare. Scrive infatti al Governo: “La situazione che si presenta al primo anno delle scuole secondarie è tutt’altro che soddisfacente. Infatti, gli allievi che hanno appreso la matematica attraverso Dimat sono spesso carenti nelle conoscenze effettive della materia, tanto da dover recuperare il programma della scuola primaria, a scapito dell’insegnamento globale”. E domanda tra le altre cose: “Sono state fatte delle valutazioni e delle verifiche dei risultati di Dimat a livello di scuole secondarie? Se sì, con quali esiti?”. E ancora: “È stato fatto un sondaggio presso i docenti e i direttori d’istituto sull’approvazione e accettazione del programma?”. Diciamolo schiettamente: più che un’interrogazione, l’atto del parlamentare leghista sembra una sparatoria per conto terzi, tanto che prima afferma che la situazione è insoddisfacente e, poi, chiede se qualcuno si è preoccupato di valutare e verificare l’impatto con la scuola media da parte degli allievi che hanno seguito il “metodo” Dimat. Ma la perla, la vera conferma che Gobbi altro non è se non il megafono di un mandante interessato, è la domanda che riguarda il ruolo degli insegnanti. Interroga il parlamentare leghista: “Corrisponde al vero che nel processo Dimat il docente non ha alcuna influenza sull’apprendimento dell’allievo?” È questa la migliore dimostrazione che Gobbi – lui sì – non ha valutato un bel cavolo e non ha verificato minimamente l’attendibilità del suo mentore.
Giacché se c’è una componente che depone assolutamente a favore di Dimat, questa risiede proprio nel coinvolgimento degli insegnanti, perché l’approccio, quantunque munito di parecchio materiale didattico, non è un arido e ampolloso eserciziario, bensì un congegno pedagogico che dev’essere compreso e che impegna il maestro non solo a livello di formazione (svolta per lo più fuori dal tempo di scuola), ma anche – e si potrebbe dire soprattutto – nel contatto diretto e giornaliero con ogni allievo: sia con chi è giunto a scuola col turbo e vorrebbe estendere le sue conoscenze, che con quell’altro un po’ sgangherato, che necessita di maggiori attenzioni.
In verità i programmi di matematica della scuola elementare – che il consigliere di fiducia di Gobbi potrebbe leggersi con tutta calma – non contemplano obiettivi fuori dalla portata di ogni ragazzo di dieci anni normalmente dotato: perché, dunque, abbracciare percorsi pedagogici che sembrano fatti apposta per bocciarne almeno qualcuno? In questo senso, Dimat è una risposta concreta a una Scuola dell’obbligo veramente efficace. Che poi non tutto giri per il verso giusto – Dimat o meno – è un altro paio di maniche. Ma la scuola elementare, che sino ad oggi è ancora una scuola vivibile, non deve prendere lezioni da chi ha inventato i livelli e quelle cervellotiche medie che impediscono a più della metà degli allievi di accedere alla scuola media superiore. Anzi: c’è da augurarsi che Dimat penetri in fretta anche nella scuola media.