Tutti gli articoli di Adolfo Tomasini

La didattica della matematica ha fatto passi da gigante, ma tra i banchi…

Chissà se la matematica della scuola dell’obbligo ha qualcosa a che fare con quell’altra matematica, quella che serve a capire il mondo, la lingua delle scienze naturali, della ricerca e della comunicazione scientifica? I riscontri internazionali dicono che, in questo campo, le competenze dei quindicenni ticinesi sono buone. La matematica continua a essere la materia più importante della selezione scolastica: alla fine della II media una percentuale significativa potrà frequentare i corsi attitudinali, necessari, alla fine della scuola dell’obbligo, per accedere alla scuola media superiore; ma, come bene illustra un recente documento dipartimentale, più della metà degli allievi ritenuti deboli ottiene punteggi analoghi alla metà più debole di quelli considerati i più bravi. La dimostrazione che qualcosa non quadri ce la dà lo stesso studio: ci sono allievi col 6 in matematica al termine della scuola media, benché le valutazioni internazionali abbiano registrato scarse competenze. E viceversa.

La matematica, si sa, è una materia che separa. Già nella scuola elementare salta fuori chi è portato e chi, poveretto, non lo è, quasi che imparare la matematica fosse una questione genetica. C’è, già in quest’espressione, qualcosa di darwinistico: se non sei tagliato sei fuori, anche solo pensando a quante discipline avranno bisogno di Lei nelle formazioni a seguire: biologia, fisica, chimica… Sembra ovvio che, se non sei portato, finirai nei livelli di base, anche se magari non avrai ancora capito perché. A quel punto te l’hanno già spiegato. Ma senza dubbio non si tratta di ereditarietà. Io non ero tagliato. Forse c’erano delle lacune pregresse, non lo so, come non lo sanno tutti quelli che, nel tempo, sono finiti tra i non tagliati, e ne erano convinti. Permane sempre il dubbio che ci siano anche insegnanti non tagliati, perché sfoggiano « le cose che sanno», ma non le sanno insegnare, né hanno capito che, soprattutto nella scuola dell’obbligo, son lì proprio per far quello: insegnare, costi quel che costi, senza mai mollare l’osso.

In questi anni la didattica della matematica ha fatto passi da gigante. Il centro competenze per la didattica della matematica del DFA propone una varietà di proposte e materiali di grande interesse, soprattutto con «Matematicando», un progetto sostenuto dal Fondo Nazionale Svizzero per la ricerca scientifica: un impegno a 360 gradi, che coinvolge la ricerca, la formazione iniziale e continua dei docenti di tutti gli ordini scolastici, della didattica e della divulgazione, attraverso molteplici attività che coinvolgono i genitori e l’intera popolazione.

Eppure tutto ciò può essere vanificato dall’applicazione ottusa di un sistema in cui prevale la selezione precoce, tant’è vero che a decretare il futuro di un allievo sono le valutazioni arbitrarie della scuola, mica i confronti internazionali, certamente meno soggettivi. Si consideri poi che i due livelli che caratterizzano l’insegnamento della matematica nell’ultimo biennio della scuola media non sono in nessun modo dei processi di differenziazione dell’insegnamento a favore degli allievi: l’inserimento nel livello di base e in quello attitudinale avviene sulla scorta delle note assegnate dalla scuola, ciò che potrebbe addirittura essere disincentivante per l’allievo – quello non portato per la matematica – e pure per il docente, dal momento che, se i livelli di base esistono, qualcuno deve pur farne parte.


Riferimenti

Scuola a tutto campo. Indicatori del sistema educativo ticinese, pubblicato l’ultima volta nel 2019 da SUPSI-DFA, è una fonte di dati e riflessioni quasi inesauribile. È scaricabile gratuitamente all’indirizzo https://www.supsi.ch/home/comunica/news/2019/2019-03-141.html. Il riferimento sulla frequenza dei corsi di base o attitudinali è a pag. 60 (Competenze degli allievi in matematica e ripartizione nei profili curriculari; 2012). A pag. 174 s trovano invece il Confronto tra i livelli di competenza in matematica e la nota in matematica alla fine della scolarità obbligatoria in Ticino (2012). Cito: «Tuttavia sono evidenti alcune anomalie. In particolare, se si osservano le barre con le note 3 e 6, la presenza di allievi con risultati poco brillanti a scuola, ma competenti in PISA – e viceversa – è rilevante».

Per sapere tutto su Matematicando e sul centro competenze per la didattica della matematica del DFA basta andare su http://www.matematicando.supsi.ch/.

Proposte a bizzeffe ma raramente divergono dalla vecchia idea di scuola

L’istruzione | La formazione scolastica alla prova del tempo. Ambito per ambito. Materia per materia. Così l’insegnamento si rinnova. O dovrebbe rinnovarsi. Da questo numero, e per alcune edizioni, le idee sul futuro di una istituzione fondamentale per la crescita della società.

È con questo lancio che IL CAFFÈ inaugura una nuova serie di riflessioni, dopo quella denominata L’ANALISI – Verso la ripresa delle lezioni (cinque puntate, dal 12 luglio al 30 agosto 2020, durante l’estate della pandemia Covid-19).



Forse il dibattito sulla scuola è un po’ confuso e prevedibile.

Prendiamo il discorso sui famigerati livelli della scuola media. Già nel 2012 i Verdi avevano proposto di ridiscuterne. Dopo tanti silenzi e il pollice verso alla «Scuola che verrà», ora si comincia a dire che sì, insomma, magari… Per un noto imprenditore era «l’ennesimo abbassamento della selettività della scuola. L’abolizione dei livelli porterà a ulteriori difficoltà nel momento del passaggio nel mondo del lavoro. Ma soprattutto saranno guai per coloro che vorranno continuare a studiare». Un altro maggiorente locale aveva ritenuto fondamentale ristabilire (sic) la meritocrazia. E il Movimento della scuola, guidato da uomini di scuola, mica dagli ultimi proletari del sistema-scuola, si era messo di traverso: «In certe riforme [ci sono] troppi scienziati dell’educazione», che, detto da «guidatori» della scuola, dovrebbe far riflettere. Non che la «Scuola che verrà» fosse chissà quale rivoluzione, sicché siamo ancora qui, quasi mezzo secolo dopo, a parlare dei livelli della scuola media.

Manca almeno un pizzico di fantasia: perché di idee e proposte se ne sentono a bizzeffe, ma raramente divergono granché da quell’idea di scuola che ci accompagna tutti da più di un secolo. Forse toglieranno i livelli della scuola media. Chissà cosa si inventeranno dopo, sperando che la soluzione non diventi l’Hiroshima della scuola dell’obbligo.

Poi, come si ripete spesso, sono i buoni maestri a fare una buona scuola, quelli che incantano i loro studenti, trasformano un complicato problema matematico in un’opera d’arte – al contrario di quegli altri, capaci di inaridire Leopardi. Va da sé che il medesimo ragionamento vale per tutti gli altri mestieri, perché pretendiamo di poterci fidare del pizzaiolo e dell’autista del bus, di chi fa i nostri giornali preferiti, dei professionisti e degli artigiani ai quali ci capita di affidarci. La differenza principale è che se non sono contento dell’elettricista, o del giornale, lo cambio. L’altra differenza è che la scuola, come la giustizia e l’esercito, è un’istituzione dello stato, ancorata alla costituzione, mica un servizio. Tutti sono obbligati a frequentarla, e non è solo questione di imparare a leggere, scrivere e far di conto.

Tutti siamo andati a scuola. C’è chi si è appassionato e chi è stato malissimo. C’è chi ricorda i suoi maestri, perché erano il meglio o il peggio. Sia come sia, magari non avremo imparato bene la matematica, l’italiano o tutta quell’abbondanza di nozioni, tecniche, lingue e competenze che si usa infilare nei programmi: ma siamo tutti esperti di scuola, ognuno con la sua soluzione, magica e quasi banale.

È da riflessioni come queste che vorrei ripartire, non per rincorrere chissà che rivoluzione copernicana, perché tanto la Realpolitik viaggia con prudenza e il piede sul freno, e con l’illusionismo non si va distante. Però esistono delle idee che arrivano molto più in là dei livelli e della media del 4.65 per andare al liceo a farsi massacrare una volta su tre. Ci sono problemi politici, sociali e culturali enormi, da affrontare con spirito critico, curiosità, piacere del dubbio e della speculazione intellettuale: attitudini che non possono nascere in una scuola ingessata e inutilmente selettiva. Per imparare a difendersi dalle fake news e dai tanti imbonitori della politica e dell’economia serve una scuola diversa: perché educare non è sinonimo di addomesticare, né di intrattenere o divertire.

Nulla di nuovo sotto il sole

Mi piace segnalare l’opinione di Natalia Ferrara, deputata del PLR in Gran Consiglio, in margine alla campagna dei giovani UDC ticinesi denominata «scuole libere», per denunciare la «visione socialista del mondo e delle cose, mettendo così in pericolo il concetto stesso di democrazia» che sarebbe in atto nelle scuole ticinesi. Per propagandare la loro azione i promotori citano niente meno che Stefano Franscini (1796-1867), principale artefice del moderno sistema educativo del nostro cantone.

Il testo completo, pubblicato a pag. 16 del Corriere del Ticino del 29 ottobre 2020, si può leggere qui (Giù le mani da Stefano Franscini).

Condivido fino all’ultima virgola il parere della parlamentare liberale radicale, che così conclude il suo articolo: La società, attraverso la politica, finanzia la scuola ma non l’aiuta a educare. Non in questo caso almeno. Un’altra occasione sprecata, poiché tutto può servire alla scuola salvo una lotta ideologica da secolo scorso, con l’obiettivo non di innovare, bensì di suscitare reazioni scomposte delle varie tifoserie. Tant’è vero che anche i comunisti, nella loro reazione a questa iniziativa UDC, spiace dirlo, non hanno portato idee, bensì, a loro volta, dogmatismi.

A proposito di povertà di idee, ricordo che i giovani UDC ticinesi si sono limitati a copiare di sana pianta un’analoga campagna che era stata lanciata giusto sei anni fa – pensa te il caso – dai loro colleghi nazionali: «Il tuo professore ti vuole influenzare? I giovani UDC corrono in tuo aiuto. Freie Schulen. Stopp der politischen Indoktrination!» Ne avevo scritto Corriere del Ticino, il 18 ottobre 2014, e sono contento di riproporlo oggi: I giovani UDC e gli studenti indottrinati dai maestri.

Ospite virtuale a Verona

Verso fine agosto sono stato sollecitato a inviare un breve contributo alla collega Barbara Gaiardoni, che da qualche mese collabora con il mensile Verona Sette.

Il 2020 sarà un anno speciale per Gianni Rodari, giornalista, pedagogista e scrittore: nato il 23 ottobre di cent’anni fa a Omegna, era stato insignito nel 1970 del premio Andersen, che è considerato il Nobel della letteratura per l’infanziae e ci lasciò improvvisamente nel 1980.

Ero diventato maestro di scuola elementare nel 1974. In quegli anni il nome di Rodari ricorreva in maniera importante: si parlava molto di lui già a livello di formazione dei futuri insegnanti e i molti suoi racconti, favole e romanzi erano di casa in tante classi: basti ricordare, un po’ alla rinfusa, «Gelsomino nel paese dei bugiardi», «Favole al telefono», «La freccia azzurra», «La torta in cielo» – senza scordare la «Grammatica della fantasia, che era nel contempo un’«introduzione all’arte di inventare storie» e un serbatoio immenso di pedagogia e didattica.

Oggi – e non credo si tratti solo di un fenomeno specifico delle scuole del mio Ticino – i titoli di Rodari sono sconosciuti agli allievi, anche perché già i loro maestri non l’hanno più incontrato: sarebbe interessante capirne il motivo. Per chi, leggendo queste poche righe, starà masticando il suo «Carneade! Chi era costui?», consiglio Una storia, tante storie. Guida all’opera di Gianni Rodari, di PINO BOERO, profondo conoscitore dell’opera e del pensiero di Rodari, riedito proprio quest’anno da Einaudi Ragazzi.

Sarebbe poco civile augurarsi che la scuola non riapra per il virus, ristabiliamo un diritto

Domani si tornerà a scuola in modalità standard. Cassandre e chiudizionisti prego astenersi, perché la scuola ha bisogno di serenità e ottimismo. La scuola non è la vita vera, ma un luogo protetto, una specie di parco naturale da custodire gelosamente. Enos Bernasconi, responsabile malattie infettive dell’EOC, ha scritto: «È probabile che dei casi positivi in ambito scolastico si verificheranno anche da noi, è praticamente inevitabile. Ma le scuole andavano riaperte in presenza, perché l’istruzione è una necessità. La via delle lezioni a distanza è stata proficua, ma ha dei limiti. L’aspetto della socializzazione è fondamentale. Sarebbe stato sbagliato lanciare il messaggio che, per eccesso di prudenza, non si sarebbero riaperte le scuole. Fare i catastrofisti non serve, bisogna accettare il rischio. Un rischio gestibile».

Da metà luglio, in queste pagine, ho proposto alcune riflessioni attorno a temi importanti emersi nelle tante settimane dall’improvvisa chiusura delle scuole a oggi, con l’obiettivo di rimarcare che certe parole non possono restar lì come banali slogan. Ho parlato della riscoperta di quanto sia importante andare a scuola, anche fisicamente e non solo intellettualmente. Ho accennato alla scelta dello stato di obbligare la frequenza scolastica di tutte le persone dai quattro ai quindici anni che abitano nel nostro paese.

Ho cercato di spiegare perché siamo tutti così diversi, mentre a volte la scuola vorrebbe che fossimo tutti uguali – e in troppi sono convinti che se qualcuno è più uguale di altri è perché è più intelligente, si impegna di più, lavora sodo. A quel punto ho pure espresso l’idea che la classe non può essere una copia della famiglia, magari un po’ più numerosa della conformazione alla quale siamo oggi abituati; e del perché la formazione e l’educazione di tutti è importante e non può essere lasciata al caso, che ti fa nascere con la camicia o nudo come un verme. Una scuola indifferente alle differenze è come un sistema sanitario che si occupa solo dei sani.

Tra i quattro e i quindici anni un allievo che non ripete neanche una classe trascorre a scuola ben più di diecimila ore, senza contare i compiti a casa. Ha scritto un sociologo che se la medicina, per obbligo statale, potesse occuparsi della popolazione anche solo per una porzione infinitesimale di questo tempo, non le si perdonerebbe nemmeno un raffreddore. Ogni allievo, entro i quindici anni, ha il diritto di acquisire il bagaglio di conoscenze linguistiche, umanistiche e scientifiche che gli permetta di scegliere consapevolmente cosa vuol fare da grande. Garantire questo diritto è il dovere della scuola dello stato.

In ogni modo ora si torna a scuola, con gli auguri che da domani in poi si faccia tesoro di ciò che si è scoperto nei mesi scorsi. Tra i tanti pensieri positivi c’è la speranza che a nessuno venga in mente di inventarsi qualche ballottaggio per scegliere, ancor prima delle vacanze autunnali, chi parteciperà al girone finale e chi, in giugno, sarà retrocesso. La contingenza sanitaria che l’anno passato ha fatto diminuire la statistica delle bocciature non può essere l’alibi per pareggiare i conti quest’anno: perché sarebbe come chiudere bottega prima ancora che ricompaia la minaccia.

A differenza di altri contesti, la scuola riapre i battenti per una questione di principi superiori e fondatori del nostro paese e non per una legittima urgenza economica. Gufare sarebbe incivile.


Note

L’affermazione del Prof. Enos Bernasconi è tratta dall’intervista di Giona Carcano pubblicata nel Corriere del Ticino del 24 agosto («Bisogna fare attenzione alla tendenza dei numeri», p. 2).

Il richiamo a un sistema sanitario che si occupa solo dei sani riporta a Don Lorenzo Milani (Lettera a una professoressa, 1976, Libreria Editrice Fiorentina, p. 20): «Ma se si perde loro [gli ultimi, quelli che restano indietro], la scuola non è più scuola. È un ospedale che cura i sani e respinge i malati. Diventa uno strumento di differenziazione sempre più irrimediabile».

Il sociologo citato è Philippe Perrenoud (La pédagogie a l’école des différences, 1995, Paris: ESF éditeur): «La responsabilité du système scolaire est mille fois plus engagée, puisque nul enfant n’y échappe et que chacun est livré 25 à 35 heures par semaine, pendant une dizaine d’années au moins, à l’action pédagogique de l’école. Si la médecine préventive pouvait prendre en charge les personnes de façon aussi autoritaire et continue, on ne lui pardonnerait aucune maladie!»


Termina con questo articolo la serie di contributi denominata L’ANALISI – Verso la ripresa delle lezioni. Le puntate precedenti sono state pubblicate domenica 12 luglio (L’istruzione è un valore aggiunto per la crescita economica e sociale), 9 agosto (Dopo un’estate di dubbi e domande, per la scuola arriva l’ora delle scelte), 16 agosto (L’insegnamento in équipe aiuterà i docenti) e 23 agosto (Le aule restino un luogo privilegiato dove sbagliare ma senza farsi male).