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Un villaggio senza la sua scuola è un villaggio senz’anima

Oggi voglio parlare del numero di allievi per classe, non quello assiomatico secondo cui più allievi ci sono, meno imparano; ma quell’altro, che serve per istituire una scuola o, più spesso, per sopprimerla. Tra le tante variabili che portano all’apertura di una nuova scuola, ce n’è una più micidiale di altre, perché la norma vuole che ogni sezione non può avere meno di 13 né più di 25 allievi, al di là di un’indicazione del regolamento che invita a tenere conto delle caratteristiche socioculturali degli allievi, che è una definizione come minimo un po’ vaga.

Con questo espediente si sono chiuse tante scuole periferiche, lasciando intendere, con la complicità di troppi operatori del settore, che le pluriclassi sono ripieghi da campionati minori, da creare solo se proprio non se ne può fare a meno. Sulla base di questo assunto si è proceduto, sin dagli anni ’70, alla creazione di consorzi scolastici, che, assai spesso, hanno annientato in un sol colpo le scuole di tutti i villaggi di una regione. Dubito che queste scelte politiche siano riuscite a migliorare il livello formativo rispetto alle scuole di paese di un tempo, creando per contro nuovi costi e disagi – si pensi ai trasporti giornalieri da comuni e frazioni verso i centri scolastici.

Avevo collaborato al progetto di aggregazione dei comuni della sponda sinistra della Maggia, poi bocciato in votazione popolare nel 2011. Uno studio assai articolato sull’organizzazione delle scuole della collina locarnese aveva rimarcato un principio che ritengo di grande validità e di profondo senso civico: «Si può ritenere che la presenza della scuola sul territorio del comune rivesta un’importanza fondamentale, non fosse che a livello di identità e di attaccamento al proprio territorio. Molti comuni che, a suo tempo, optarono per le chiusure delle loro scuole, si sono assai rapidamente trasformati in anonimi quartieri-dormitorio. Un comune senza bambini che lo percorrono per andare a scuola è un comune senz’anima. Frequentare la scuola nel proprio comune è la prima condizione per conoscerlo».

In quest’ordine di idee è intrigante l’iniziativa parlamentare, del tutto in controtendenza, dei deputati Nicola Pini, Giacomo Garzoli e cofirmatari. Tenuto conto che le scuole comunali «rappresentano un elemento di vitalità senza il quale una regione sembra davvero destinata a morte certa dal profilo culturale e comunitario» propongono che si tenga conto delle caratteristiche socioculturali degli allievi, del contesto socioeconomico e della morfologia territoriale della regione, per eludere la regola pignola del 13/25. Auspicano dunque «che la sensibilità verso questo aspetto possa essere largamente condivisa, in modo da offrire un elemento di sbarramento alla tendenza allo spopolamento delle periferie e di speranza verso un futuro in cui si possa finalmente intravedere un’inversione di tendenza favorevole a uno sviluppo di tutto il Cantone».

È difficile dire come andrà a finire. Molte scuole, ormai, hanno chiuso i battenti. I villaggi che hanno aderito ai consorzi ben difficilmente inseriranno la retromarcia. Ma forse è ancora possibile, in alcune zone, invertire la rotta. Nei panni di una giovane famiglia che vuole allontanarsi dalle città e da certe periferie adibite a dormitori, vorrei che i miei figli frequentassero la scuola elementare in paese e che vi si recassero a piedi, percorrendo e imparando a conoscere le sue vie e viuzze, gli edifici, i campi e le piazzette: anche perché la pluriclasse è cool.

Scuola di Someo, oggi frazione di Maggia, anno scolastico 1938-1939. Quarant’anni fa è stata chiusa la scuola elementare, confluita nel Consorzio Scolastico Bassa Valmaggia. Nel 2004 è sparito pure il comune.

L’iniziativa parlamentare dei deputati Nicola Pini e Giacomo Garzoli, firmata pure da Sebastiano Gaffuri, Franco Celio e Walter Gianora, può essere scaricata qui.

… Diversamente! Sguardi diversi sulle diversità

È molto apprezzabile il tentativo del Dipartimento formazione e apprendimento della SUPSI di uscire dalle aule di piazza San Francesco per presentare temi di natura formativa e/o educativa al pubblico tutto. Soprattutto di questi tempi, dove tutti sparano precetti incontrovertibili sulla scuola e l’educazione, spesso a vanvera, queste proposte in piazza hanno un sano sapore di divulgazione e di apertura al dialogo.

È in questo solco che germoglierà nelle prossime settimane la rassegna … Diversamente!, una nuova proposta presentata giovedì 22 febbraio alla stampa con una dichiarazione di modestia e, nel contempo, di passione: «A “Rassegna” – è stato detto – abbiamo voluto aggiungere “2018”, a significare la nostra volontà di continuare anche in futuro, affinché dopo l’edizione 2018 vi possano essere altre edizioni sul medesimo tema, a scadenza annuale, biennale o… chissà?».

… Diversamente! – col punto esclamativo, perché di lì non si scappa – nasce da un’idea del Centro di competenze Bisogni educativi, scuola e società (BESS), diretto da Michele Mainardi; che ha scritto nella presentazione:

Le attenzioni che portiamo alle persone conformi o diverse rispetto ad una norma data, definita sulla base di criteri unificanti quali le abilità, il genere, l’etnia, la razza, lo status sociale, l’orientamento sessuale, la religione, ecc… sono senza alcun dubbio una delle principali testimonianze dell’evoluzione della considerazione delle diversità nella cultura e nei valori umani delle società.

Reazioni ed emozioni più o meno coscienti, associate ad aspetti puntuali che caratterizzano la persona, arrischiano di assimilare il tratto al tutto, di subordinare la persona al tratto, negandola in quanto tale.

L’interessarsi alle diversità nelle persone, nella relazione con l’altro e nell’incontro con sé stessi …diversamenteossia non per delimitare i confini della norma ma per riconoscerne i limiti e le limitazioni ed andare oltre – può portare a considerare le diverse realtà umane come altrettanti fattori di arricchimento individuale coscienti che è unicamente nella reciprocità degli sguardi che i confini personali e culturali possono incontrarsi e specchiarsi al di là delle differenze.

La rassegna avrà un prologo il 27 febbraio con un atelier Riservato agli studenti del secondo anno Bachelor DFA-SUPSI, per poi offrirsi alla popolazione il 3 marzo – una tavola rotonda al DFA, un concerto nell’attigua chiesa di San Francesco e l’inaugurazione ufficiale.

Un secondo momento pubblico – «AscoltArte: l’ascolto nelle diversità» – è previsto venerdì 23 marzo al GranRex, per poi culminare il 13 e il 14 aprile nell’ambito della Giornata mondiale per la consapevolezza sull’autismo, con molteplici attività per tutti i gusti.

… Diversamente!, che si avvale di innumerevoli collaborazioni e patrocini, ha pure una qualificata madrina, la conduttrice televisiva Clarissa Tami, che, con una formazione di filosofia appliocata sulle spalle, sostiene in particolare l’azione centrale dell’edizione 2018, dedicata all’impegno per un linguaggio rispettoso della persona (con disabilità).


Nella sua edizione del 22 febbraio BAOBAB, magazine informativo quotidiano di Rete Tre della RSI, ha dedicato un interessante servizio alla rassegna, con interviste a Michele Mainardi e a Claudio Cattaneo, responsabile della Fondazione ARES (Autismo Ricerca e Sviluppo):


Ogni dettaglio della rassegna è disponibile all’indirizzo http://www.diversamente.ch/.

Il sogno pedagogico di un uomo di scienza

Capita, ogni tanto, che qualche amico o conoscente mi segnali articoli, libri, situazioni o documenti tratti dal web. Nel grande magma dell’informazione oggi si trova proprio di tutto.

Oggi pomeriggio mi è arrivata la segnalazione del video di una conferenza. Il titolo mi ha incuriosito, visto che il tema – o, almeno, la parola chiave, «competenze» – è famosa un po’ in tutta la Svizzera e genera non poche inquietudini: «Per una scuola delle competenze, non dei voti».

Si tratta di una conferenza di una decina di minuti, tenuta in un teatro da tale Salman Khan: mai sentito nominare. Come tutti ho dato un’occhiata alla rete e, con quel nome, ho trovato un attore indiano, una stella di Bollywood. Mica possibile.

Allora ho affinato la ricerca e ho trovato quel che cercavo: Salman Amin Khan è un educatore e imprenditore bengalese, naturalizzato statunitense. Diciamo che la voce Wikipedia in inglese è un po’ meno fuorviante rispetto alla versione italiana. Per tagliar corto, Salman Khan ha alle spalle tre titoli conseguiti al prestigioso MIT, Massachusetts Institute of Technology: due bachelor in scienze e in matematica, poi un master in ingegneria elettronica e informatica, a cui ha aggiunto un altro master a Harvard.

Ecco la presentazione del video: «Costruireste mai una casa su fondamenta lasciate a metà? Naturalmente no! Perché, allora, avanziamo a marce forzate lungo i programmi scolastici quando gli studenti non hanno ancora assimilato i concetti di base?»

Cosa racconta durante la breve conferenza quest’uomo di scienza e imprenditore dell’educazione, fondatore della Khan Academy? Prendetevi dieci minuti e guardatela, perché ne vale la pena: è chiara e accessibile, a tratti divertente.

Per un pedagogista «classico» come potrei essere io, la vera notizia non è quel che racconta, che si rifà sostanzialmente a tanti anni di storia della pedagogia: da Rousseau e Pestalozzi, per giungere a Célestin Freinet e Don Lorenzo Milani, senza scordare quel grande movimento utopistico e pacifista che è stata la Ligue Internationale pour l’Éducation Nouvelle, l’unica lega che mi sento di applaudire, quella fondata a Calais, nel 1921, da personaggi quali John Dewey, Jean Piaget, Maria Montessori, Beatrice Ensor, Adolphe Ferrière e Elisabeth Rotten.

Per contro la notizia da prima pagina è che sul pulpito c’è uno che normalmente, nelle nostre scuole medie, medio-superiori e terziarie, non muoverebbe un dito per proibire le monoclassi e le certificazioni annuali, per sopprimere i dannosi, costosi e dispendiosi livelli della scuola media e i tassi spropositati di bocciatura al liceo; perché invece  costoro stanno vigili e sornioni all’ombra delle barricate, a difendere e rafforzare tutti i bracci armati della scuola pubblica.

E invece cosa dice il nostro professore bengalese?

Per esempio che non si può continuare un percorso di apprendimento se vi sono anche delle seppur minime lacune.

«In un’arte marziale – dice – ci si esercita sulle abilità di cintura bianca fino ad assimilarle bene, e solo a quel punto si avanza e si diventa una cintura gialle. Anche gli strumenti musicali si imparano così: continuate a esercitarvi sul brano più semplice, e solo quando l’avete imparato bene passate a uno più avanzato».

Di transenna: è un principio già applicato da Freinet sessanta e più anni fa col suo sistema dei brevetti.

Aggiunge: «Tradizionalmente a scuola raggruppiamo tutti gli studenti di solito per età. Poi, durante la scuola media, li dividiamo per età e voti, e li spingiamo come pecore tutti allo stesso ritmo. Così di solito succede che, diciamo in una lezione di pre-algebra alle medie, dove si insegnano gli esponenti, l’insegnante fa una lezione sugli esponenti. Poi andiamo a casa e facciamo un po’ di compiti. Il mattino dopo correggiamo i compiti. Poi un’altra lezione, compiti, lezione, compiti. Questo continua per circa due o tre settimane, e infine c’è un test. In quella verifica, magari io prendo un 75%, tu forse il 90% e lui il 95%. E anche se il test ha rivelato alcune nostre lacune – io non avevo un quarto del programma, e c’era un 5% che anche lo studente migliore non sapeva – l’intera classe passerà all’argomento successivo, probabilmente più avanzato, che prevede cioè la conoscenza delle lacune. Potrebbero essere i logaritmi o gli esponenti negativi. Il processo continua e subito emerge l’assurdità della situazione».

Chi mi ha segnalato questo filmato ha chiosato: «Sant’Iddio, quanto vero è ciò che afferma e propugna questo docente indiano: tutti possono farcela a capire e ad appropriarsi della conoscenza e, quindi, della cultura». Ma, sostiene lui, dobbiamo cambiare a fondo il nostro modo di insegnare!

Ma toh!?

Io aggiungerei: la scuola dello Stato – dai politici agli insegnanti, dai funzionari ai direttori, dagli studenti ai genitori – deve smetterla di essere indifferente alle differenze, deve rispettare la storia e il profilo culturale e cognitivo di ognuno, deve continuare a garantire le pari opportunità in entrata, ma poi deve battersi affinché vi sia concretamente l’opportunità di raggiungere risultati elevati per ognuno all’uscita dalla scuola dell’obbligo.

Per finire, ecco il sogno e l’auspicio del professor Khan, l’attualizzazione di aspirazioni pedagogiche centenarie e mai realizzate, quelle di una pedagogia che dovrebbe far rima con democrazia e benessere e, stavolta sì!, con delle pari opportunità che non restino fermi ai blocchi di partenza.

Non sarebbe solo ‘una gran bella cosa’. Penso che sia un imperativo sociale. Stiamo uscendo da quella che chiamereste l’era industriale e stiamo entrando nella rivoluzione dell’informazione. È chiaro che sta succedendo qualcosa.

La società industriale era piramidale. Alla base della piramide serviva lavoro umano. In mezzo alla piramide c’era l’elaborazione dell’informazione, ossia una classe di burocrati, e in cima alla piramide c’erano i proprietari del capitale, vale a dire gli imprenditori e la classe intellettuale, creativa.

Ma sappiamo cosa sta già succedendo, entrando nella rivoluzione informatica. Il fondo di questa piramide, l’automazione, sta decollando. È l’elaborazione dell’informazione, è la specialità del computer. Come società dobbiamo chiederci: tutta questa produttività sta avvenendo grazie alla tecnologia, ma chi vi partecipa? Sarà solo la cima della piramide? In tal caso, cosa faranno gli altri? Che ruolo avranno?

Oppure facciamo qualcosa di più ambizioso? Cerchiamo cioè di invertire la piramide, con una grande classe creativa, dove quasi tutti possono partecipare come imprenditori, artisti, ricercatori.

Non penso che sia utopistico. Credo che in realtà sia tutto basato sull’idea che se lasciamo attingere al loro potenziale padroneggiando i concetti, riuscendo a gestire in autonomia la propria formazione, le persone possono farcela. Pensateci: da cittadini del mondo è veramente esaltante. Pensate al genere di equità che potremmo avere, e a che passo la civiltà potrebbe progredire.

Quindi sono molto ottimista. Penso che sarà un periodo molto esaltante in cui vivere.

Anch’io, a dirla tutta. Con dei lunghi momenti di grande sconforto.

Un ricordo piacevole, una bella storia

La Rivista, mensile illustrato del Locarnese e valli, ha pubblicato una toccante intervista a Dario Catti, un ragazzo affetto da distrofia muscolare (N° 11/2016). Nato nel 1995, Dario ha frequentato per due anni la scuola dell’infanzia di Locarno. Nel 2001/02 iniziò la 1ª elementare alla scuola pratica annessa alla Scuola magistrale cantonale, con la maestra Silvana Fiori. Alla fine di quell’anno scolastico la Scuola magistrale, nel frattempo diventata Alta Scuola Pedagogica, rinunciò alla scuola pratica e la chiuse, così che allievi e docenti confluirono nelle Scuole comunali di Locarno.

Dario continuò la sua avventura nella scuola elementare alla sede dei Saleggi, in 2ª ancora con la maestra Fiori, per poi frequentare il II ciclo nella classe del maestro Angelo Morinini. Ricordo con tanto piacere quell’esperienza, perché la scuola fece il possibile per agevolarlo, facilitandone gli spostamenti, dal momento che la malattia avanzava rapida e inesorabile. I maestri, dal canto loro, lo accolsero con grande sensibilità, senza mai trattarlo con pietismo, ma pretendendo ciò che lui poteva e doveva dare.

Ho il ricordo incancellabile del giorno in cui, il 9 giugno 2006, fu festeggiato assieme ai suoi compagni nella corte interna del Castello visconteo. Al momento della consegna delle licenze di scuola elementare, iniziai proprio da lui. «Siete più di cento – dissi, rivolgendomi agli allievi e al pubblico che li applaudiva – per cui ci vorrà un po’ di tempo. Non c’è un ordine preciso per chiamarvi, né alfabetico né – ci mancherebbe – basato su altre classifiche. Ma, stavolta, voglio fare un’eccezione e cominciare con un allievo al quale la vita ha voluto mettere qualche ostacolo in più, ma che comunque ha dimostrato di saperci fare, malgrado le difficoltà: Dario Catti».

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Naturalmente non voglio qui vantare meriti che non ho. Mi ero limitato a far sì che non si alzassero ostacoli oltre a quelli che già c’erano. Dario era un ragazzo in gamba, sostenuto da una famiglia che non ha mai preteso la luna, ma solo il rispetto verso un figlio svantaggiato, certo, ma senza inadeguatezze che avrebbero potuto suggerire machiavelliche esclusioni (scolastiche). I maestri che hanno avuto a che fare con lui erano bene in chiaro sul ruolo della scuola pubblica e obbligatoria, e operarono coerentemente: con rigore e sensibilità, senza nessun pietismo manierato.

Naturalmente si potrebbe dire che questo tipo di accoglienza dovrebbe valere per tutti i bambini e i ragazzi che sono obbligati a frequentare le nostre scuole. Ma, senza i buonismi tanto di moda, bisogna pur dire che, ogni tanto, l’inclusione deve fare i suoi conti mettendo a confronto i sogni con la realtà (si veda «L’inclusione tra sogni e realtà», un testo di due anni fa, che mi sembra ancora molto attuale).

Complimenti alla scuola elementare di Maloja!

Che bello, davvero!

Nell’ambito del «Premio scolastico svizzero 2015», la Scuola elementare bilingue del comune grigionese e bregagliotto di Maloja ha ottenuto il premio nella categoria «Svizzera italiana», con la seguente motivazione:

Il piccolo istituto bilingue di Maloja mostra chiaramente come in una scuola assai eterogenea si possa creare una forte coesione attraverso metodi didattici flessibili e creativi. L’insegnamento è completamente bilingue, ci sono classi con allievi di varie età e si punta a un soddisfacimento individuale dei bisogni delle studentesse e degli studenti nonché a una vita scolastica familiare, che si concretizza tra l’altro nella mensa.

Chi mi segue in questo sito (i miei followers, che brutta definizione) sa che nutro una stima quasi incontrollata per le pluriclassi e la diversità più esagerata. Questo premio, dunque, mi riempie di felicità, perché va controcorrente.

Guardatela qua, la scuola elementare bilingue di Maloja.

Auguriamoci tutti insieme che la scuola di Maloja, insieme a tante altre scuolette, non sia annientata da ragioni economiche (come ad esempio la scuola intercomunale di Derrière-Pertuis, che avevo citato parlando del documentario «Tableau noir» di Yves Yersin) o, peggio, dalle menate tecnocratiche ed efficientiste imposte dall’Accordo intercantonale sull’armonizzazione della scuola obbligatoria, più noto come HarmoS, con le maiuscole in entrata e in uscita.