Tra la bellezza che rimane ancora e la scuola che verrà

Mi scuso coi miei lettori più assidui. Non vorrei sbagliarmi, ma credo che sia la prima volta che infilo due articoli in due giorni.

Come sanno i ticinesi, domenica 23 settembre si è votato sul credito per la sperimentazione del progetto «La scuola che verrà». I risultati sono giunti nel primissimo pomeriggio. Il verdetto è chiaro: la richiesta di poter testare l’ampia riforma proposta da Manuele Bertoli, direttore del Dipartimento dell’Educazione, della Cultura e dello Sport, è stata bocciata dal 56.7% dei votanti, con una partecipazione del 40%.

Chi mi segue sa che ho votato a favore, anche se preferivo la prima versione del progetto, quella ancora incontaminata di quattro anni fa (versione che, lo so bene, non avrebbe neanche lontanamente convinto un’esigua minoranza del Parlamento).

Il mio sito, domenica pomeriggio, si è animato. Un inusuale numero di curiosi cercava probabilmente un mio commento, che non c’era e non ci sarà. Ero convinto che i contrari (a questa riforma, a Bertoli, ai socialisti, ai progressisti, ai pedagogisti, …) avrebbero vinto facilmente. Conservare è facile, si rischia poco e, se necessario, si trovano sempre dei colpevoli.

Domenica, invece, ho pubblicato La bellezza che rimane ancora: echi dal diario di Anne Frank, un mio personale ricordo dell’edizione di Piazzaparola del 20 settembre scorso.

In tarda mattinata Luca Del Notaro ha inviato un commento, che non ho pubblicato:

Ha ha… tutti i tuoi lettori, io compreso, si aspettavano una bella analisi del risultato della votazione sulla scuola che non verrà più… e invece…  beccatevi questa!!

Non è stato un sotterfugio, il mio, o una fuga fifona. Le proposte di Piazzaparola, così come i concerti o il teatro per le scuole, sono più vicini alla scuola dei miei sogni dei tanti efficientismi di quella che in tanti vagheggiano, una scuola che vorrebbe preparare alla vita – anche se lorsignori confondono la vita con l’economia e il mondo del lavoro. Cittadini e lavoratori non sono la stessa cosa.

Gabriel Lemmonnier (1743-1824), Une soirée chez Madame Geoffrin (1812)

Quindi non commenterò un bel niente, i commenti dell’esito referendario sono affare di politici e politologi.

Il partito liberale (che si ostina a dirsi anche radicale) ha già comunicato che la colpa della sconfitta è del ministro Bertoli: ha voluto una riforma – si pensi un po’! – ideologica. Si vede che i liberali fanno politica senza ideologia. Commento inutile per dire di chi, senz’ideologia per ammissione a mezzo stampa, continua a menarla con le pari opportunità di partenza, ma non di arrivo: scienza pura, ovvio, nessuna idea di scuola.

Però bisogna ammettere che almeno loro, i liberali, si sono fatti sentire subito, anche se poi, come ha scritto il Corriere del Ticino, «In casa PLR c’è maretta: i commissari liberali radicali in Scolastica prendono le distanze dal comunicato dell’Ufficio presidenziale dopo il no popolare alla sperimentazione». Altri, nelle medesime ore, non si sa dove fossero e a cosa pensassero.

Io continuerò a parlare di ciò in cui credo. In questo sito, tanto per dire, ci sono tantissimi articoli che parlano del progetto di riforma Scuola che verrà, di etica della scuola, di pari opportunità, di finalità della scuola dell’obbligo e di tanti argomenti analoghi, naturalmente privi di ogni parvenza ideologica.

Una scuola verrà, questo è sicuro. Magari sarà la stessa che c’era fino a venerdì scorso e ci sarà ancora domani; oppure un’altra, una tutta diversa. Il Paese, fin qua, ha scelto.

Auguri.

3 commenti su “Tra la bellezza che rimane ancora e la scuola che verrà”

  1. Caro Adolfo,
    tutto mi sembra chiaro! Sono convinto, come te, che la miglior resistenza è quella della cultura che, a certe condizioni, può contagiare e, perché no?, liberare lo spirito e la mente. Nei regimi più oppressi, si sa, chi ha resistito lo ha fatto attraverso la musica, il teatro, la letteratura e tanto altro, lasciando dietro di sé opere incredibili (il tuo riferimento al diario di Anne Frank non è un caso!). Credo che non bisogna essere fedeli alle istituzioni. Bisogna restare fedeli alle persone, ma non alle istituzioni, che hanno, talvolta, strane strategie di sopravvivenza. Un’istituzione è come un organismo vivente, e come tale può produrre cose notevoli, ma può anche generare scorie e messaggi contraddittori e nefasti.
    Per farla breve (e tu mi conosci!): penso che la scuola deve poter avere un luogo e uno spazio di ricerca. Chiamala ricerca fondamentale, ricerca attiva, sperimentazione, chiamala come vuoi, purché ci sia un luogo di confronto per pensare la conoscenza del soggetto e riposizionare alcuni principi di base, come l’esperienza e/o l’interazione, alla luce dei contenuti della cultura scolastica!
    Un caro saluto. LUCA

    1. Caro Luca, credo di aver capito il tuo messaggio. Voglio però correggere, dal mio punto di vista, il tuo accenno alla ricerca. Credo che oggi alla Maestre e ai Maestri della scuola dell’obbligo – poi chiamali come vuoi, da professori a dottori, da insegnanti a docenti – servano una scuola serena, anche nel senso letterale del termine (Giuseppe Lombardo Radice coniò così, in Italia, la scuola progressista di quegli anni), e la mentalità del ricercatore: che è la Curiosità, nel senso più bello e nobile del termine.

  2. Leggendo il tuo articolo di ieri ho proprio pensato che quanto volevi dire lo avevi detto più volte e molto bene. Il nostro ruolo di uomini di scuola e di cultura (la cultura non va in pensione), è quello di continuare a opporci all’ignoranza, al fatalismo, alla mediocrità, al conservatorismo, al “tout va très bien Madame la Marquise”.

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