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Così parlò Manuele Bertoli: «Se le mie risposte infastidiscono, basta non leggerle»

È inutile cercare scuse: forse sono l’unico sciocco che s’è accorto con ritardo bernese che il Consigliere di Stato direttore del Dipartimento dell’Educazione, della Cultura e dello Sport – insomma, del DECS – aveva commentato il mio articolo «Le proposte del ministro su HarmoS e il Piano di studi», apparso sul Corriere del Ticino del 2 novembre scorso.

Eppure è stato lesto, il nostro Ministro: ha commentato il giorno stesso, sul portale denominato Ticino Libero.

Detto di transenna: il web è affollato di “Ticini”. C’è quello online e c’è quello news, senza contare le libere TV e tanti altri. Ora ho scoperto, appunto, Ticino Libero, che, dal nome, sembra un pochettino leghista, ma solo un po’. Se ne sentiva la mancanza.

Per tornare a bomba: Manuele Bertoli ha dichiarato che da quando dirige il DECS e risponde pubblicamente alle critiche più o meno fondate sui temi di sua competenza che legge dai media, osserva che, curiosamente, spesso le sue risposte dànno fastidio. Pare, stando al portale, che Bertoli ’ste cose le abbia scritte sul suo sito. E precisa: «La cosa è bizzarra, poiché mi pare naturale che rispondere faccia parte del mio mandato. Lo è ancor di più se il fastidio verso la risposta si fonda sulla rapidità di reazione, quasi come se rispondere subito sia sintomo di qualche problematicità». E poi aggiunge, stando sempre al libero portale: «Porre delle questioni pubblicamente è più che legittimo e rispondere mi pare il minimo, almeno per chi è interessato a un vero dibattito. Se poi le mie risposte infastidiscono, basta non leggerle». In definitiva, però, si limita e manifestare il suo fastidio, senza entrare nel merito delle osservazioni, alla faccia del dibattito.

Anche se, figuriamoci, il Ministro non deve mica rispondere a me, casomai al Paese.

Naturalmente non mi ha sconvolto il fatto che un Consigliere di Stato abbia replicato ai miei appunti. Mi ha invece scombinato l’invito a non leggere le risposte che potrebbero far venire il nervoso.

Ricapitoliamo.

Al mio articolo – Le proposte del ministro su HarmoS e il Piano di studi, sul Corriere del Ticino di lunedì 2 novembre – il direttore del DECS ha replicato il giorno stesso su Ticino Libero. Titolo: Bertoli scocciato, «se non vi piacciono le mie risposte non leggetele». Sottotitolo: Un articolo sul Corriere del Ticino infastidisce il ministro socialista, «come se rispondere subito sia sintomo di qualche problematicità».

Certamente potrei dire la stessa cosa al ministro Bertoli: con tutti i pensieri che derivano dall’essere Consigliere di Stato di questa Repubblica, non è il caso che ci si debba occupare anche delle scocciature. Ma, appunto, basterebbe evitare di leggerle.

Faccio parte di quella generazione che ascoltava il giornale radio delle 12.30 in religioso silenzio. Ne ho parlato più volte nella mia rubrica sul Corriere del Ticino, «Fuori dal’aula».

Ricordo bene la voce di Mario Casanova, che per decenni, come annota il Dizionario storico della Svizzera, fu “la voce” dell’informazione. Al di là di tante vicende, internazionali e locali, rammento come se fosse ieri il primo volo di un uomo nello spazio – Jurij Gagarin, 12 aprile 1961, avevo otto anni – o gli ultimi giorni di Palmiro Togliatti, nell’estate del 1964. Ero a Someo, dai nonni, per un periodo insolitamente lungo. Mio nonno, socialista, seguì con apprensione il decorso del Migliore verso la morte. E io con lui, senza capirci molto, se non la sacralità civica dell’accadimento.

Certo, in quegli anni non c’erano ancora Politica Nuova, settimanale marxista leninista e rivoluzionario dei locali socialisti, che avevano bisticciato coi socialisti storici e tradizionali, e che, per certi versi, diede avvio alla lunga stagione dello sputtanamento del potere politico e della sua messa alla berlina non stop. E non c’erano neanche la Lega dei ticinesi e il domenicale gratuito Il mattino della domenica, che formalmente non è l’organo della Lega, benché ne rappresenti il piedistallo elettorale e la linea politica. In mezzo, tra i due e tanti altri, non c’erano ancora stati Silvio Berlusconi, l’Unto del Signore, e le numerose derive tanto o poco scellerate.

Brenno Bertoni - Il Frassineto COPERTINAPer dirla tutta: sono nato e cresciuto in un contesto culturale un poco diverso, che magari si serviva del Frassineto, il famoso testo di educazione civica di Brenno Bertoni del 1933, «Unico testo approvato dal Dipartimento della Pubblica Educazione», ma che offriva ancora qualche solido punto di riferimento, anche se legittimamente soggettivo.

Tuttavia se un Ministro della Repubblica invita a non leggere le sue risposte qualora possano infastidire, non so proprio più cosa pensare.

Dovrò scegliere: piangere e disperarmi oppure, in linea perfetta coi tempi che viviamo, scrollare il capo e lasciarmi andare a un’enorme risata?

Forse mi converrà continuare come prima. E se a qualcuno verrà qualche prurito, che se lo gratti.

Etica per la scuola: un convegno

Immagine convegno ETICA PER LA SCUOLA_Pagina_1Mercoledì 25 novembre 2015 si terrà a Locarno, al Dipartimento della Formazione e dell’Apprendimento della SUPSI, un importante Convegno di studio che il DFA organizza in collaborazione con la sede ticinese dell’Istituto universitario federale per la formazione professionale (IUFFP).

Dopo il saluto del direttore del DFA, Michele Mainardi, e l’introduzione del direttore dell’IUFFP, Fabio Merlini, il convegno entrerà nel vivo con Una testimonianza su etica e società, oggi proposta da Dick Marty. A seguire tre conferenze di notevole importanza:

  • Pour une déontologie enseignante (Eirick Prairat, docente di scienze dell’educazione all’Université de Lorraine);
  • La “pietra angolare” del codice deontologico degli insegnanti (Silvano Tagliagambe, filosofo ed epistemologo);
  • Il codice deontologico dell’insegnante tra valori interni e valori esterni della professione (Marcello Ostinelli, filosofo dell’educazione, docente al DFA della SUPSI).

Si possono trovare programma e dettagli nel sito del DFA, mentre il programma può essere scaricato (anche) qui.

Parigi e gli attacchi del 13 novembre

Devo due parole di spiegazione in entrata, sennò ci sarà chi mi biasimerà con l’accusa di occuparmi di politica, mentre la scuola non ha nulla a che fare con la politica. Dissento, ovvio. Ho sempre detto e scritto che la pedagogia è ideologica. Ritengo inoltre, benché sembri banale ribadirlo, che non solo la scuola e la famiglia educhino, anzi.

Nei giorni degli attacchi del 13 novembre a Parigi se ne sono lette e viste tante. Ripropongo qui due riflessioni che mi sono piaciute molto – e, naturalmente, non sono le uniche: chissà quante me ne sono sfuggite.

La prima è di un comico, Maurizio Crozza. La sua copertina del talk show di Giovanni Floris dello scorso 17 novembre (DiMartedì su La7) è amaramente comica. Con un francese maccheronico – ma l’importante è capirsi – l’ha intitolata Je suis un cretin totalment brancolant dans la nuit.

Ha detto, tra le altre cose, che a gennaio, dopo la strage di Charlie Hébdo, te la potevi cavare con un «Je suis Charlie». Adesso sulle magliette cosa ci scriviamo? Je suis Paris? Sì, però due giorni prima c’è stato un attentato in Libano, 44 vittime e 239 feriti. Quindi bisogna anche scriverci «Je suis Beirut». E dieci giorni prima era esploso un aereo sul Sinai, 224 morti, per cui bisogna aggiungerci anche «Airbus 321 avec les touristes russes».

Cioè: se qualcosa accade a Parigi, giustamente ci sentiamo tutti coinvolti. Se accade sul Sinai, meno, quasi nulla. Quanto deve essere vicina una barbarie perché ci colpisca come esseri umani? Cioè: piangiamo solo le città di cui abbiamo un souvenir attaccato sul frigo?

La verità è che l’unica maglietta che mi sentirei bene addosso è Je suis un cretin total, brancolant dans la nuit, un perfetto cretino che brancola nel buio. Qualcuno parla di guerra di religione. Ma a Beirut i terroristi erano mussulmani e hanno ucciso altri mussulmani. E allora? E allora io non lo so.

Alle volte invidio chi ha le idee chiare. Poi mi accorgo che chi le ha è gente come Gasparri, Belpietro e Salvini. E mi dico: ma sai che forse essere un cretin che brancola nella nuit non è mal pour moi? Il giorno dopo gli attentati, «Libero» di Belpietro titolava «Bastardi islamici»; Gasparri ha scritto: «Radiamo al suolo lo stato islamico»; e Salvini ha detto «Il terrorismo va bombardato».

Io sarò anche un cretin dans la nuit, ma loro sono dei cretin anche in pieno jour.

In effetti bombardare tutti è una soluzione: non nuovissima. Perché dopo l’11 settembre l’abbiamo fatto. E oggi in Afghanistan i talebani controllano molto più territorio di quello che avevano quindici anni fa. E il terrorismo nel mondo è più forte di prima.

Ma io sono un cretin. Brancolo.

So solo che coi nostri bombardamenti sono stati uccisi un milione di civili iracheni, 220 mila civili afghani e 80 mila civili pachistani. Più che una guerra di civiltà per ora è stata una riuscitissima guerra ai civili. E quella, secondo me, l’abbiamo già vinta. Ma sbaglio o adesso stiamo per rifare la stessa cosa?

E no, io sbaglio, je suis totalement cretin.


La seconda riflessione, pubblicata su La Regione del 18 novembre, è una lucida riflessione di Dick Marty: e non sembri irriverente l’accostamento.  Si intitola Tragico tranello. Per chi non avesse il tempo o la voglia di leggerselo interamente, eccone la  conclusione:

Il dibattito politico, come inteso oggi, appare purtroppo poco idoneo ad atteggiamenti di fredda analisi e di scelte razionali. La tentazione di capitalizzare consensi facendo leva sulle emozioni e la paura è grande. Poche ore dopo la strage di Parigi c’era già chi era all’opera in tal senso. Oltre alla repressione, necessariamente rigorosa, occorre anche agire a livello di prevenzione, ricercare e capire cioè i motivi che contribuiscono a scatenare gesti talmente disumani e indurre giovani a farsi saltare in aria per meglio uccidere altri a loro totalmente estranei. I terroristi finora identificati sono nati e cresciuti in Europa, spesso in zone gravemente trascurate dalle istituzioni e caduti nelle maglie di predicatori dell’odio, un odio e un’ideologia alimentati anche dalle ingiustizie commesse nei confronti del mondo arabo e dalla tragedia palestinese tuttora irrisolta, non senza responsabilità occidentali. Questo non giustifica niente, sia ben chiaro, ma dovrebbe almeno indurci a riflettere per definire risposte più adeguate. La stragrande maggioranza dei musulmani non si riconosce per niente in questi criminali. La reazione a questo terrorismo deve fondarsi pertanto su di un’alleanza con il mondo musulmano.

Nel generale schiamazzo politico, massmediatico, bombarolo e di pancia, converrebbe davvero lasciarsi alle spalle il proprio ticinocentrismo e provare a pensare. Già il tentativo sarebbe di per sé un bel segnale.

Giorno dopo giorno gli insegnanti accolgono nelle nostre aule schiere di bambini, ragazzi e giovani, che naturalmente han sentito parlare del 13 novembre parigino e di tutte le complessità storiche e politiche che l’accompagnano. E quasi certamente sono portatori delle interpretazioni ascoltate dai grandi, spesso senza mediazione alcuna.

Non sarebbe male riprendere in classe questi temi, magari senza bisogno di organizzare chissà quali itinerari didattici: in fondo basterebbe mettere in dubbio qualche certezza. Perché, come ha scritto una volta Umberto Eco in un suo articolo sul “Corriere della Sera”, è importante imparare a confondersi le idee fin da piccoli, per avere le idee in chiaro da grandi (citazione a memoria, purtroppo: ma anche se non l’avesse scritto è comunque un bel trattatello di pedagogia).

Anche questa sarebbe educazione civica.

La morale e le leggi della natura viste da destra

Alexander von Wyttenbach è un medico che si è sacrificato sull’altare della politica.

Non è naturalmente il primo, né l’unico: basti pensare a Gino Strada, oppure, in altri anni, ad Albert Schweitzer. Il nostro, però, non è andato in trincea, come suol dirsi. È un teorico, più che un attivista. Negli anni ’70 del secolo passato, mi pare di ricordare, fu tra gi ispiratori dell’«Alleanza Liberi e Svizzeri», di cui fu uno dei primi presidenti: in tempi di eurocomunismo e di una sinistra “organica”, che tendeva a occupare ogni minimo spazio della correttezza politica – definizione alla moda, che arrivò diversi decenni dopo – ci poteva stare.

Oggi è presidente, nientemeno che onorario, dell’UDC Ticino.

[Digressione obbligatoria per quei miei amici che magari non conoscono (bene) la politica svizzera e ticinese: UDC sta per «Unione democratica di centro». “Di centro”, in questo caso, è lì per ragioni storiche, poco più d’un modo di dire, dato che, nell’arco costituzionale elvetico, a destra dell’UDC non c’è nessuno. È comunque il maggior partito svizzero e, alle recenti elezioni federali, ha raccolto un terzo dei voti. Per intenderci è il partito che ha promosso l’iniziativa referendaria popolare per un bando costituzionale alla costruzione di minareti (riuscita nel 2009) e quell’altra denominata «No all’immigrazione di massa» (riuscita pur essa, nel 2014)].

Il 29 ottobre, sul Corriere del Ticino, von Wyttenbach ha espresso la sua opinione riguardo all’«eccezionale risultato dell’UDC alle elezioni federali [che] ha sorpreso un po’ tutti, compresi i responsabili del partito». Spiega il medico e presidente onorario: «Non vi è dubbio, che fra i temi sollevati dal partito, oltre ai rapporti con l’UE, quello sull’immigrazione incontrollata sia stato di gran peso. Con un sicuro intuito politico, il popolo teme l’immigrazione incontrollata e ha votato per il partito che prende più sul serio il problema». Fin qua c’è poco da eccepire, ci mancherebbe, siamo a una normale percezione politica di destra. Queste cose avrebbe potuto raccontarle anche Marine Le Pen in Francia o Matteo Salvini in Italia, tanto per restare, da ticinese, all’area latina.

Il nostro opinionista, naturaliter, non si ferma alle interpretazioni politiche, ma butta lì una spiegazione, come dire?, scientifica. Sentite.

Per valutare questo risultato [quello dell’UDC alle elezioni federali] dal punto di vista morale, è necessario conoscere le leggi della natura. Ogni animale che vive in società – fra cui l’uomo – ha un’istintiva paura di fronte all’invasione di una popolazione straniera. Questo istinto naturale ha lo scopo preciso di garantire la conservazione della specie e, nell’uomo, la salvaguardia della propria cultura della convivenza. È ora di capire che il sentimento dominante nei confronti degli immigrati non è assolutamente odio o razzismo come erroneamente si vuol far credere, ma la pura e semplice paura. L’attuale immigrazione di massa, che rappresenta di fatto una conquista del nostro territorio senza l’uso delle armi, risveglia nella popolazione giustificata paura soprattutto nei confronti dei mussulmani.

Albert Schweitzer, 1875-1965, con un gruppo di ragazzi di Lambaréné, in Gabon (© Deutsches Albert-Schweitzer-Zentrum Frankfurt am Main).

Hanno un bel dire, certi intellettuali, che Homo sapiens è un mix di natura, cultura e società – e che la sua eccezionalità starebbe tutta in questo magico triangolo equilatero . Per certi versi, a sentire il nostro medico, non siamo invece molto diversi da un comune formicaio o da un enorme branco di gnu.

Com’è logico, si potrebbe commentare ogni singolo passaggio di questo trattatello etico, antropologico, etnologico e non so cos’altro ancora. E, con un pizzico di volgare malignità, sarebbe pure lecita qualche battuta greve sugli svizzeri tedeschi che hanno occupato il Ticino, in combutta coi soliti maggiorenti locali, e ci hanno pure rubato l’acqua.

Invece mi assale un sentimento di grande tristezza.


Poscritto

Ho riflettuto a lungo sulla convenienza di mettere in rete cotanta opinione. Alla fine ho deciso che sì, può essere opportuno. Ognuno potrà farsi la propria opinione leggendo l’originale: «La tirannia del politicamente corretto». Tanto non credo che Cose di scuola sia frequentato da minorenni.

A proposito di educazione alla sessualità e all’affettività

La Regione del 17 ottobre ha pubblicato un bel contributo di Daniele Dell’Agnola – Il seno di Palomar – Incontri a scuola, fra Italo Calvino e altri profumi – che, da qualche parte, ha a che fare con «L’incontro», il testo per gli allievi della scuola media dedicato ai temi della sessualità e dell’affettività.

Ha fatto benissimo «Il Caffè», qualche settimana fa, a mettere a disposizione «L’incontro», il volumetto che da qualche mese, sino a oggi neanche pubblicato, è al centro di una pruriginosa polemica lanciata dai soliti ambienti cattolici, che si reputano gli unici depositari della corretta educazione, da dispensare ovviamente in famiglia, al riparo da ogni minaccia di corruzione da parte della pedagogia laica. Vien da dire che, sommessamente, anche i cattolici, a volte, portano il niqab: poi, sotto sotto, va’ a vedere cosa succede.

Eugène Delacroix (1798-1863), La Liberté guidant le peuple, 1830, Musée du Louvre
Eugène Delacroix (1798-1863), La Liberté guidant le peuple, 1830, Musée du Louvre

Conosco qualche persona che ha partecipato all’elaborazione del “manuale”. Così sono rimasto sbigottito quando ho letto di incitamento alla masturbazione o altre amenità del genere, neanche che col passaggio del Dipartimento dell’educazione dai liberali ai socialisti la politica educativa di questo Cantone abbia imboccato le strade che portano alla lussuria sfrenata, una nuova rivoluzione sessuale che farebbe arrossire Wilhelm Reich e Alfred Kinsey.

Invece no. «L’incontro», a differenza di molti tentativi del passato, è un testo ammirevole. Serio ma non serioso, tanto per cominciare: tratta argomenti anche psicologicamente difficili e controversi con un intenso rispetto verso i potenziali lettori, che sono ragazze e ragazzi di varie culture, provenienze e livelli intellettuali, che stanno crescendo in un mondo colonizzato dal sesso, con la pornografia a portata di clic e i modelli dello star system che di frequente inneggiano e incitano al machismo e alle tante sfumature del libero mercato del sesso, salvo poi indire referendum contro gli abbigliamenti islamici, perché l’Islam sottomette(rebbe) le donne.

La scelta di abbandonare finalmente il ristretto ambito del corso di scienze naturali permette di lasciarsi alle spalle un’istruzione che, a tratti, pareva essenzialmente zootecnica  – tanto politically correct da sembrare più adatta a futuri allevatori di vacche, che a uomini e donne: solo un gradino più su delle cicogne e dei cavoli – a favore di un’Educazione autorevole e responsabile ai temi della sessualità e dell’affettività.

C’è solo da sperare, ora, che a nessuno venga in mente di sottoporre gli allievi ai soliti test e di dare le note, che andranno a far media chissà con cosa. A questo livello il tema dell’affettività e della sessualità potrebbe essere un bell’esempio anche per altre discipline: perché ci si potrebbe innamorare della matematica o della letteratura, della poesia o della fisica, e avere rapporti intensi con tutte le discipline dell’arte e dell’intelletto, senza bisogno di voler misurare a ogni piè sospinto chi ce l’ha più lungo.