Oggi, mercoledì 18 giugno 2014, da noi si chiude l’anno scolastico. A metà settimana, in modo da rispettare le famose 36.5 settimane di durata dell’anno scolastico: praticamente un dogma.
Buone vacanze agli insegnanti.
L’amico ed ex collega Marco Rossi, direttore delle scuole comunali di Stabio, un paio di mesi fa ha scritto una lettera un po’ stizzita al direttore della divisione della scuola del DECS. Vale la pena, con la sua autorizzazione, riportare quasi per intero il testo.
Lettera a un capodivisione
Già quindici anni fa, in qualità di presidente della Conferenza dei Direttori delle Scuole Comunali (CDD), ebbi a scrivere al suo predecessore in merito al calendario scolastico del Canton Ticino, legato ancora al cosiddetto calendario agricolo, o alla convinzione che in Ticino in estate fa troppo caldo e quindi le teste degli allievi, e quelle degli insegnanti, non possono lavorare. Il nostro cantone detiene di gran lunga il record di settimane di chiusura estiva. La media svizzera è di 6-7 settimane, in Ticino sono almeno dieci.
Lasciamo da parte le battute e veniamo al nocciolo della questione. La composizione famigliare, e la realtà lavorativa, sono notevolmente cambiate in Ticino dagli anni ottanta dello scorso secolo e ancora di più negli ultimi dieci anni. Il calendario scolastico no. È lo stesso da almeno settant’anni, con l’unica riforma dovuta all’anticipo dell’anno scolastico all’inizio di settembre, in cambio del sabato libero. Se non erro verso la fine degli anni settanta.
Oggi la maggioranza delle famiglie ha esigenze diverse da quelle cadenzate dal calendario scolastico, tanto che il mercato del tempo libero è diventato uno dei più redditizi. Il problema è l’occupazione dei figli nel lunghissimo periodo di vacanze estive. Fioccano le iniziative […]: colonie, colonie diurne, campi tematici (sportivi, culturali, artistici, ecc.), atelier di uno o più giorni e quant’altro. È sottointeso che il tutto, a parte rarissimi casi, è a pagamento, con prezzi non proprio popolari.
Ci sono famiglie che se lo possono permettere e altre no. Ci sono quindi bambini e ragazzi “fortunati”, che d’estate possono imparare tante belle cose, ed altri che bighellonano fra la televisione, i videogiochi, il giardinetto e il piazzale scolastico.
La scuola in questo caso è l’unico luogo gratuito dove tutti possono trascorrere il proprio tempo svolgendo attività interessanti, imparando a diventare adulti.
Se si andasse a scuola fino alla fine di giugno, o si iniziasse a metà agosto, si potrebbero organizzare, da parte degli istituti, attività all’aperto, corsi sportivi, atelier manuali, ecc. Non solo lezioni in aula.
Un secondo aspetto dell’anacronistico calendario scolastico è l’esigenza di molte famiglie di poter avere periodi di vacanza al di fuori del calendario ufficiale, soprattutto in vicinanza di alcune feste, in particolare il Natale.
Sono diversi i genitori che non possono fare vacanza quando la scuola chiude, siano essi impiegati nel settore turistico, in quello commerciale della vendita, ma anche in quello dei servizi o terziario, oppure anche in quello dell’edilizia (ferma in inverno fino alla terza settimana di gennaio). Con una battuta un po’ cattivella si potrebbe dire che solo gli insegnanti fanno vacanza quando le scuole sono chiuse. […]
Il calendario scolastico: uno dei pochi punti fissi della scuola
Però, a dirla tutta, Rossi non ha capito un accidente. Ma è comprensibile. È un suo pallino (non solo suo, a dire il vero). In altri anni il capo dell’Ufficio del’insegnamento primario amava ripetere che gli ispettori esprimevano idee, mentre i direttori avevano solo pallini.
I tempi son cambiati: solo palle per tutti, ad eccezione di Marco Rossi, che ha conservato qualche legittimo pallino.
Il calendario scolastico è solo uno degli elementi assiomatici che fondano i tempi della scuola.
Esiste un tempo giusto per andare a scuola? C’è qualche dato più o meno scientifico che determini quante ore alla settimana è necessario stare a scuola? E, parallelamente, qualcuno è in grado di dire con sicurezza qual è la miglior durata dell’anno scolastico e come si devono alternare i momenti sulle sudate carte e quelli dedicati al riposo?
Il problema è che, al punto in cui siamo, tali indiscutibili variabili, pressoché indipendenti, determinano i tempi della scuola. È una questione in parte astronomica, quasi cosmologica, e in altra parte antropologico-religiosa. Vediamo perché.
La scuola ruota attorno al sole, anche se non sembra…
È sotto gli occhi di tutti che anche al centro della scuola ci sia il Sole. Siamo al culto egiziano di Ra, il dio del sole. Con l’entrata in vigore del concordato HarmoS quando la terra avrà compiuto quattro rivoluzioni intorno al sole il bimbo nato poco dopo il solstizio d’estate dovrà andare a scuola.
Ma l’economia e la finanza premono – e, tanto, molti piccoli di homo sapiens sapiens (il doppio sapiens è naturalmente un’auto adulazione) già oggi vengono mandati a scuola dopo tre giri, e alcuni sono consegnati ai nidi per l’infanzia ancor prima di terminare il primo giro: sennò non se magna (o non si paga l’ipoteca sulla villa).
Questo circuito planetario scandisce poi il resto. Per restare nell’ottica HarmoS, dopo i prossimi due giri si entrerà nella scuola elementare, dove si permarrà per cinque giri. Poi nuovo cambio, per altri quattro giri. Da lì in avanti ognuno potrà continuare a inventarsi qualcosa al termine di ogni giro. Se lo desidera.
Correttezza vuole che non si taccia sulle penitenze: come un grande gioco dell’oca, capita che qualche povero tapino sia costretto a fare dei giri di penalità, chiamati, molto prosaicamente, “bocciatura” o “ripetizione di classe”. Ma attenzione: se uno è considerato particolarmente intrattabile eviterà le penalità, così che allo scadere della quindicesima rivoluzione attorno al sole, contando dal giorno della nascita, non sarà più costretto ad andare a scuola. Anzi, facilmente l’indurranno ad andare fuori dai piedi.
La logica? Un’estranea!
C’è poi un secondo aspetto astronomico che determina i tempi. Come è noto, nel Canton Ticino l’anno scolastico apre i battenti a inizio settembre e chiude a metà giugno, dopo aver totalizzato 36 settimane e mezza (sic) di frequenza effettiva. Tra la partenza e lo striscione d’arrivo si prevedono – ci mancherebbe – alcune soste per prendere fiato. Una pausa ogni tot settimane, come imporrebbe la logica? Neanche per sogno.
La partenza e l’arrivo, come scrive Marco Rossi, derivano da un lungo tira e molla tra contadini e borghesi, quando gli stati moderni, ormai oltre due secoli fa, decisero che andare a scuola fosse un vantaggio per lo Stato. Ma le pause intermedie, come vedremo, non seguono la ragione o la logica, ma si basano su ben altri principi.
Ad esempio c’è una decina di giorni di vacanza attorno a Pasqua. Ma chi determina la data della Pasqua? Le necessità di riposo di docenti e allievi? Nooo! La Pasqua è il modello esemplare della festa mobile. Senza tirarla troppo per le lunghe, la “nostra” Pasqua cade nella domenica seguente il primo plenilunio che viene dopo l’equinozio di primavera. Chiaro? No? Non fa nulla, l’importante è aver fede.
Va da sé che la Pasqua ingozza nella sua scia innumerevoli altre pause, a partire dalle vacanze di Carnevale (che coincidono con le Ceneri), per giungere ai tanti ponti infrasettimanali, più o meno formali, che caratterizzano la volata finale, da Carnevale alla festa di fine anno.
Siamo tutti laici, salvo quando qualcosa finisce in saccoccia
Abbiamo visto sin qui che, al di là delle fanfaluche che scrive Rossi, spacciandole per dimostrazioni socio-scientifiche, il Cosmo determina gran parte dell’anno scolastico. È il Cielo che prescrive le vacanze di Carnevale e di Pasqua, col loro seguito di feste ammucchiate entro giugno (Ascensione, Pentecoste e, a volte, Corpus Domini: neanche più in Italia santificano così tanto le feste). E le altre vacanze? Dapprima vi sono le vacanze autunnali, più note come «vacanze dei morti», che cascano in corrispondenza con Ognissanti. Seguono le mitiche vacanze di Natale.
Dunque?
Restano le date d’inizio e fine dell’anno scolastico, nonché gli orari settimanali, che variano – e aumentano – in base all’età (numero di giri attorno al sole) e alla tradizione ormai secolare. Le vacanze estive durano quasi due mesi e mezzo. Negli altri cantoni svizzeri non è così, ma non è il caso di farne un dramma: a parte le questioni cosmologiche, ovviamente identiche, seppur con interpretazioni e percezioni dissimili, esistono tradizioni locali, ciò che ci permette di detenere il primato svizzero dell’anno scolastico più breve dell’intera Confederazione. Ma l’amico Rossi non deve indurre il DECS a insane pensate, come avevo già scritto in un paio di articoli di un po’ d’anni fa: Le vacanze estive (12 giugno 2002) e Giù le mani dalle nostre vacanze estive (10 settembre 2003).
Fino a che non cambieranno le regole del gioco meglio non toccare nulla. Per ora la scuola non ha nessuna intenzione di riappropriarsi del primato dell’Insegnare sul primato del Valutare. Continua invece, indebitamente e a casaccio, a basare gran parte della sua condotta (dal tempo trascorso a scuola a quello imposto a casa!) proprio sulla valutazione: con la solita indifferenza alle differenze.
Di questi tempi è fin troppo facile, con la scusa dell’economia e della political correctness, prendere tre affermazioni di Marco Rossi e farle diventare l’undicesimo comandamento.
Anche se non si è capito, ad esempio, come mai tocchi alla scuola occuparsi anche dei suoi tempi morti – le mense, i doposcuola, le colonie autunnali invernali carnevalesche pasquali ed estive. Se pensiamo che anche i partiti di sinistra, allineati con Economiesuisse e compagnia cantante, chiedono a gran voce la custodia dei cuccioli durante tutti i tempi in cui la scuola tira giù le saracinesche, per permettere ai loro genitori di produrre, siamo per davvero al mondo alla rovescia.
Chiudiamola qua, per ora…
Scherzi a parte, l’amico Rossi ha tante, tantissime ragioni. Ma di questi tempi è preferibile far parte delle minoranze emarginate, piuttosto che delle maggioranze confuse e piegate alle pretese dell’economia, nonché alle tracotanti e generalizzate sgroppate dei politici in vista del rinnovo dei poteri cantonali.
Per la rivoluzione copernicana, meglio attendre tempi migliori.
La polemica sulle vacance scolastiche si inserisce nel quadro più globale della caccia ai privilegi. Oggi più nessuno ne è risparmiato : dai calciatori, ai funzionari, ai medici, agli operai delle fabbriche, ai mendicanti di strada che potrebbero anch’essi godere chissa di quali privilegi…
Ma quello che è ancora più grave, a mio modo di vedere, è che il dibattito mette in risalto un problema ben maggiore a quello dei ritmi scolastici. Come dice Tomasini meglio interessarsi all’imballaggio piuttosto che al suo contenuto. La scuola non è più un luogo di conoscenza e di cultura e se talvolta lo è ancora, è per valutare e selezionare i « privilegiati » che a loro volta si adopereranno per cacciare altre forme di privilegio. Come direbbe Bernard Shaw : Le sacrifice de nous même nous permet de sacrifier les autres sans honte !
Luca DEL NOTARO
Nessuna intenzione di polemizzare sulle vacanze dei docenti, ma bensì segnalare che oggi le vacanze e il tempo non scolastico mettono ancora più in risalto le differenze sociali. Diciamo che i più “fortunati” possono utizzarle per accrescere le proprie conoscenze e competenze o anche solo per coltivare le proprie passioni. Gli altri, quelli che in dialetto si chiamano “i fiöö da la serva” sono tagliati fuori da queste opportunità per evidenti motivi economici o culturali. Le differenze sociali così anche d’estate crescono. Io quindi ho chiesto se non deve essere la scuola pubblica a proporre gratuitamente delle opportunità a tutti. Ad esempio utizzando in modo diverso le settimane di giugno o di agosto.
Tutto un altro discorso è quello dei tempi di lavoro degli insegnanti, e di quanti fra loro utilizzano il tempo non d’aula per la propria formazione continua o per la preparazione di attività non ripetitive …
Nell’ipotesi di mantenere inalterato l’attuale calendario scolastico, che non ha più riscontri sul funzionamento della società civile, resta da chiedersi se tocchi alla scuola occuparsi dei suoi tempi morti. In altri anni la Conferenza dei direttori, o, almeno, un suo gruppo di lavoro, aveva elaborato un progetto di riforma centrato sul tema delle essenzialità e più rispettoso del funzionamento della società. Quella proposta non superò neanche quel minimo ostacolo della Conferenza: il che la dice lunga.
Fino a che non si vedranno segnali che incoraggino a perseguire un nuovo sogno illuminista, meglio non toccare nulla.
Interessante lettura.
Grazie e buone vacanze
Raff