Chissà se esistono ancora i castighi, tra le quattro mura dell’aula. Ho domandato un po’ in giro, ma nessuno si sbottona, è come chiedere a qualcuno se evade il fisco. Una volta c’era di tutto, dal rimbrotto alle botte, passando per i pensi, le orecchie d’asino, lo stare in ginocchio dietro la lavagna, i pizzicotti, le tirate d’orecchi e di capelli, fino a farsi mandare in corridoio. Diciamo che la fantasia è sempre stata piuttosto prodiga, magari alimentata e suggerita dalla letteratura per ragazzi: «Qui giace la bambina dai capelli turchini, morta di dolore per essere stata abbandonata dal suo fratellino Pinocchio», scrisse Collodi nel suo romanzo più noto – che come ricatto psicologico non è mica una bazzecola.
Le leggende che si tramandano da decenni dai genitori ai figli raccontano, a volte addirittura con un certo vanto, di punizioni al limite del malvagità. E qualcosa doveva esserci almeno fino a una trentina di anni fa, tant’è che un regolamento dello Stato, tutt’ora in vigore, statuisce che sono vietate le sanzioni corporali e psicologiche, che è proibito far saltare la ricreazione, mandar fuori un allievo dalla porta o assegnare dei compiti a casa per punizione.
È capitato a molti di perdere la pazienza e di compiere atti di cui pentirsi. Capita ancor più nel rapporto con i più piccoli, siano essi allievi o figli. Succede anche perché c’è una “pedagogia del castigo” che si perpetua e che ha da sempre i suoi sostenitori. Un noto giornalista, nel frattempo prematuramente scomparso, scrisse, proprio su queste pagine, che «Il ceffone non è un atto di violenza, come pretendono quelli che attribuiscono la colpa alla società, vogliono evitare traumi e paure ai bambini, affermano che le mani si alzano solo per accarezzare. Una sberla, motivata e spiegata, è più efficace d’un predicozzo, di una bocciatura o di uno spot televisivo». Il tema era quello di un certo disagio giovanile, non nuovo già allora: sbronze, risse, vandalismi, sfacciataggine, abbigliamenti provocatori.
Avevo dissentito: «Sarà. Però le cronache riferiscono tristemente che di violenza tra le mura domestiche ce n’è già troppa. Più che di manrovesci e sganassoni si sente un impellente bisogno di educazione e di cultura», a cominciare proprio dalla scuola. Correva il 2004, mica secoli fa.
Nel 2011 il Gran consiglio zurighese, chiamato ad esprimersi sulle sanzioni da adottare nei confronti degli scolari più indisciplinati, aveva inasprito le norme sull’espulsione, spostando il periodo massimo da quattro settimane a tre mesi. Paradossalmente il fatto di allontanare un allievo dalla scuola perché la prende a calci finisce col rendergli un favore e magari creargli l’aura di eroe di fronte ai suoi pari. Mi sembrerebbe più intelligente, anche se più oneroso, obbligarlo a stare a scuola di più, fuori orario e senza il suo pubblico che se la ride quanto il nostro eroe rompe le scatole durante le lezioni, insulta gli insegnanti e fa lo scemo. Per esempio potrebbe seguire un corso di filosofia, di letteratura, di storia, di diritto e di storia dell’arte. Lo si obbligherebbe a stare un po’ di ore sui libri, a scrivere e a pensare, a cercare di capire da dove viene il suo odio.
Insomma: sono educativamente utili le sanzioni? A volte sì, più spesso no. Costruire insieme le regole di quella piccola comunità che è la classe, e riaggiustarle con regolarità, sarebbe un bell’esercizio di educazione civica, fermo restando che l’unico principio assoluto è quello della nonviolenza.
Note
La citazione di Carlo Collodi è tratta da Le avventure di Pinocchio. Storia di un burattino, 1949: Milano, Rizzoli Editore, II Edizione – 2ª edizione elettronica del 17 gennaio 2002, con la licenza specificata al seguente indirizzo Internet: http://www.liberliber.it/biblioteca/licenze/.
Le due citazioni riguardanti lo scapaccione educativo sono tratte dall’articolo L’elogio del manrovescio, apparso sul Corriere del Ticino del 20.10.2004 (che in quell’anno firmavo ancora con pseudonimo).
Della decisione del Gran consiglio zurighese di inasprire le norme sull’espulsione degli scolari più indisciplinati avevo parlato in un altro articolo del Corriere del Ticino (Quando la scuola non sa più che pesci pigliare, 28.05.2011).
L’immagine è tratta da Pinocchios Abenteuer. Eine Geschichte die vor mehr als hundert Jahren in Italien Passierte, mit 60 Bildern von Frl. Martha Pfannenschmid, 1968, Zürich: Silva-Verlag.
Io minaccio sempre ma non concludo mai un bel niente et sai perchè? Perchè il castigo mi dà lavoro inutile ;-)))) dunque è meglio evitarlo
Doppiamente inutile, quindi. Come tante consuetudini della scuola.
Come sempre sagge parole e riflessioni.
Ciao Raffaele