Tanti auguri a chi è nato da poco o nascerà nel 2018

È pratica comune, abbracciata alla tradizione, che dicembre sia il tempo dei bilanci. A me, più che i bilanci, piacciono gli auguri, che racchiudono desideri e speranze. I bilanci hanno un qualcosa di effimero, una fragilità che si concretizza solo quando la cronaca del passato prossimo diventa Storia.

Da tanti anni, ormai, sostengo che la scuola dell’obbligo ha preso una piega ingannatrice, incapace com’è di sganciarsi dai dettati che giungono dal mondo degli affari e dell’impresa, in questi anni dominati da credenze un po’ confuse e menzognere. La mia rubrica sul Corriere del Ticino (Fuori dall’aula) ha debuttato nel 2001. Mi piace ricordare la terza puntata – Ora di civica e senso dello Stato, 10.10.2001 –  un titolo inventato dalla redazione, perché io l’avevo intitolata La pedagogia delle 3 i, ispirandomi al Cavaliere di Arcore, per dire che già allora mi preoccupava questa rincorsa al sapere le cose, perché se sai le cose, poi il tuo futuro di successo è garantito.

Non ho manie passatiste, sia chiaro. Non credo che la scuola di ieri fosse migliore di questa, e quella dell’altro ieri surclassasse quella in fila dietro a lei. Ma in tutto ciò non posso scordare una verità, che va oltre e prende a pugni la democratizzazione degli studi e tutto l’impianto delle pari opportunità: perché questa scuola continua a essere per lo più indifferente alle differenze, tanto che la sua ghigliottina economica e socio-culturale seguita ostinatamente a tagliare le teste solo ai soliti poveri cristi.

Penso che anche la scuola, al di là dei bilanci – lei, la Scuola, i bilanci li fa secondo il suo calendario, che come quasi tutto ha sempre meno a che fare col mondo reale – dovrebbe guardare alla propria storia, per riflettere su quegli insegnamenti che potrebbero contribuire a ridare serenità alla scuola, ai suoi insegnanti, a tutti gli allievi e gli studenti, alle loro famiglie e, in definitiva, all’intero Paese: mondo economico compreso.

Così ho pensato ai miei auguri per il nuovo anno ricordando qualche Maestro che, con il suo contributo, ha fatto la storia dell’educazione e delle idee della pedagogia e della scuola. Ne ho scelti solo quattro, che mi sembrano significativi per auspicare che il 2018 – come anno di partenza dopo anni di pazzie dettate da chissà chi – porti un po’ di serenità e di ragionevolezza. Va da sé che la scelta dei quattro è del tutto soggettiva, così come arbitrarie sono le scelte dei testi proposti.

Aristotele

Mi piace cominciare da Aristotele (Aristotélēs, 384 o 383 a. C. – 322 a. C.). Ho scelto un paragrafo dall’Etica a Nicomaco (Libro II: La virtù ha per presupposto l’abitudine).

Le cose che bisogna avere appreso prima di farle, noi le apprendiamo facendole: per esempio, si diventa costruttori costruendo, e suonatori di cetra suonando la cetra. Ebbene, così anche compiendo azioni giuste diventiamo giusti, azioni temperate temperanti, azioni coraggiose coraggiosi. Ne è conferma ciò che accade nelle città: i legislatori, infatti, rendono buoni i cittadini creando in loro determinate abitudini, e questo è il disegno di ogni legislatore, e coloro che non lo effettuano adeguatamente sono dei falliti; in questo differisce una costituzione buona da una cattiva. Inoltre, ogni virtù si genera a causa e per mezzo delle stesse azioni per le quali anche si distrugge, proprio come ogni arte: infatti, è dal suonare la cetra che derivano sia i buoni sia i cattivi suonatori di cetra.

Jean-Jacques Rousseau

Duemila anni dopo eccoci a Jean-Jacques Rousseau (1712-1778), il papà della pedagogia moderna. «Émile ou de l’éducation» è un testo fondamentale, e la mia scelta, benché possa sembrare un po’ di maniera, resta una pietra miliare della pedagogia (e pure della didattica).

Non mi piacciono le spiegazioni fatte a base di discorsi; i giovani vi prestano poca attenzione e non li ritengono affatto. Le cose! le cose! Non ripeterò mai abbastanza che noi diamo troppa influenza alle parole: con la nostra educazione ciarlona, non facciamo che dei chiacchieroni.

Supponiamo che, mentre studio col mio allievo il corso del sole e il modo di orientarsi, egli m’interrompa tutto a un tratto per domandarmi a che serva tutto questo. Che bel discorso gli farò! di quante cose colgo l’occasione per istruirlo rispondendo alla sua domanda, specialmente se abbiamo dei testimoni alla nostra conversazione! (1) Gli parlerò dell’utilità dei viaggi, dei vantaggi del commercio, delle produzioni particolari a ogni clima, dei costumi dei diversi popoli, dell’uso del calendario, del calcolo del ritorno delle stagioni per l’agricoltura, dell’arte della navigazione, della maniera di condursi sul mare e di seguire esattamente la propria rotta, senza sapere dove si è. La politica, la storia naturale, l’astronomia, la morale stessa e il diritto delle genti entreranno nella mia spiegazione, in modo da dare al mio allievo una grande idea di tutte queste scienze e un grande desiderio d’impararle. Quando avrò detto tutto, avrò fatto lo sfoggio d’un vero pedante, del quale non avrà capito una sola idea. Avrebbe una grande voglia di domandarmi, come prima, a cosa serva l’orientarsi; ma non osa, per paura ch’io vada in collera. Trova maggior tornaconto a fingere d’intendere ciò che è stato forzato ad ascoltare. Così si praticano le belle educazioni.

 (1) Ho spesso notato che, nelle dotte istruzioni che si danno ai fanciulli, si pensa a farsi ascoltare meno da essi che dalle persone autorevoli che sono presenti. Sono sicurissimo di quello che dico, poiché ne ho fatto l’osservazione su me stesso.

Il brano è tratto da Emilio e altri scritti pedagogici, 1971, Firenze: G. C. Sansoni editore, trad. it. L. De Anna. Mi fa molto piacere riportare anche la versione originale dello scritto di Rousseau. Qui è possibile recuperare le due pagine tratte da una copia dell’epoca: si tratta di quattro tomi di cui vado fiero, regalo dei colleghi direttori dei servizi della Città di Locarno al momento del mio pensionamento.

Johann Heinrich Pestalozzi
Ritratto del pedagogo: olio su tela di Georg Friedrich Adolph Schöner, circa 1804

Il terzo autore è il perfetto e concreto continuatore di Rousseau, Johann Heinrich Pestalozzi (1746-1827), che nella Lettera ad un amico sul proprio soggiorno a Stans (1968, Firenze: «La Nuova Italia» Editrice) così descriveva l’inizio della sua esperienza con gli orfani della rivoluzione francese, bambini e ragazzi allo sbando.

Il governo mi assegnò per dimora il nuovo edificio delle monache (Orsoline) a Stans. Ma, quando vi arrivai, esso non era né ultimato né punto attrezzato come orfanotrofio, per accogliere un gran numero di ragazzi. Occorse anzitutto metterlo in condizione di essere adoperato. (…)

Per mancanza di letti la notte fui costretto da principio a rinviare parte dei poveri ragazzi a casa. Essi ritornavano tutti il mattino carichi di insetti. Alla loro entrata la maggior parte di questi ragazzi erano nella condizione alla quale conduce in generale necessariamente l’estrema degenerazione della natura umana. Molti di essi arrivavano affetti da scabbia così inveterata da poter appena camminare, molti con le teste piagate, molti con stracci carichi di insetti, molti magri come scheletri, gialli, ghignanti, con occhi pieni d’angoscia e con fronti cariche di rughe della diffidenza e della preoccupazione, alcuni pieni di audace sfrontatezza, abituati alla mendicità, all’ipocrisia e ad ogni falsità, altri oppressi dalla miseria, pazienti ma sospettosi, incapaci di amore e timorosi. Fra loro qualche figlio di papà, che aveva vissuto un tempo nell’agiatezza; costoro erano pieni di pretese, si coalizzavano, gettavano sguardi di disprezzo sui piccoli mendicanti e sui ragazzi poveri, non si trovavano a loro agio in questo nuovo stato di eguaglianza; il regime quale era stato istituito per i poveri non quadrava con le loro agiatezze di un tempo, e non corrispondeva quindi alle loro aspirazioni. Dovunque pigra inazione, insufficiente esercizio delle loro facoltà spirituali e delle loro attitudini fisiche essenziali. Appena uno su dieci conosceva l’abc. Di altre conoscenze scolastiche e di altri mezzi essenziali di educazione non era neppure il caso di parlare.

La totale mancanza di cultura scolastica era però quello che meno mi preoccupava; fidando nelle forze della natura umana, che Dio ha posto anche nei ragazzi più poveri e più negletti, non soltanto avevo appreso da molto tempo dalla mia esperienza passata che codesta natura sviluppa nel fango della rozzezza, della selvatichezza e della degenerazione, le più belle facoltà e capacità, ma scorgevo effettivamente anche nei miei ragazzi, in mezzo alla loro rozzezza, prorompere da ogni parte il vigore di queste forze naturali della vita. Sapevo quanto la miseria e le necessità stesse della vita contribuiscano a illuminare l’uomo sulle relazioni più essenziali delle cose, a svilupparne il buon senso e il giudizio sano ed a stimolare forze che appaiono sì nel basso grado della loro esistenza coperte di sudiciume, ma brillano di luce vivida appena sono liberate dal fango che le imprigiona. Che era appunto quel che volevo fare. Le volevo liberare da questo fango, e trasportarle in un ambiente semplice, ma puro e casalingo. Ero sicuro che non occorreva altro perché queste disposizioni naturali si palesassero come senso superiore, superiore energia capace di compiere tutto ciò che può muovere le inclinazioni più intime del cuore.

Vedevo dunque compiuti i miei voti ed ero persuaso che il mio cuore avrebbe cambiato lo stato dei miei ragazzi con la stessa rapidità con cui il sole in primavera aiuta il suolo intirizzito dall’inverno. E non andavo errato; prima che il sole primaverile avesse sciolto la neve dei nostri monti, i miei ragazzi non si riconoscevano più.

Ma non voglio anticipare. Amico, ti voglio far assistere alla crescita della mia pianta, come io stesso la sera osservavo la mia zucca che cresceva rapidamente lungo la mia casa; e non ti tacerò il verme che spesso s’attaccava alle foglie di questa zucca spesso e anche al suo cuore.

Giuseppe Lombardo Radice

Per finire, mi pare che Giuseppe Lombardo Radice (1879-1938) sia un ottimo convitato per questo mio augurio. Nel brano che ho scelto, tratto da La scuola di Pila come specchio di un mondo, (è in Athena fanciulla – Scienza e poesia della scuola serena, 1925, Firenze: Bemporad), parla della scuola di Pila, a quei tempi frazione di Intragna, oggi inglobata nel comune di Centovalli, e della maestra Bianca Sartori. Lombardo Radice dedica un intero capitolo di Athena a questa scuoletta, chiusa ormai da quasi un secolo. Durante una conferenza in cui si discuteva delle sue riflessioni attorno alla scuola serena, a Roma nel 1924, fu aspramente contestato per la sua «metodologia» di ricerca.

Il 18 dicembre 1924, col materiale di questo scritto tenni una conferenza a Roma, nella sala della Biblioteca Laziale dei maestri.

Secondo il solito, alla conferenza seguì una breve discussione. Presiedeva Giuseppe Prezzolini, cui tanto debbono i maestri del Ticino che han sentito, attraverso l’Adula della Bontempi (bella filiazione della Voce fiorentina) la sua autorità. Ché una scuola non si rinnova per «metodiche», si rinnova per moti spirituali nuovi, per coltura nuova. Nella discussione contro i consensi ci fu un curioso dissenso: un maestro (maestro?) dopo avere esaminato fuggevolmente uno dei quaderni di Pila, avanzò il sospetto che si trattasse di quaderni preparatiper esposizione. Cercai di persuaderlo che s’ingannava; che erano tutti i compiti dell’anno di quei bimbi; che c’erano molti erroruzzi ed erroracci ortografici, correzioni, ecc. Che erano «quaderni qualunque». E lui duro! Deposito il mio piccolo tesoro di cómpiti di Pila alla Biblioteca Laziale dei maestri, come documentazione. Ogni minchione potrebbe assicurarsi, dopo due minuti di esame, che si tratta di quaderni genuini. Furono portati via alla maestra da un ispettore ticinese ed offerti a me, per istudio.

Ma quel maestro non è un minchione. Mi dicono che si è perfino laureato. E ben sia dunque laureato: vada a difendere cause in pretura o più su, colla sua laurea. Ma non s’immischi di scuole!

La semplicità pare miracolo e trucco! Povere scuole!

Un giovane mio scolaro mi disse uscendo: «Perché non gli ha risposto che quei compitucci che gli parevano troppo belli, anzi truccati per uso di esposizione, lui, se li avesse avuti a scuola, li avrebbe invece bocciati?» Già, quel signore meritava una risposta di quel genere. Deve essere probabilmente uno di quelli che vogliono i «componimenti togati». E li faccia lui in tribunale, li faccia! Quante arringhe non sono che componimenti!


Auguri a tutti, dunque: a chi è sulle barricate e a chi è in trincea. A chi ha i figli a scuola, ma non ha capito bene cosa sta succedendo; addirittura anche a chi si batte per l’educazione civica e, contemporaneamente, per una scuola che selezioni le élite e indichi chi è utile all’impresa. Ai formatori e ai loro formatori. E ai politici che spesso, quando legiferano, pensano più alla poltrona e ai voti di chi gliel’assicura.

4 commenti su “Tanti auguri a chi è nato da poco o nascerà nel 2018”

  1. Ciao Adolfo,
    prendo coraggio e dopo anni ti rispondo, non ancora per ribattere o appoggiare le tue riflessioni, ma innanzitutto per ricambiare gli auguri più sinceri e poi per dirti pubblicamente che ti leggo davvero sempre volentieri (continua!), perché tieni vivo il mio senso critico, perché scopro nuovi stimoli di riflessione e soprattutto perché mi dai la forza di non mollare!!!
    Buon anno. Pia

    1. Grazie Pia. Non ho verità in saccoccia, né ricette infallibili. Se ogni tanto riesco a insinuare qualche dubbio dentro il mondo un po’ dogmatico della scuola ne sono felice.

      1. “…insinuare qualche dubbio dentro il mondo dogmatico della scuola”, ce n’è bisogno davvero! Belli questi auguri Adolfo! Buon anno. Mirella

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