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Riflessioni sparse, per chiudere il 2021

Avevo concluso il mio testo augurale di un anno fa (Saluti dal 2020, auguri per il 2021) con un’affermazione avventata e sempliciotta: «Prima o poi anche le truppe del generale Covid avranno la loro Little Bighorn», e avevo riportato una bella filastrocca di Gianni Rodari (L’anno nuovo, 1960).

Si è rivelato un altro anno orribile. Stavolta, quindi, conviene prendere qualche precauzione, come ha fatto il vignettista Vauro. In una recente vignetta afferma beffardamente che l’anno nuovo sarà una variante di quello vecchio.

Per il mondo dell’educazione e della scuola, se il 2020 è stato l’anno di Gianni Rodari, il 2021 è stato contrassegnato dal centesimo anniversario della Lega Internazionale per l’Educazione Nuova, la cui nascita avvenne il 6 agosto 1921 a Calais, in occasione del Congresso fondatore (Buon compleanno, vecchia “Educazione nuova”!). Oddìo, forse parlare di «contrassegnato» parrebbe un’esagerazione. Ci sono stati alcuni festeggiamenti anche in Ticino, il più importante dei quali è stato certamente quello di CEMEA – Il Villaggio dell’Educazione Attiva per i 50 anni dei Cemea Ticino e centenario dell’Educazione Nuova.

Ma, per lo più, non se n’è accorto nessuno. Il dibattito sulle possibili (e necessarie) riforme della scuola dell’obbligo continua con toni tra il battagliero e il polemico. Chi non è d’accordo con le proposte del Dipartimento dell’Educazione – praticamente tutti – insiste con soluzioni che, tutto sommato, non sono così diverse. Le solite idee, poche ma confuse, come avrebbe detto Flaiano. Di chiaro c’è che continua, ormai da qualche decennio, la corsa al massacro dei più indifesi, attraverso la selezione scolastica; con le solite armi, convenzionali e scontate, ma sempre di moda: un piano di studio velleitario e illusorio, appoggiato dai soliti meccanismi di selezione scolastica – anche se, mi è stato detto, non ci sono più allievi che ripetono la classe; semplicemente si applicano dei rallentamenti.

Di proposte davvero originali non se ne vedono, neanche leggendo benevolmente tra le righe.

Continuo a credere che alla scuola dell’obbligo servirebbe serenità. Ha detto Philippe Meirieu durante un’intervista su Teleticino: Penso che sia necessario che i luoghi deputati all’educazione diventino dei luoghi di resistenza alla reattività e all’immediatezza, dove si impari a fare delle cose che non si sanno fare. In quest’ottica io sono estremamente convinto che tutti gli esseri umani siano educabili e possano crescere, migliorare. Si tratta di virtuosismi? Io dico che docenti, istituzioni, anche gli allievi, debbano sforzarsi di non vedere soltanto il limite nell’altro, le sue mancanze, le sue difficoltà, ma riconoscere dentro sé stesso ciò che ci motiva. Bisogna uscire quindi da questa pedagogia che procede per mancanze e deficit, per avere una pedagogia che guarda all’altro e anche alle difficoltà in generale in maniera positiva, per aiutarsi reciprocamente a superare i propri limiti. [Meirieu: “La scuola dev’essere capace di parlare al cuore, Decoder-Teleticino, 2.10.2021, servizio a cura di Romano Bianchi].

***

Rio Bo
(Aldo Palazzeschi, 1909)

Tre casettine
dai tetti aguzzi,
un verde praticello,
un esiguo ruscello: Rio Bo,
un vigile cipresso.
Microscopico paese, è vero,
paese da nulla, ma però…
c’è sempre di sopra una stella,
una grande, magnifica stella,
che a un dipresso…
occhieggia con la punta del cipresso
di Rio Bo.

 Una stella innamorata!
Chi sa
se nemmeno ce l’ha
una grande città.

Questa è la mia Rio Bo (46°10′05″N 8°47′19″E). D’accordo, nel cielo del mio microscopico paese non c’è una stella. Si vedono un pianeta, Venere, e una falce di luna crescente. Ma tutto il resto è uguale.

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Il periodico Scuola ticinese ha dedicato la sua edizione apparsa in questi giorni al tema (ri)costruire la realtà. Andrea Vosti, giornalista e corrispondente per la RSI dagli Stati Uniti, ha pubblicato un mirabile articolo dal titolo L’era della mistificazione. Parte dall’assalto al Campidoglio degli Stati Uniti del 6 gennaio di un anno fa. «Quel giorno – che per sempre sarà ricordato e letto e riletto nei libri di storia come il ‘giorno dell’assalto a Capitol Hill’ – ha significato il punto di non ritorno, l’apice di una pericolosissima e antidemocratica parabola che non è cominciata soltanto con la presidenza di Donald Trump, istigatore di quel folle attacco, ma che affonda le sue radici e le sue origini nella sempre più pervasiva polarizzazione politica e sociale che gli Stati Uniti hanno conosciuto negli ultimi tre decenni».

Vosti percorre lucidamente l’antidemocratica parabola, che passa per Newt Gingrich, i social media e il fenomeno delle fake news, le teorie complottiste come Q-anon e il Deep State, per giungere a una conclusione drammatica.


La presidenza Trump ha dimostrato che basta un personaggio scaltro, ma con un innegabile fiuto politico e una innegabile capacità comunicativa, per far deragliare le regole non scritte della decenza e minare le fondamenta stesse di una grande e indispensabile democrazia come quella americana. Trump non è stato rieletto, certo, ma l’esperimento sociale chiamato Donald Trump è stato comunque un tragico successo, alla luce dei 76 milioni di cittadini che lo hanno rivotato nel 2020 e che sono pronti a riportarlo alla Casa Bianca: il terreno è stato contaminato, la falda acquifera della democrazia inquinata, il populismo incurante della scienza e della verità sdoganato. L’era della mistificazione è appena iniziata.

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In un clima del genere – a cavallo della pandemia e della mistificazione globale – può diventare improvvido fermarsi al tradizionale e scialbo «Buon Anno». Forse un augurio potrebbe essere che ognuno riesca a potenziare i suoi ottimismi e relativizzare i pessimismi, con le sensibilità e i sentimenti che gli sono propri. Ripartendo, in altre parole, da Gianni Rodari:

Di più per ora scritto non trovo
nel destino dell’anno nuovo:
per il resto anche quest’anno
sarà come gli uomini lo faranno.

«Se il cucciolo d’uomo non impara, muore»

Nessuno nasce imparato è un bel volumetto sull’educazione, sull’imparare e l’insegnare, sull’apprendimento formale, che si impara (o si dovrebbe imparare) a scuola; e quello informale, che si impara, spesso casualmente, fuori da quel 10% occupato dalla scuola.

Un anno ha 365 giorni, un giorno 24 ore, ovvero 8’760 ore all’anno. I primi anni di vita sono passati prevalentemente in famiglia.

La scuola in Ticino dura 36.5 settimane (notare lo 0.5), a 5 giorni la settimana e 5 ore di lezione al giorno fanno 912 ore all’anno.

Stimiamo che un bambino trascorra un tempo analogo con attività sportive, musicali, campi sci, campi scout e altro.

Facciamo un rapido calcolo: 1000 ore a scuola, 1000 in attiviti di tempo libero, 6700 in famiglia: un bambino passa l’80% del tempo in famiglia, il 10% a scuola, e il 10% in attività associative o sportive.

Però quando si parla d’insegnamento e apprendimento ci si concentra solo sul 10%. Magari ci sono più occasioni di apprendimento e stimoli d’insegnamento nel restante 90%, ma per queste competenze non si danno diplomi e non si determina la vita professionale delle persone.

Scrive l’autore che Questo non è un libro di pedagogia e non intende proporre riforme delle strutture formative istituzionali. In effetti la lettura è piacevole, fa riflettere e a volte anche divertire. Con un linguaggio semplice ma non banale – a tratti disincantato, sornione, appassionato – Martinoni tratta temi centrali della formazione e della crescita attraverso metafore, immagini, aforismi, cioè il modo che gli è sembrato più diretto per esprimere realtà complesse e contraddittorie. Come per esempio imparare a camminare.

Il bambino che impara a camminare è “imparato” dalla forza di gravità, dal dolore nel cadere, dal sorriso della mamma, dalle braccia che lo accolgono. Qualcuno impara prima, qualcun altro dopo, ciascuno con metodologie proprie: dallo spostarsi a quattro zampe, a cercare un sostegno esterno, a tentare i primi passi eretti, ognuno con un proprio ritmo. La mamma non t’insegna a camminare, ma tu non impari da solo, in uno spazio vuoto.

Mi torna spesso l’immagine del piccolino che abbandona fiducioso le braccia di chi gli vuol bene per conquistare il mondo.

Nessuno nasce imparato si legge quasi con golosità, perché ognuno entrerà in quelle storie, che possono rievocare nel lettore esperienze personali, emozionanti o dolorose, del proprio percorso di crescita. Il professionista ci troverà tracce delle sue fonti, da Johann Heinrich Pestalozzi (i tre gruppi fondamentali: la testa, il cuore e le mani) a Ivan Illich («Quasi tutto ciò che sappiamo lo abbiamo imparato fuori della scuola. Gli allievi apprendono la maggior parte delle loro nozioni senza, e spesso malgrado, gli insegnanti») a tanti altri.

Ma – avverte l’autorevole autore – Non ho fatto citazioni in questo breve testo. Tuttavia ribadisco che ho molti debiti, con persone, autori, eventi: dovrei fare un elenco molto lungo. Quando sei attento a imparare acquisti molti debiti e sicuramente dimenticherei i più importanti. In questa sede mi limito a esprimere la mia riconoscenza e a citare alcune fonti, come esempio e per non avere l’aria di aver improvvisato tutto.

Tutti gli apprendimenti fondamentali, aver fiducia, camminare, parlare sono vitali. Non dimentichiamoci che l’uomo nasce prematuro, senza le competenze per sopravvivere. Non è come il puledro che dopo poche ore cammina. Se il cucciolo d’uomo non impara, muore. La madre, il padre, il sole, il freddo, il cibo gli “imparano”.

Ripeto, se non impara muore. Imparare è vitale.

Un bel volume, che vale la pena di leggere. Un racconto che si può cominciare da pagina uno oppure dalla fine, una lettura intrigante per chi ha a cuore l’educazione di tutti.


MAURO MARTINONI, Nessuno nasce imparato – Le persone e le cose che mi hanno imparato, mi hanno insegnato, 2021: Giampiero Casagrande editore, 118 pagine, ISBN 978.88.7795.261.5, €-CHF 10


Mauro Martinoni, nato nel 1941, ha conseguito il dottorato in Psicologia all’Università di Zurigo. Ha gestito nell’ambito pubblico e privato progetti di innovazione e di creazione di nuove strutture, tra le quali l’Università della Svizzera Italiana (USI) e la Scuola universitaria professionale della Svizzera italiana (SUPSI). È stato membro di varie commissioni federali nel campo universitario e della pedagogia specializzata.

Buon compleanno, vecchia “Educazione nuova”!

Calais 1921, una delle rare immagini dei congressi di LIEN (tratto da https://convergences-educnouv.org/)

In questi giorni l’Educazione nuova compie cent’anni.

In generale si fa risalire la nascita al primo congresso della Ligue Internationale pour l’Éducation Nouvelle (LIEN), che si svolse a Calais dal 30 luglio al 12 agosto 1921. Era il 6 agosto quando il congresso approvò il suo manifesto di fondazione, riassunto nei sette Principes de ralliement e nei quattro Buts de la ligue.

Troviamo le informazioni principali del primo numero di Pour l’Ère Nouvelle, la rivista di LIEN, del gennaio del 1922.

Va da sé, la data di nascita è soggettiva. L’Educazione Nuova, che era un mescolanza di idee, utopie e progetti, con qualche importante punto in comune, vide la luce su incitamento della New Education Fellowship inglese, rappresentata da Beatrice Ensor (1885-1974, teosofa e pedagogista britannica) e del Bureau international des Écoles nouvelles di Ginevra, rappresentato da Adolphe Ferrière (1879-1960, pedagogista svizzero).

L’Educazione nuova c’è ancora, è evoluta, non si è mai affermata nei sistemi scolastici, perché non è mai riuscita a conquistare la Politica. Quando va bene, resistono dentro i sistemi scolastici tradizionali alcune sacche di militanza, di impegno personale, convinzione, dedizione e coraggio.

È tutto più «scientifico», nei sistemi scolastici tradizionali. Ci sono le note, le medie, le discipline e rinomati meccanismi di selezione. Chi c’è c’è, chi non c’è se ne faccia una ragione. Ci sarà un perché. A differenza della velocità della luce, che non si decide per alzata di mano, a maggioranza, perché la scienza non è democratica. La scuola, per contro, dovrebbe andare per idee, perché in mancanza di un’idea non può esistere neanche la scuola.

Assai spesso, infatti, chi crede che sia necessario cambiare la scuola – intendo: cambiarla sul serio, mica continuare a cambiare i cerotti – è incolpato di essere ideologico. Non sta bene, insomma, affermare che quel che passa il convento statale in termini di scuola dell’obbligo non sia rispettoso di ciò che i Parlamenti scrivono negli articoli introduttivi delle nuove leggi scolastiche.

Mentre lo sono le scelte democratiche di tanti paesi democratici che continuano a mantenere intatti i loro ordinamenti scolastici, immutabili nella sostanza da almeno un paio di secoli: perché così vogliono la famiglie, i parlamenti, i sindacati, quella Vox populi, che, malgrado la presunta secolarizzazione, continua a essere Vox Dei.

Béatrice Haenggeli-Jenni, ricercatrice ginevrina, aveva dedicato la sua tesi di dottorato a LIEN e, in particolare, alla sua rivista Pour l’Ère Nouvelle, che sin dal titolo definisce una rivista al crocevia tra scienza e attivismo [1]. Che così ne spiega il senso:

Au terme de nos investigations dans Pour l’Ère Nouvelle, l’impression dominante qui s’en dégage est celle d’un vaste chantier. Un chantier où s’affairent des acteurs d’horizons multiples mais tous animés d’un même élan, d’un même esprit, d’une même volonté : améliorer l’éducation pour transformer la société. De fait, ce vaste chantier est celui d’une science en construction à laquelle la revue PEN nous permet d’assister par l’intermédiaire de ses principaux protagonistes. De fait, cette revue permet la construction même de cette science, grâce à la rencontre d’acteurs, d’idées, de pensées, de théories, de pratiques. Ainsi, elle s’apparente avant tout à l’image d’un carrefour, d’un croisement où, en référence à sa traduction anglaise crossroad, se rencontrent les routes, les chemins d’une foison de personnes, d’idées, de savoirs, de courants de pensée [2].

È un concetto che era già stato espresso da Jean Piaget: «L’insegnamento è arte altrettanto quanto scienza» [3]. Piaget stesso chiarisce cosa intenda per “scienza”:

L’arte dell’educazione è come l’arte medica: un’arte che non si può praticare senza “doni” speciali, ma che contemporaneamente esige conoscenze esatte e sperimentali, relative agli esseri umani su cui viene esercitata. Tali conoscenze non sono anatomiche e fisiologiche, come quelle del medico, ma psicologiche, tuttavia non sono meno indispensabili e la soluzione dei problemi della scuola attiva o della formazione della ragione ne dipendono precisamente nel modo più diretto. Le ricerche psicologiche sullo sviluppo delle operazioni razionali e sull’acquisizione o la costruzione delle nozioni fondamentali forniscono, infatti, dati che appaiono decisivi in favore dei metodi attivi e che anzi fanno ritenere una riforma dell’insegnamento intellettuale molto più radicale di quanto gli stessi partigiani della scuola attiva suppongono [4].

Eppure siamo ancora lì.


Altri meglio di me si sono già chinati e continueranno a chinarsi sul secolo di vita dell’Educazione nuova e, soprattutto, sulla sua attualità. Ha scritto Philippe Meirieu in un’intervista a Le café pédagogique (Construire une vision d’avenir pour l’École et la démocratie):

Nous vivons aujourd’hui un moment qui est aussi crucial avec la nécessite de mobiliser ceux qui croient en une éducation à une société authentiquement démocratique.

On doit faire face à la montée de l’individualisme et du communautarisme, à la marchandisation de l’éducation, au travestissement ou à l’abandon des politiques publiques d’égalité des droits. Toutes ces menaces font peser de lourds dangers. Il est plus que jamais nécessaire que des mouvements pédagogiques unissent leurs forces pour faire entendre leur voix.

Il riferimento all’unione delle forze conduce a Convergence(s) pour l’Éducation Nouvelle, che, in Francia, ha riunito diversi movimenti: CEMEA (Centres d’Entraînement aux Méthodes d’Éducation Active), i CRAP-Cahiers Pédagogiques, la Fédération des Établissements Scolaires Publics Innovants, la Fédération Internationale des Centres d’Entraînement aux Méthodes d’Éducation Active, la Fédération Internationale des Mouvements d’École Moderne, il Groupe français d’éducation nouvelle, l’Institut Coopératif de l’École moderne Pédagogie Freinet e Lien international d’Éducation nouvelle.

Tra l’altro CEMEA Ticino aprirà le porte della scuola attiva il 17-18-19 settembre in occasione dei suoi 50 anni di presenza nel nostro Cantone e del centenario dell’Educazione nuova. Ospite d’onore dei festeggiamenti sarà Philippe Meirieu (che è pure presidente dei CEMEA francesi).

Presumo invece – per citare Meirieu – che in Svizzera e nel Cantone Ticino non vedremo chissà quale mobilitazione di chi crede in un’educazione per una società autenticamente democratica.

Oddio, all’educazione dei cittadini di domani credono tutti, ci mancherebbe. Faccio però fatica, molta fatica, a pensare che un gran numero di persone che si occupano a vario titolo di scuola dell’obbligo – insegnanti e dirigenti scolastici, parlamentari e formatori di insegnanti – inizino improvvisamente a caldeggiare per davvero una riforma radicale della scuola dell’obbligo, proprio ora che, su un’innegabile linea di continuità ormai secolare, sono alle prese coi piani di studio HarmonizzatiS (il riferimento è ovviamente ad HarmoS, l’accordo inter cantonale sull’armonizzazione della scuola obbligatoria del 2007).


La Lega Internazionale per l’Educazione Nuova tenne altri sei congressi dopo quello fondatore di Calais, al quale parteciparono 150 persone e si chinarono, come tema del convegno, sull’Expression créatrice de l’enfant. Seguirono i congressi di Montreux-CH (1923, L’école active et l’esprit de service, 300 partecipanti), Heidelberg-D (1925, Comment éveiller l’activité spontanée chez l’enfant?, 450 partecipanti), Locarno-CH (1927, La signification de la liberté en éducation, 1200 partecipanti), Elseneur-DK (1929, Vers une éducation nouvelle. Psychologie nouvelle et curriculum, 2000 partecipanti), Nizza-F (1932, La transformation sociale et l’éducation, 1600 partecipanti) e Cheltenham-UK (1936, Les fondations éducatives de la liberté et de la communauté libre, 1400 partecipanti).

Poi scoppiò la II Guerra mondiale.

Sul congresso locarnese di LIEN si vedano, in questo sito, 90 anni fa a Locarno il Congresso della “Ligue Internationale pour l’Éducation Nouvelle” (01.08.2017), I pionieri utopisti della scuola che non fu (sul Corriere del Ticino del 31.08.2017) e Ancora sul congresso locarnese di «LIEN» del 1927 (sul numero di dicembre 2018 del bollettino della Società Storica Locarnese).


Note

[1] BÉATRICE HAENGGELI-JENNI, Pour l’Ère Nouvelle: une revue-carrefour entre science et militance (1922-1940), Thèse de doctorat: Université de Genève, 2011, n° FPSE 491

[2] Ibidem, p. 313.

[3] JEAN PIAGET, Psicologia e pedagogia, tr. it., Loescher, Torino 1973, p. 123.

[4] JEAN PIAGET, Dal bambino all’adolescente. La costruzione del pensiero, antologia a cura di Ornella Andreani-Dentici, La Nuova Italia, Firenze 1972, pp. 343-344. Il grassetto è mio.

Sono utili i castighi? A volte sì, più spesso no

Chissà se esistono ancora i castighi, tra le quattro mura dell’aula. Ho domandato un po’ in giro, ma nessuno si sbottona, è come chiedere a qualcuno se evade il fisco. Una volta c’era di tutto, dal rimbrotto alle botte, passando per i pensi, le orecchie d’asino, lo stare in ginocchio dietro la lavagna, i pizzicotti, le tirate d’orecchi e di capelli, fino a farsi mandare in corridoio. Diciamo che la fantasia è sempre stata piuttosto prodiga, magari alimentata e suggerita dalla letteratura per ragazzi: «Qui giace la bambina dai capelli turchini, morta di dolore per essere stata abbandonata dal suo fratellino Pinocchio», scrisse Collodi nel suo romanzo più noto – che come ricatto psicologico non è mica una bazzecola.

Le leggende che si tramandano da decenni dai genitori ai figli raccontano, a volte addirittura con un certo vanto, di punizioni al limite del malvagità. E qualcosa doveva esserci almeno fino a una trentina di anni fa, tant’è che un regolamento dello Stato, tutt’ora in vigore, statuisce che sono vietate le sanzioni corporali e psicologiche, che è proibito far saltare la ricreazione, mandar fuori un allievo dalla porta o assegnare dei compiti a casa per punizione.

È capitato a molti di perdere la pazienza e di compiere atti di cui pentirsi. Capita ancor più nel rapporto con i più piccoli, siano essi allievi o figli. Succede anche perché c’è una “pedagogia del castigo” che si perpetua e che ha da sempre i suoi sostenitori. Un noto giornalista, nel frattempo prematuramente scomparso, scrisse, proprio su queste pagine, che «Il ceffone non è un atto di violenza, come pretendono quelli che attribuiscono la colpa alla società, vogliono evitare traumi e paure ai bambini, affermano che le mani si alzano solo per accarezzare. Una sberla, motivata e spiegata, è più efficace d’un predicozzo, di una bocciatura o di uno spot televisivo». Il tema era quello di un certo disagio giovanile, non nuovo già allora: sbronze, risse, vandalismi, sfacciataggine, abbigliamenti provocatori.

Avevo dissentito: «Sarà. Però le cronache riferiscono tristemente che di violenza tra le mura domestiche ce n’è già troppa. Più che di manrovesci e sganassoni si sente un impellente bisogno di educazione e di cultura», a cominciare proprio dalla scuola. Correva il 2004, mica secoli fa.

Nel 2011 il Gran consiglio zurighese, chiamato ad esprimersi sulle sanzioni da adottare nei confronti degli scolari più indisciplinati, aveva inasprito le norme sull’espulsione, spostando il periodo massimo da quattro settimane a tre mesi. Paradossalmente il fatto di allontanare un allievo dalla scuola perché la prende a calci finisce col rendergli un favore e magari creargli l’aura di eroe di fronte ai suoi pari. Mi sembrerebbe più intelligente, anche se più oneroso, obbligarlo a stare a scuola di più, fuori orario e senza il suo pubblico che se la ride quanto il nostro eroe rompe le scatole durante le lezioni, insulta gli insegnanti e fa lo scemo. Per esempio potrebbe seguire un corso di filosofia, di letteratura, di storia, di diritto e di storia dell’arte. Lo si obbligherebbe a stare un po’ di ore sui libri, a scrivere e a pensare, a cercare di capire da dove viene il suo odio.

Insomma: sono educativamente utili le sanzioni? A volte sì, più spesso no. Costruire insieme le regole di quella piccola comunità che è la classe, e riaggiustarle con regolarità, sarebbe un bell’esercizio di educazione civica, fermo restando che l’unico principio assoluto è quello della nonviolenza.


Note

La citazione di Carlo Collodi è tratta da Le avventure di Pinocchio. Storia di un burattino, 1949: Milano, Rizzoli Editore, II Edizione – 2ª edizione elettronica del 17 gennaio 2002, con la licenza specificata al seguente indirizzo Internet: http://www.liberliber.it/biblioteca/licenze/.

Le due citazioni riguardanti lo scapaccione educativo sono tratte dall’articolo L’elogio del manrovescio, apparso sul Corriere del Ticino del 20.10.2004 (che in quell’anno firmavo ancora con pseudonimo).

Della decisione del Gran consiglio zurighese di inasprire le norme sull’espulsione degli scolari più indisciplinati avevo parlato in un altro articolo del Corriere del Ticino (Quando la scuola non sa più che pesci pigliare, 28.05.2011).

L’immagine è tratta da Pinocchios Abenteuer. Eine Geschichte die vor mehr als hundert Jahren in Italien Passierte, mit 60 Bildern von Frl. Martha Pfannenschmid, 1968, Zürich: Silva-Verlag.

Scuola, democrazia, educazione

Il titolo di questo post fa l’occhiolino al fondamentale libro di John Dewey (1859-1952) Democracy and Education: an introduction to the philosophy of education (1916, New York, The Macmillans Company), pubblicato per la prima volta in italiano nel 1949 dalla casa editrice La Nuova Italia, nella traduzione di Enzo Enriques Agnoletti e Paolo Paduano. Scriveva lo stesso Dewey nella prefazione, datata agosto 1915 (Columbia University, New York):

Le seguenti pagine contengono un tentativo di scoprire ed esporre le idee irnplicite in una società democratica e di applicare queste idee ai problemi del compito educativo. La discussione include un’indicazione degli scopi costruttivi e dei metodi dell’educazione pubblica osservati da questo punto di vista, e una valutazione critica delle teorie della conoscenza e dello sviluppo morale che erano state formulate in precedenti condizioni sociali, ma che ancora agiscono, in società nominalmente democratiche, per ostacolare l’adeguata realizzazione dell’ideale democratico.

Come apparirà dal libro stesso, la filosofia esposta in esso collega lo sviluppo della democrazia con quello del metodo sperimentale nelle scienze, con le idee evoluzionistiche nelle scienze biologiche, e con la riorganizzazione industriale allo scopo di far notare i cambiamenti che questi svolgimenti recano con sé nell’oggetto e nel metodo dell’educazione.

Mi è sembrato un spunto interessante – poco più di una citazione a mo’ di omaggio – per segnalare due libri di recente pubblicazione, dopo che, nel marzo dello scorso anno, avevo già segnalato la traduzione italiana di La Riposte. Écoles alternatives, neurosciences et bonnes vieilles méthodes : pour en finir avec les miroirs aux alouettes (Philippe Meirieu, 2018, Autrement Éditeur).

Nel frattempo sono apparsi due nuovi volumi di grande interesse. Il primo, ancora di Philippe Meirieu, ha per titolo Ce que l’école peut encore pour la démocratie. Deux ou trois choses que je sais (peut-être) de l’éducation et de la pédagogie, (2020, Autrement Éditeur).

Il secondo, di ENRICO BOTTERO, è Pedagogia cooperativa. Le pratiche Freinet per la scuola di oggi (2021, Armando Editore).

Nello stesso solco troviamo pure il seminario online organizzato il 14 aprile scorso dall’editore Armando: Incontro con Philippe Meirieu sul tema Quale educazione per affrontare le sfide del mondo attuale e preparare quello di domani (traduzione online di Enrico Bottero).

La registrazione dell’incontro è in YouTube (Incontro con Philippe Meirieu).