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Chi ha scacciato l’Esprit de Locarno?

L’articolo sottostante è apparso sul Corriere del Ticino di martedì 6 febbraio, nella rubrica L’Opinione, col titolo «Locarno senza la bandiera europea». Vi sono naturalmente dei risvolti educativi, in questa vicenda sconfortante, che è però figlia dei tempi irresponsabili che stiamo vivendo.

A tanti politici locali piace evocare l’ Esprit de Locarno nei momenti topici. In quel 1925 il sindaco di Locarno sedeva tra i grandi dell’Europa del primo dopoguerra, con Austen Chamberlain, Gustav Stresemann, Aristide Briand e altri politici provenienti dal Belgio, dalla Polonia, dalla Cecoslovacchia e dall’Italia.

La soppressione di un atto simbolico – l’esposizione della bandiera europea per la festa dell’Europa – non è educativamente neutra. Invece mette in risalto l’ipocrita autarchia di maniera di tanti ticinesi e svizzeri, che naturalmente non si spinge fino all’auto-isolamento in materia economica.

Scandalizzano i tempi e la circospezione, nonché l’indifferenza dei più, dopo che la notizia è venuta a galla. A ciò si aggiunga che, con buona probabilità, gli autori di questa meschinità e tanti loro ammiratori avevano sostenuto la «nuova» educazione civica come disciplina a sé stante nella scuola ticinese e si erano spellati le mani per applaudire l’obbligo di insegnare il Salmo svizzero: come diceva quello là, A pensare male si fa peccato, ma spesso ci si azzecca.


Locarno senza la bandiera europea

Da quest’anno la Città di Locarno non esporrà più la bandiera europea per la festa dell’Europa. Ne ha dato notizia questo giornale nella sua edizione di lunedì scorso. La decisione è stata presa a maggioranza dal municipio cittadino, che ha modificato l’ordinanza concernente il protocollo. Ha scritto il Corriere: «Ma quali sono i motivi che hanno portato il Municipio a questa decisione? Forse che Locarno si senta meno europea di un tempo? Impossibile ricevere una risposta. Anche perché l’Esecutivo, sebbene la modifica sia stata pubblicata in questi giorni, ne aveva discusso – adottando una specifica risoluzione – due anni fa». Perché tutto questo riserbo e tanto ritardo nell’informazione? Non si sa.

Lo stesso giorno della notizia Jacques Ducry, deputato di area progressista e presidente del Movimento Svizzera-Europa, ha reagito col dovuto sarcasmo su LiberaTV.ch, il portale diretto da Marco Bazzi: «È una decisione triste, molto triste, per una città che ha ospitato la conferenza sulla pace negli anni ’20… Una città che organizza ogni anno il Festival internazionale del Film, ricevendo crediti e personalità da tutta Europa e non solo. Una città turistica, aperta. Sono stupefatto da questa piccineria da parte del Municipio di Locarno. (…) Se non ci fossero l’Europa e gli europei Locarno sarebbe ancora un villaggio di pescivendoli!».

Dal medesimo portale è giunta la dichiarazione del municipale leghista Bruno Buzzini: «Ho portato io questa proposta – afferma – e alcuni colleghi l’hanno condivisa. Da convinto anti-europeista, ero e rimango contrario all’esposizione della bandiera sugli edifici pubblici. I motivi sono diversi: la Svizzera è ancora discriminata, essendo nella black list fiscale dell’UE, per esempio. Ma ci sono anche i mai risolti problemi di mancata reciprocità con l’Italia, con gli accordi che continuano a slittare…». Patapunfete, perché i motivi citati da Buzzini c’entrano come i famosi cavoli a merenda, dal momento che la Festa dell’Europa, di cui si parlava nella vecchia ordinanza sul protocollo, è per la Giornata del Consiglio d’Europa, organizzazione internazionale che promuove la democrazia, i diritti umani, l’identità culturale europea e la ricerca di soluzioni ai problemi sociali in Europa: Consiglio al quale la Svizzera ha aderito sin al 1963.

Resta il fatto che per raggiungere la maggioranza, al municipale leghista se ne devono essere aggiunti almeno altri tre. Certo, la collegialità merita grande rispetto. Ma non vorrei essere nei panni del sindaco di Locarno quando, come da consolidata tradizione, interverrà ufficialmente all’apertura della 71ª edizione di Locarno Festival – edizione che, per uno scherzo del destino, aprirà il sipario il giorno della Festa nazionale. Come ha evidenziato Ducry, «Gli argomenti di Buzzini sono dunque completamente strampalati! Un po’ di cultura non guasterebbe per un municipale della città della cultura».

Cos’altro aggiungere al fragoroso silenzio dei politici locarnesi (e della stampa)?

Sono cittadino di Locarno (Europa)

La dittatura dei voti a scuola, mentre lei si pavoneggia

Alla scuola piace pavoneggiarsi per quel suo essere sempre al passo coi tempi, un eterno cantiere aperto, attento alle novità, capace di predire i bisogni educativi del futuro, pronta a cavalcare la robotica e ogni altra magia della modernità. Eppure, a ben guardare, la scuola, al di là di tanti cicalecci, è una delle poche istituzioni pubbliche capace di riprodursi nei decenni sempre simile a sé stessa. Ogni tanto arrivano le riforme epocali – aggettivo usato da politici e addetti ai lavori, solitamente dopo estenuanti negoziati che, di solito, disegnano un maquillage imponente per enfatizzare i cambiamenti e nascondere tutto quel che resterà uguale a prima. Prendiamo il progetto «La scuola che verrà». Lanciato a fine 2014 ha incontrato da subito una frotta di fuochi di sbarramento. Per dire: «È l’ennesimo abbassamento della selettività della scuola. L’abolizione dei livelli porterà ad ulteriori difficoltà nel momento del passaggio nel mondo del lavoro». Oppure: «Ritengo fondamentale ristabilire la meritocrazia, cosa però difficilmente raggiungibile con la soppressione di valutazioni e licenze».

Se il parlamento darà il suo accordo – ma conosciamo gli abbracci malefici che si palesano quasi sempre tra i se e i ma – potrebbe partire sul breve termine la sperimentazione in alcune sedi della scuola dell’obbligo. Detto per inciso, gli istituti in questione non sono particolarmente rappresentativi sul piano scientifico: transeat. L’attuale «Scuola che verrà» non è più la versione originale, pur avendone mantenuto le fattezze iniziali. Il guaio è che il dogma della selettività non appartiene solo agli imprenditori di successo o ai liberisti d’assalto, quelli per i quali il mercato sistema ogni cosa. È sufficiente uno sguardo anche appena disincantato per vedere come tanti insegnanti siano loro compagni di barricata. Fatto sta che l’assioma della nota scolastica resiste alla globalizzazione, al web e a tutti i cambiamenti paradigmatici dell’ultimo mezzo secolo. Senza test e voti non ce n’è né per le scuole che vorrebbero venire, né per l’educazione alla cittadinanza, che rischia di nascere come materia a sé stante, soprattutto grazie alla nota.

È quasi comico, questo amore sviscerato per le valutazioni scolastiche, sintetizzate in un numero, cioè un indicatore che vorrebbe sembrare scientifico, benché sia soggettivo ed evanescente. Ivan Illich, il grande filosofo descolarizzatore, osservava che «Quasi tutto ciò che sappiamo lo abbiamo imparato fuori della scuola. Gli allievi apprendono la maggior parte delle loro nozioni senza, e spesso malgrado, gli insegnanti. Ma il tragico è che i più assorbono la lezione della scuola anche se a scuola non mettono mai piede. È fuori della scuola che ognuno impara a vivere. Si impara a parlare, a pensare, ad amare, a sentire, a giocare, a bestemmiare, a far politica e a lavorare, senza l’intervento di un insegnante. Non fanno eccezione a questa regola neanche quei bambini che sono soggetti giorno e notte alla tutela di un maestro». Infatti, se uno ci pensa, le cose fondamentali la scuola non le valuta, le discipline più importanti non figurano nel libretto scolastico. Come si misurano il senso dello stato, l’etica individuale, la capacità di ascoltare le idee altrui, la forza illuminista di lottare per la libertà, almeno quella delle idee?

Ecco perché non si deve banalizzare l’educazione civica

Da tanti anni trepido e, spesso, strepito per la piega che sta prendendo la scuola pubblica – la nostra, ma non solo.

Non sempre mi piacciono quelli che, un giorno sì e l’altro pure, firmano a mitraglia editti e petizioni, e cercano visibilità nei comitati di sostegno a questa o quell’altra causa: un fenomeno che, con l’avvento dei social, è cresciuto in quantità esponenziali. Tuttavia la votazione sull’Educazione civica, alla cittadinanza e alla democrazia mi preoccupa molto e così, stavolta, ho aderito con entusiasmo al comitato promotore per il NO a uno studio puramente nozionistico della civica.

Mi occupo da tanti anni di educazione civica e ne scrivo sin da tempi non sospetti. Aderire con entusiasmo al Comitato promotore per il NO a uno studio puramente nozionistico della civica è stato un atto quasi dovuto.

Clic sull’immagine per ingrandire.

In calce a questo scritto ho steso un elenco dei principali articoli che ho pubblicato sul tema dell’educazione civica nella mia rubrica sul Corriere del Ticino, il primo dei quali è dell’ottobre 2001. Si trovano tutti nel mio sito, Cose di scuola, assieme ad altri articoli.

In questi primi giorni di campagna in vista della votazione abbiamo già letto tante fandonie. Nessuno è contrario all’educazione civica. Ma bisogna opporsi all’istituzione di una nuova materia scolastica, che sarebbe “insegnata” (le virgolette non sono casuali) per due ore al mese, con tanto di immancabile nota sul libretto: dobbiamo opporci alla malacivica, che è un’educazione posticcia, improvvisata e illusoria.

Per non cadere anch’io nel trabocchetto della banalizzazione, evito il riassunto dei tanti argomenti di cui ho scritto in questi anni. Una solida educazione civica cresce vigorosa solo attraverso l’apporto di tanti attori educativi: dentro la scuola, certo; ma anche in famiglia, nei media, nella Società.

Ha scritto qualche giorno fa Aldo Bertagni che «A poco serve insegnare nozioni di civica, se poi manca quotidianamente l’esempio di chi dovrebbe avere intelligenza e coraggio per dare valore, lungimiranza e peso alla democrazia. Non è la civica che fa acqua in Ticino, ma la buona politica» [La cittadinanza è consapevolezza, laRegione del 29 agosto].

www.cittadinanza.ch


In questo sito vi sono innumerevoli scritti che riportano, più o meno direttamente, al tema dell’educazione civica (tag Educazione civica). Di seguito ecco invece una scelta di articoli più direttamente legati al tema.

Nella rubrica Fuori dall’aula
Altri articoli solo nel sito

Adulti razzisti sul web: la TV si guarda il dito e non s’accorge della luna

Il Quotidiano, trasmissione d’informazione regionale della RSI, che da più di trent’anni accompagna la cena di tanti ticinesi, ha mandato in onda il 10 agosto scorso il servizio «Post razzisti, aperta inchiesta». Sottotitolo: Oltre quaranta persone avevano segnalato al Ministero pubblico i commenti di due donne sull’eritrea morta a Bellinzona (Vedi, ad esempio, il CdT del 4 luglio: Donna caduta dal balcone, arrestato il convivente).

Al termine dei due minuti e mezzo del reportage ero talmente incredulo, che ho ribobinato e riascoltato più volte.

Dato che, come recita l’antico proverbio, «verba volant, scripta manent» – e, per motivi che gli antichi non potevano immaginare, anche video manent, ma non sempre per sempre – ho trascritto gran parte del testo di quel servizio.

Avvertenza: le immagini non erano sostanziali, nel senso che non aggiungevano nulla alle parole. Salvo una, che ho inserito al suo posto.

Giornalista. «Vanno bene le segnalazioni alla procura, vanno bene anche le multe, ma se vogliamo davvero arginare i casi di razzismo sul webdice Bertil Cottier – dobbiamo colmare una grande lacuna: la mancanza di educazione alla rete e all’utilizzo dei social media». Così l’esperto di diritto, da noi raggiunto telefonicamente, a margine dell’apertura di un’inchiesta per i post razzisti che hanno infestato il web dopo la morte di una giovane eritrea, precipitata dal balcone di casa il 3 luglio a Bellinzona. Un caso che ha portato all’arresto del compagno con l’accusa di omicidio.

Due donne hanno commentato il dramma pubblicando post razzisti.

Una quarantina di ticinesi ha segnalato il caso al ministero pubblico che, come anticipato da laRegione, ha aperto un’inchiesta per xenofobia e discriminazione razziale.

Qui entra in campo Cottier, che non ha dubbi: l’aspetto punitivo non può essere il solo con cui la nostra società affronta il problema.

Bertil Cottier, professore di diritto dei media, [al telefono]. Secondo me non è sufficiente. Abbiamo visto a livello ticinese e anche a livello svizzero un gran sforzo per educare i bambini alla problematica della pedofilia. Ma i problemi non sono solo la pedofilia, bisogna fare un po’ di più.

Giornalista. I vertici della scuola si dicono aperti ad un miglioramento della situazione attuale.

Manuele Bertoli, direttore del DECS, [in video]. Dovremo intervenire. Lo si fa già in parte, ma si dovrà farlo anche di più in futuro. Si tratta di un insegnamento che può e deve essere trasversale, e quindi trattato in diverse discipline o materie: per esempio nelle materie più umanistiche in generale, da un lato insegnando ai ragazzi a utilizzare questi nuovi mezzi, che ormai fanno parte della nostra vita quotidiana, ma d’altra parte anche facendo loro capire quali sono i limiti e quali sono gli abusi da non commettere.

Giornalista. Insomma, anche la scuola si adegua alle nuove esigenze e gli episodi di razzismo, di cui ancora una volta il Ticino è teatro, anche se virtualmente, avranno almeno merito di migliorare la sensibilizzazione nelle scuole.

Non so voi, ma a me è venuto in mente quel detto secondo il quale quando il saggio indica la luna, lo sciocco guarda il dito. Così mi sono chiesto: cosa c’entra l’educazione dei minori all’uso dei social con due adulte che, magari volendo imitare certi politici, si sono lasciate andare a idiozie di stampo razzista?

Non c’entra una cicca. Se, come sembra, le due donne hanno commesso un reato si devono punire, e basta. Anche perché non è vero, come ha concluso il giornalista, che l’episodio di razzismo è virtuale: non c’è proprio nulla di virtuale in ciò che si legge nella rete, perché i pensieri degli autori sono sciaguratamente reali.

Quel che racconta il servizio della televisione di Stato è tutt’altra faccenda. E, vorrei aggiungere, se i post razzisti fossero stati scritti da minorenni, la preoccupazione sull’uso dei social sarebbe stato il mio ultimo pensiero. Avrei invece pensato che c’è qualcosa che non funziona nel sistema educativo: qualcosa di terrificante per il diritto e di drammatico per la democrazia.

Conosco fin troppo bene le imboscate in cui può cadere chi è intervistato dei media. Ti chiama il giornalista, ti fa una domanda e tu rispondi, di solito cercando di essere chiaro e conciso. Poi ti leggi, ti ascolti o ti vedi: non hai contato fandonie, ma il contesto è diventato un altro. Fosse solo per la stima di cui godono i due intervistati, spero che sia andata così.

Il testo che ho riportato – un po’ dialogo senza conoscere le domande poste agli intervistati, né le loro risposte complete – appare insensato, incongruente, assurdo. Persino un po’ kafkiano. Dopo il primo ascolto mi sono detto: toh, le nuove regole della pedagogia e del buon senso non mirano più a educare persone democratiche, capaci di accogliere le diversità e di stare alla larga da razzismo, xenofobia e intolleranza sui generis, vale a dire persone che hanno capito cos’è il diritto.

Il «messaggio» che ne scaturisce – una volta si sarebbe detto «la morale della storia» – è però un altro, piuttosto untuoso: pensa quel che vuoi, ma non scriverlo sui social.


Immagine d’apertura: RENÉ MAGRITTE (1898-1967). La Condition humaine I, 1933, Olio su tela, 100 x 88 cm, National Gallery of Art, Washington D. C.

Sull’educazione alla cittadinanza si andrà a votare

A pochi giorni dalle decisione del Gran consiglio ticinese di inaugurare l’educazione civica come nuova disciplina scolastica a sé stante, con tanto di nota sul libretto (si veda, in questo sito, l’ultimo testo che avevo pubblicato sul tema: Il Ticino sarà presto «Le meilleur des mondes possibles»), giovedì è arrivata la decisione da parte dei promotori dell’iniziativa: hanno deciso di non ritirarla, così che i ticinesi saranno chiamati alle urne (Civica, si andrà alle urne, Corriere del Ticino dell’8 giugno 2017).

Personalmente ne sono lieto. Tutta la faccenda sembrava un po’ folle e grondava di una certa dose di schizofrenia. Non credo che sia utile ripercorrere la cronaca recente del problema. Basti ricordare che l’iniziativa, che era stata sottoscritta da oltre diecimila cittadini, risale al 2013: al Parlamento sono occorsi quattro anni per generare un compromesso che, alla fin fine, non ha convinto nessuno.

L’imprenditore Alberto Siccardi, deus ex machina della proposta, ha detto che «Dopo molte riflessioni sull’opportunità di ritirare o meno l’iniziativa popolare sull’insegnamento della civica nelle scuole ticinesi e dopo aver ascoltato il parere dei promotori al proposito» è giunto alla decisione di non ritirare l’iniziativa, di assumersene pienamente le responsabilità e, dunque, di affidare la decisione finale al responso delle urne. E ha aggiunto: «Per chi un domani volesse ostacolare l’applicazione dell’iniziativa, sarà molto più difficile farlo schierandosi anche contro la maggioranza della popolazione, oltre che solo contro la volontà del Gran Consiglio».

Per quel che mi concerne voterò contro l’iniziativa e contro la decisione del Parlamento. Continuo a pensare che una materia scolastica così concepita non serve a un fico secco. Da segnalare che l’8 maggio l’Associazione ticinese degli insegnanti di storia ha pubblicato una Presa di posizione piuttosto interessante.

Sul quotidiano La Regione dell’8 giugno è invece apparso un articolo molto pregnante di Orazio Martinetti – Prima lezione di civica: Gramsci e Rosselli –, un brillante esempio per tratteggiare uno dei tasselli fondamentali di un’«Educazione civica, alla cittadinanza e alla democrazia diretta» che non si riduca a tre nozioni in croce, tanto per mettere in pace le coscienze sporche.