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Un bel lavoro di maturità sul tram di Locarno

Due anni fa, durante il rito mattiniero della lettura dei quotidiani, un semplice trafiletto aveva attratto la mia curiosità. Raccontava del lavoro di maturità di una studentessa del liceo di Locarno che aveva vinto il primo premio del concorso svizzero «HISTORIA», un premio che è frutto della collaborazione tra EUSTORY – The History Network for Young Europeans, la Fondazione Scienza e Gioventù e la Fondazione Mercator Svizzera.

Ho ritenuto utile dare risalto e diffusione a questa ricerca, perché l’insegnamento della storia conosce purtroppo tempi grami. Poi, forse, perché quel tram lì, cancellato e smantellato nel 1960, mentre frequentavo la prima elementare, me lo ricordo bene: faceva il paio col trenino della Valmaggia, col quale andavo a Someo a trovare i nonni, e certamente qualche volta devo pure averlo preso.

Sul numero di agosto-settembre 2017 La Rivista dell’editore Dadò ha pubblicato una scheda di quel lavoro, che può essere consultato presso la biblioteca del DFA della SUPSI (Piazza San Francesco, stabile B), o può essere scaricato qui, in due parti (Parte I e Parte II): con i miei complimenti all’autrice della ricerca, Yamina Maggetti di Intragna, oggi studentessa in diritto dall’università di Lucerna.


Il tram arranca su via R. Simen, diretto alla stazione di Sant’Antonio: era il 17 giugno 1959.

LOCARNO – Dalla ferrovia… al tram

«Tra i ciottoli di Piazza Grande è ancora visibile un’antica rotaia. Da bambina, camminandovi sopra, volevo scoprire dove portava. La passeggiata è stata breve, ma mi ha portata a compiere un lungo viaggio. A volte da una piccola curiosità può nascere un grande sapere». Sono parole di Yamina Maggetti, di origini intragnesi, oggi ventunenne e studentessa in diritto all’università di Lucerna. Il lungo viaggio al quale accenna è quello che l’ha portata, da liceale due anni fa, a intraprendere un’appassionante ricerca di storia locale: «Dalla ferrovia… al tram di Locarno. Una storia tipicamente svizzera». Era il suo lavoro di maturità, sostenuto e seguito dai suoi insegnanti, Roberta Lenzi e il compianto Thomas Ron, che si è rivelato una piacevole fatica e che le è pure valso il primo premio del concorso svizzero «HISTORIA».

Scrive Yamina Maggetti: «L’arrivo della ferrovia a Locarno (1874) e l’apertura della linea ferroviaria del Gottardo (1882) concluse un periodo di torpore durato quasi tre secoli. La posizione geografica e il clima mediterraneo diedero il via a tutta una serie di progetti, consegnando la regione, ormai definita le village où l’on s’endort, alla nascente industria dei forestieri. Il Grand Hotel, il Reber, l’Hotel du Parc, l’Esplanade e altri alberghi concorsero a imporre il Locarnese tra i più ambiti luoghi di villeggiatura. Tra il 1980 e il 1910, fiorirono molte iniziative: la nascita della Federazione Interessi Regionali FIR, la Banca Svizzero Americana, le arginature della Maggia, la chiusura del canale del laghetto (ex porto del Castello), la centrale elettrica di Brione, la costruzione del Palazzo del Teatro (1902), di molte ville e del Pretorio, che nel 1925 ospiterà la Conferenza della Pace. Un impulso decisivo a questo settore fu dato dal Sindaco della città e Consigliere nazionale Francesco Balli, di origini Valmaggesi, che si attivò con tenacia alla realizzazione di impianti ferroviari nel Locarnese, tra i quali spiccano la ferrovia Locarno-Bignasco, inaugurata nel 1907, e la funicolare della Madonna del Sasso, che entrò in funzione l’anno prima.»

Il 1° ottobre del 1908 la linea tramviaria, completata su tutta la sua lunghezza, venne inaugurata e i tram cominciarono le loro corse regolari. L’entusiasmo per l’innovazione era grande, come si leggeva sul “Popolo e Libertà”: Le tramvie fecero ieri, primo giorno di esercizio, buoni affari. Taluni per la novità della cosa, altri per reale bisogno, altri infine per godersi un po’ di vacanza nella bella giornata di giovedì, ne approfittarono largamente. Esteticamente la circolazione delle vetture tramviarie fa ottima impressione, specialmente lungo la piazza grande di cui rompe la monotonia conferendole l’aspetto civettuolo ed aria di grande città. È opinione generale che se verrà prolungata fino a Tenero la linea tramviaria sarà ancora più utile e anche più redditizia.

Il lavoro della giovane e appassionata studiosa restituisce la storia integrale del tram locarnese, nato per collegare la stazione di partenza della Locarno-Bignasco a quella della compagnia del Gottardo – l’attuale stazione di Locarno delle FFS – ma che, negli anni, vide nascere ed estinguersi altri tracciati. È una storia lunga poco più di mezzo secolo, che magari, al giorno d’oggi, genera pure qualche rammarico, anche perché solo i locarnesi che superano i sessant’anni hanno almeno qualche vago ricordo del tram, quel veicolo sferragliante e scampanellante che scendeva dal gas (via R. Simen), attraversava Piazza Grande, metteva a repentaglio i passanti di via alla Ramogna e poi proseguiva verso la stazione e fin quasi alla Verbanella. Già a metà degli anni ’50 la tramvia locarnese conobbe esigenze di ammodernamento, accanto a costi d’esercizio insopportabili. Ma la “modernità” incombeva.

Il 6 agosto 1957, le FRT comunicarono ai Comuni le condizioni definitive di spesa per l’introduzione dell’autoservizio urbano.  Il 1959 fu l’ultimo anno di servizio dei tram, che assolsero con fierezza e orgoglio, trasportando ben 880’653 viaggiatori: il miglior risultato di tutti i tempi!  Dopo cinquantadue anni di servizio, il 30 aprile del 1960 il tram assicurò le sue ultime corse su un percorso di 4105 metri tra Solduno e l’Esplanade. Una giornata così riassunta dal Giornale del popolo: se ne va un’epoca che ha visto quello che era solo un borgo trasformarsi in città. Loro, gli azzurri trabiccoli, asmatici e rumorosi, oggi sono un po’ anacronismo cospetto al lento e pur continuo progresso che tocca anche la nostra città, ma appartenevano alla nostra vita, alla vita della nostra Locarno. Con loro se ne va perciò un po’ anche di noi stessi. Sono momenti, questi, in cui più particolarmente sentiamo come il tempo sfugge. Addio, dunque vecchi tram.

Ecco perché non si deve banalizzare l’educazione civica

Da tanti anni trepido e, spesso, strepito per la piega che sta prendendo la scuola pubblica – la nostra, ma non solo.

Non sempre mi piacciono quelli che, un giorno sì e l’altro pure, firmano a mitraglia editti e petizioni, e cercano visibilità nei comitati di sostegno a questa o quell’altra causa: un fenomeno che, con l’avvento dei social, è cresciuto in quantità esponenziali. Tuttavia la votazione sull’Educazione civica, alla cittadinanza e alla democrazia mi preoccupa molto e così, stavolta, ho aderito con entusiasmo al comitato promotore per il NO a uno studio puramente nozionistico della civica.

Mi occupo da tanti anni di educazione civica e ne scrivo sin da tempi non sospetti. Aderire con entusiasmo al Comitato promotore per il NO a uno studio puramente nozionistico della civica è stato un atto quasi dovuto.

Clic sull’immagine per ingrandire.

In calce a questo scritto ho steso un elenco dei principali articoli che ho pubblicato sul tema dell’educazione civica nella mia rubrica sul Corriere del Ticino, il primo dei quali è dell’ottobre 2001. Si trovano tutti nel mio sito, Cose di scuola, assieme ad altri articoli.

In questi primi giorni di campagna in vista della votazione abbiamo già letto tante fandonie. Nessuno è contrario all’educazione civica. Ma bisogna opporsi all’istituzione di una nuova materia scolastica, che sarebbe “insegnata” (le virgolette non sono casuali) per due ore al mese, con tanto di immancabile nota sul libretto: dobbiamo opporci alla malacivica, che è un’educazione posticcia, improvvisata e illusoria.

Per non cadere anch’io nel trabocchetto della banalizzazione, evito il riassunto dei tanti argomenti di cui ho scritto in questi anni. Una solida educazione civica cresce vigorosa solo attraverso l’apporto di tanti attori educativi: dentro la scuola, certo; ma anche in famiglia, nei media, nella Società.

Ha scritto qualche giorno fa Aldo Bertagni che «A poco serve insegnare nozioni di civica, se poi manca quotidianamente l’esempio di chi dovrebbe avere intelligenza e coraggio per dare valore, lungimiranza e peso alla democrazia. Non è la civica che fa acqua in Ticino, ma la buona politica» [La cittadinanza è consapevolezza, laRegione del 29 agosto].

www.cittadinanza.ch


In questo sito vi sono innumerevoli scritti che riportano, più o meno direttamente, al tema dell’educazione civica (tag Educazione civica). Di seguito ecco invece una scelta di articoli più direttamente legati al tema.

Nella rubrica Fuori dall’aula
Altri articoli solo nel sito

I pionieri utopisti della scuola che non fu

Il Corriere del Ticino del 31 agosto 2017 ha pubblicato un mio contributo, che rimanda alla ricerca storico-giornalistica sul IV Congresso della Lega Internazionale per l’Educazione Nuova, che si tenne a Locarno nel 1927 (v. 90 anni fa a Locarno il Congresso della “Ligue Internationale pour l’Éducation Nouvelle”, dove è possibile scaricare l’intero rapporto, e Sono passati cent’anni, ma la scuola vecchia resiste, in barba ai suoi acciacchi). Copia dell’articolo del Corriere nella fua forma grafica originale può essere scaricata qui.


Pochi sanno che, due anni dopo la Conferenza della Pace, Locarno accolse un altro importante congresso. Nell’agosto del 1927 ospitò il IV congresso della Lega Internazionale per l’Educazione Nuova (LIEN), un movimento fondato in Francia nel 1921, in occasione di un congresso che riunì «tutti i pionieri dell’educazione, così come tutti quelli che si interessavano all’infanzia e al miglioramento della loro condizione». La maggior parte dei nomi più importanti dell’Educazione nuova era tra i fondatori: da Ferrière a Piaget, dalla Montessori a Neill e tanti altri.

La rivista della Lega, nel suo numero del novembre 1926, così presentava l’appuntamento locarnese: «Il vero internazionalismo deve poggiare ovunque sulla comprensione reciproca, che è l’unico fondamento sicuro per la pace nel mondo. È dunque una scelta eccellente, per il nostro prossimo congresso, quella di Locarno, poiché è là che è nata recentemente una grande speranza, quella di un’epoca nuova di fratellanza e di pace.  Il congresso registrò la presenza di più di mille partecipanti provenienti dai cinque continenti (al congresso di Heidelberg del 1925 ve ne furono 450).


Dal punto di vista internazionale, questo simposio non offrì spunti molto significativi per la breve storia di LIEN. Nata come progetto per instaurare la pace attraverso l’educazione, negli anni successivi organizzò ancora tre soli congressi: nel ’29 in Danimarca, nel ’32 a Nizza e nel ’36 in Inghilterra.

La Lega difendeva coi denti il suo statuto apolitico e laico. Célestin Freinet ne approfittò per cavalcare una polemica che sarebbe stata profetica: «La menzogna su cui è costruita la Lega viene dalla neutralità politica e religiosa. Se un giorno malauguratamente prossimo scoppierà una guerra prima che l’educazione nuova sia riuscita a realizzare il rinnovamento interiore degli individui, cosa farà, allora, la Lega?»

Questo candore pose qualche problema inatteso anche nel Ticino di quel tempo. Nelle settimane che precedettero l’apertura del congresso la stampa locale scatenò discussioni animose.

Mentre il Corriere del Ticino del 23 luglio elogiava LIEN, parlando di un congresso che «contribuirà ancora ad aumentare la sua fama ed a rafforzare la sua influenza, ciò che non potrà che essere di buon giovamento ad ognuno», il Giornale del Popolo, nato l’anno prima per volere del vescovo Bacciarini, intervenne a più riprese contro il convegno. Il 24 luglio il quotidiano della Curia si chiedeva: congresso mondiale di danza o di educazione? «Il Programma prevede che ogni Conferenza sarà preceduta da un concerto eseguito dall’Orchestra del congresso e quasi ogni giornata terminerà con un grande ballo»: era nota l’opinione del vescovo sulla licenziosità del ballo. A completare il quadro, lo stesso foglio riportò il parere di Padre Gemelli: «Nel mondo degli studiosi è noto quali origini abbia quel movimento pedagogico che ha promosso questo congresso; non esito a dire chiaramente che la ispirazione del movimento stesso e del congresso è così nettamente anticattolica che io ritengo sia bene che i maestri cattolici ticinesi abbiano ad astenersi dall’intervenire» – malgrado il fatto che il Dipartimento dell’Educazione, guidato dal conservatore Giuseppe Cattori, avesse facilitato e spronato la partecipazione dei maestri ticinesi. Ferrière, dopo il congresso, se ne lamentò senza giri di parole: «Il clero ha ostacolato la partecipazione dei Ticinesi al nostro congresso. Abbiamo così scritto al vescovo di Lugano che la nostra neutralità completa in materia confessionale non giustificava questo ostracismo».

Altro campo, altro litigio. Tra i relatori figurava Giuseppe Lombardo Radice, membro di LIEN sin dalla prima ora. Già in febbraio Libera stampa aveva aperto le danze: «Da una comunicazione del Bureau International d’Éducation apprendiamo che al Congresso dell’Educazione Nuova Gentile e Lombardo Radice interverranno. Si tratta di due laidi spioni che a Locarno sorveglieranno per conto del Governo di Mussolini la condotta politica degli studiosi italiani. È sulle denunce degli spioni che si potranno fare quelle che i fascisti chiamano epurazione. Il Comitato del Congresso, tenga conto di questo nostro avviso. Ben vengano i due mariuoli a Locarno: in questa libera terra troveranno dei liberi uomini che sapranno gittar loro in faccia la rampogna e il disprezzo degli educatori italiani, umiliati e oppressi». Lo stile fa un po’ sorridere, per un certo squadrismo non troppo velato. Ma la cosa interessante è che il filosofo siciliano si era dimesso dagli incarichi ministeriali per protesta contro il fascismo nel ’24. A ciò si aggiunga che già nell’anno del congresso era sottoposto alla sorveglianza della polizia politica.

Rinunciò a venire a Locarno: «Ho accettato di essere uno dei relatori – scrisse – perché l’attività delle persone che lo hanno promosso e la tradizione dei precedenti congressi mi persuadeva che si trattasse di un dibattito di questioni tecniche, assolutamente all’infuori delle questioni politiche dei varii paesi. Vedo ora, invece, che nell’agosto a Locarno la cosa prenderà una piega assai diversa».

Princìpi sempre attuali

Nella scuola ticinese l’interesse fu pacato e prudente. Il tema, in quegli anni, era ben presente nell’agenda politica del Cantone. Erano in atto riforme interessanti, ma lo spirito di LIEN andava oltre. L’educatore della Svizzera italiana archiviò il congresso nel suo numero di settembre, prendendo le distanze da “certi esperimenti”: «Come è facile comprendere, non molte applicazioni pratiche è possibile ricavare per le nostre scuole: le quali scuole sono pervase di sano spirito di modernità, e tengono il “giusto mezzo” tra le riforme più audaci e i sistemi tradizionali. Anche nel nostro Cantone, si va tentando di fare la scuola “libera”, con le composizioni non più obbligate, il diario e il disegno spontanei: ebbene, in alcuni casi, i risultati sono così lacrimevoli, che i maestri si riaggrappano, più tenacemente, ai metodi che magari sdegnavano». Per certi versi verrebbe da dire che, da allora, il dibattito politico non sia granché cambiato: in certi momenti sembra di leggere le stesse tiritere delle discussioni attorno alla Scuola che verrà.

Oggi LIEN è rinato, ne ha ripreso l’acronimo e ne condivide i principi fondatori, con l’obiettivo di mantenere vive le idee di quel grande progetto, al di là delle utopie e delle ingenuità: i due LIEN, quello di oggi e quello di un secolo fa, continuano a sognare un cambiamento del contratto scolastico, per andare verso una scuola che non etichetti più nessuno e che non selezioni la gioventù, ma la istruisca e la educhi.

Adulti razzisti sul web: la TV si guarda il dito e non s’accorge della luna

Il Quotidiano, trasmissione d’informazione regionale della RSI, che da più di trent’anni accompagna la cena di tanti ticinesi, ha mandato in onda il 10 agosto scorso il servizio «Post razzisti, aperta inchiesta». Sottotitolo: Oltre quaranta persone avevano segnalato al Ministero pubblico i commenti di due donne sull’eritrea morta a Bellinzona (Vedi, ad esempio, il CdT del 4 luglio: Donna caduta dal balcone, arrestato il convivente).

Al termine dei due minuti e mezzo del reportage ero talmente incredulo, che ho ribobinato e riascoltato più volte.

Dato che, come recita l’antico proverbio, «verba volant, scripta manent» – e, per motivi che gli antichi non potevano immaginare, anche video manent, ma non sempre per sempre – ho trascritto gran parte del testo di quel servizio.

Avvertenza: le immagini non erano sostanziali, nel senso che non aggiungevano nulla alle parole. Salvo una, che ho inserito al suo posto.

Giornalista. «Vanno bene le segnalazioni alla procura, vanno bene anche le multe, ma se vogliamo davvero arginare i casi di razzismo sul webdice Bertil Cottier – dobbiamo colmare una grande lacuna: la mancanza di educazione alla rete e all’utilizzo dei social media». Così l’esperto di diritto, da noi raggiunto telefonicamente, a margine dell’apertura di un’inchiesta per i post razzisti che hanno infestato il web dopo la morte di una giovane eritrea, precipitata dal balcone di casa il 3 luglio a Bellinzona. Un caso che ha portato all’arresto del compagno con l’accusa di omicidio.

Due donne hanno commentato il dramma pubblicando post razzisti.

Una quarantina di ticinesi ha segnalato il caso al ministero pubblico che, come anticipato da laRegione, ha aperto un’inchiesta per xenofobia e discriminazione razziale.

Qui entra in campo Cottier, che non ha dubbi: l’aspetto punitivo non può essere il solo con cui la nostra società affronta il problema.

Bertil Cottier, professore di diritto dei media, [al telefono]. Secondo me non è sufficiente. Abbiamo visto a livello ticinese e anche a livello svizzero un gran sforzo per educare i bambini alla problematica della pedofilia. Ma i problemi non sono solo la pedofilia, bisogna fare un po’ di più.

Giornalista. I vertici della scuola si dicono aperti ad un miglioramento della situazione attuale.

Manuele Bertoli, direttore del DECS, [in video]. Dovremo intervenire. Lo si fa già in parte, ma si dovrà farlo anche di più in futuro. Si tratta di un insegnamento che può e deve essere trasversale, e quindi trattato in diverse discipline o materie: per esempio nelle materie più umanistiche in generale, da un lato insegnando ai ragazzi a utilizzare questi nuovi mezzi, che ormai fanno parte della nostra vita quotidiana, ma d’altra parte anche facendo loro capire quali sono i limiti e quali sono gli abusi da non commettere.

Giornalista. Insomma, anche la scuola si adegua alle nuove esigenze e gli episodi di razzismo, di cui ancora una volta il Ticino è teatro, anche se virtualmente, avranno almeno merito di migliorare la sensibilizzazione nelle scuole.

Non so voi, ma a me è venuto in mente quel detto secondo il quale quando il saggio indica la luna, lo sciocco guarda il dito. Così mi sono chiesto: cosa c’entra l’educazione dei minori all’uso dei social con due adulte che, magari volendo imitare certi politici, si sono lasciate andare a idiozie di stampo razzista?

Non c’entra una cicca. Se, come sembra, le due donne hanno commesso un reato si devono punire, e basta. Anche perché non è vero, come ha concluso il giornalista, che l’episodio di razzismo è virtuale: non c’è proprio nulla di virtuale in ciò che si legge nella rete, perché i pensieri degli autori sono sciaguratamente reali.

Quel che racconta il servizio della televisione di Stato è tutt’altra faccenda. E, vorrei aggiungere, se i post razzisti fossero stati scritti da minorenni, la preoccupazione sull’uso dei social sarebbe stato il mio ultimo pensiero. Avrei invece pensato che c’è qualcosa che non funziona nel sistema educativo: qualcosa di terrificante per il diritto e di drammatico per la democrazia.

Conosco fin troppo bene le imboscate in cui può cadere chi è intervistato dei media. Ti chiama il giornalista, ti fa una domanda e tu rispondi, di solito cercando di essere chiaro e conciso. Poi ti leggi, ti ascolti o ti vedi: non hai contato fandonie, ma il contesto è diventato un altro. Fosse solo per la stima di cui godono i due intervistati, spero che sia andata così.

Il testo che ho riportato – un po’ dialogo senza conoscere le domande poste agli intervistati, né le loro risposte complete – appare insensato, incongruente, assurdo. Persino un po’ kafkiano. Dopo il primo ascolto mi sono detto: toh, le nuove regole della pedagogia e del buon senso non mirano più a educare persone democratiche, capaci di accogliere le diversità e di stare alla larga da razzismo, xenofobia e intolleranza sui generis, vale a dire persone che hanno capito cos’è il diritto.

Il «messaggio» che ne scaturisce – una volta si sarebbe detto «la morale della storia» – è però un altro, piuttosto untuoso: pensa quel che vuoi, ma non scriverlo sui social.


Immagine d’apertura: RENÉ MAGRITTE (1898-1967). La Condition humaine I, 1933, Olio su tela, 100 x 88 cm, National Gallery of Art, Washington D. C.

Sono passati cent’anni, ma la scuola vecchia resiste, in barba ai suoi acciacchi

Quando, il 1° agosto scorso, ho pubblicato qui la mia inchiesta sul IV congresso della Ligue Internationale pour l’Éducation Nouvelle (LIEN), che si era tenuto a Locarno dal 3 al 15 agosto 1927, non mi aspettavo certo immediate reazioni, soprattutto locali.Dal Ticino, che di questi tempi è al contempo elettrizzato – ehi raga!, c’è Locarno Festival – e sonnacchioso, non mi attendevo chissà quali sussulti. Se nessuno se n’è accorto per novant’anni, non sarà certo uno starnuto nel mio sito a far sussultare gli animi dei più (che sono in vacanza, mica al Festival del film).

Tuttavia ho ricevuto alcuni messaggi autorevoli, che mi hanno fatto piacere.

Per cominciare Marco Balerna, ex sindaco di Locarno, ha commentato così: Grazie Adolfo per averci ricordato che Locarno non è stata solo la «Città della Pace», ma anche «Città della Scuola». Se solo si fosse continuato e perseverato su certi principi e certe realtà… Ma così va il mondo: bisogna sempre ricominciare e ricominciare. Che fatica. Ma questo è il nostro destino di uomini.

Nei giorni seguenti, da Ginevra, dove ho studiato, mi sono arrivati altri messaggi che mi hanno fatto un poco arrossire: non cito gli autori, perché non ne ho chiesto il permesso, e non riporto cosa mi hanno scritto, perché va bene un po’ di vanità, ma vediamo di non esagerare.

Detto questo voglio segnalare due cose.

1. Il 14 e 15 settembre gli Archives Institut Jean-Jacques Rousseau organizzano un colloquio internazionale sul tema Genève, une plateforme de l’internationalisme éducatif au 20è siècle. Va da sé che l’utopia della Lega Internazionale per l’Educazione Nuova ha molto a che fare con l’esprit éducatif genevois. Chi è interessato (io lo sono, ma in quei giorni dovrò essere a Locarno, perché c’è «Piazzaparola», di cui scriverò da qui a là) trova all’indirizzo indicato tutto quel che serve.

2. Inoltre: il mio fascicolo 1927: Locarno accoglie l’Educazione Nuova è ora disponibile anche nel sito di Lien International d’Éducation Nouvelle. Ne sono contento, perché anche così si offre una maggiore diffusione alle idee di cui sono portatori i due LIEN, quello di oggi e quello di un secolo fa, che continuano a sognare un cambiamento del contratto scolastico, per andare verso una scuola che non etichetti più nessuno e che non selezioni più la gioventù, ma la istruisca e la educhi, seriamente e con gioia.

Il Manifesto di LIEN, nato durante il simposio di un anno fa a Villeurbanne, nei pressi di Lione (lo si può scaricare qui) è di grande interesse, meglio ancora se si riesce a leggerlo tenendo in filigrana le (H)armo(S)nizzazioni odierne – in bilico tra editti dai toni suadenti e piani di studio di non esemplare chiarezza – la Scuola che verrà e i tanti dibattiti un po’ scontati, che si susseguono negli ambienti politici e si riflettono specularmente sui media.

Mi limito a citare due o tre argomenti, tratti dal Manifesto, che fanno spesso capolino nei discorsi dei politici e che, naturalmente, rispecchiano e rinvigoriscono i pareri dell’opinione pubblica.

  • La fratellanza confusa con la compassione, che valorizza l’aiuto e il sostegno ai più sfavoriti, rafforzando e legittimando in tal modo le disuguaglianze.
  • «Le pari opportunità», falsamente garantite dalla Scuola, che sono una frottola sociale, perché consolidano un sistema ingiusto, insinuando in ognuno il convincimento di «meritare» la propria sorte. Attraverso le cosiddette pari opportunità si impedisce che si protesti o che si esiga chissà che, dal momento che si è fatto di tutto per offrire a ognuno la possibilità di riuscire. Si tratta di una mistificazione che scaturisce dal presupposto che il successo degli uni e l’insuccesso degli altri si spiegano attraverso i “doni” ricevuti alla nascita o i meriti personali.
  • La certezza che la competizione accresce la motivazione, incoraggia l’apprendimento e giustifica sforzi e sacrifici, dissociando il piacere e il lavoro.
  • Transeat, invece, sul tema della differenziazione, un’araba fenice dalle millanta interpretazioni (di comodo).

Insomma: secondo un modo di dire comune la scuola, parlo di quella dell’obbligo, è un cantiere sempre in movimento, per dire che si è pronti ad affrontare, giorno dopo giorno, ogni novità.

Eppure, ogni tanto, viene il dubbio che anche la scuola, a immagine del capolavoro di Tomasi di Lampedusa, auspichi che sotto sotto «Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi».