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Ospite virtuale a Verona

Verso fine agosto sono stato sollecitato a inviare un breve contributo alla collega Barbara Gaiardoni, che da qualche mese collabora con il mensile Verona Sette.

Il 2020 sarà un anno speciale per Gianni Rodari, giornalista, pedagogista e scrittore: nato il 23 ottobre di cent’anni fa a Omegna, era stato insignito nel 1970 del premio Andersen, che è considerato il Nobel della letteratura per l’infanziae e ci lasciò improvvisamente nel 1980.

Ero diventato maestro di scuola elementare nel 1974. In quegli anni il nome di Rodari ricorreva in maniera importante: si parlava molto di lui già a livello di formazione dei futuri insegnanti e i molti suoi racconti, favole e romanzi erano di casa in tante classi: basti ricordare, un po’ alla rinfusa, «Gelsomino nel paese dei bugiardi», «Favole al telefono», «La freccia azzurra», «La torta in cielo» – senza scordare la «Grammatica della fantasia, che era nel contempo un’«introduzione all’arte di inventare storie» e un serbatoio immenso di pedagogia e didattica.

Oggi – e non credo si tratti solo di un fenomeno specifico delle scuole del mio Ticino – i titoli di Rodari sono sconosciuti agli allievi, anche perché già i loro maestri non l’hanno più incontrato: sarebbe interessante capirne il motivo. Per chi, leggendo queste poche righe, starà masticando il suo «Carneade! Chi era costui?», consiglio Una storia, tante storie. Guida all’opera di Gianni Rodari, di PINO BOERO, profondo conoscitore dell’opera e del pensiero di Rodari, riedito proprio quest’anno da Einaudi Ragazzi.

La scuola può essere un luogo di emancipazione?

Anche il piccolo Canton Ticino sta facendo i conti con la pandemia. Sembrano passati mesi e mesi, eppure ancora a fine febbraio – la prima risoluzione del Governo ticinese è del 26 febbraio – sembrava che non ci riguardasse. La cronaca, aggiornata giorno dopo giorno, è nel linguaggio giustamente scarno delle pagine che la Repubblica e Cantone Ticino dedica al Nuovo coronavirus.

SARS-CoV-2 (Severe Acute Respiratory Syndrome Coronavirus 2), il virus che sta bloccando il mondo, ha portato anche alla chiusura di tutte le scuole fino al 19 aprile (decisione del Consiglio federale del 16 marzo), che è il termine fissato dalla Confederazione per tutti i provvedimenti sin qua presi. Naturalmente stanno saltando tutti i meccanismi un poco rituali che scandiscono i tempi della scuola, tenuto conto che, in vista delle decisioni di fine anno, mancherebbe già a quel momento quasi un mese di lezioni.

Il dubbio è che il 19 aprile sia una data ottimista e provvisoria. Quanto a tutto il resto, non è questo il momento per discuterne.


Nello stesso periodo di paura e di chiusura è giunta in libreria la traduzione italiana di un bel libro di Philippe Meirieu, Una scuola per l’emancipazione. Libera dalle nostalgie dei vecchi metodi e da suggestioni alla moda (2020: Roma, Armando Editore).

La scuola può essere un luogo di emancipazione? Sì, secondo Philippe Meirieu, ma solo se si propone di formare persone capaci di resistere all’onnipotenza pulsionale, di pensare da sole e di impegnarsi nella costruzione democratica del bene comune. Quali finalità formative nella scuola? Quali conoscenze utilizzare per raggiungere le finalità? Qual è il ruolo delle neuroscienze? Come formare all’attenzione? Come costruire e praticare una valutazione esigente? Come costruire il senso del gruppo per formare alla cittadinanza? Un libro per insegnanti, genitori, educatori, amministratori pubblici e per tutti i cittadini interessati a una scuola che mantenga la sua promessa di giustizia e di solidarietà.

La versione originale era uscita nel 2018 (PHILIPPE MEIRIEU, La riposte – Écoles alternatives, neurosciences et bonnes vieilles méthodes: pour en finir avec les miroirs aux alouettes, 2018: Paris, Autremont). Alla sua apparizione in Francia, aveva sollevato un dibattito molto ampio (qui si trovano tanti riferimenti a recensioni e riflessioni). Philippe Meirieu è da diversi anni al centro di accese dispute attorno al ruolo delle pedagogia e alle finalità della scuola pubblica e obbligatoria (illuminante è l’intervista La pedagogia è l’arte del fare, sottotitolata in italiano, trasmessa da Rai Scuola). Non è sicuramente un caso se anche nel Canton Ticino il suo nome fu sventolato dai più veementi avversari del progetto di Manuele Bertoli, La scuola che verrà, di cui ho scritto più volte.

La traduzione italiana del volume è di Enrico Bottero, insegnante e pedagogista italiano che, tra tante cose, dà vita a uno spazio web che mira a offrire un contributo per far crescere l’educazione e il sapere dell’insegnare attraverso il confronto degli insegnanti tra loro e con il mondo della ricerca pedagogica.

Il libro di Meirieu si inserisce nel sensibile dibattito sulle finalità della nostra scuola, in particolare quella dell’obbligo. Scrive Enrico Bottero nella presentazione del volume:

Questo non è solo un libro sulla scuola e sulla pedagogia ma anche di politica dell’educazione. Non è un caso perché la storia personale di Philippe Meirieu è quella di un uomo impegnato nella scuola, nella ricerca e nel mondo educativo ma anche sul piano politico e istituzionale. […] Non c’è dunque da stupirsi che Meirieu abbia scritto un libro per entrare «nell’arena», come titola la seconda parte del volume, un libro scritto con vis polemica anche per denunciare l’assurda nostalgia dei metodi didattici tradizionali a cui oggi guarda con attenzione, in Francia come in Italia, parte del mondo intellettuale. La colpa della cattiva preparazione degli studenti, si dice da più parti, sarebbe della pedagogia e dei pedagogisti, come se il lavoro sulle pratiche pedagogiche e l’attenzione alle discipline fossero in contrasto tra loro! Implicitamente qualcuno vagheggia il ritorno a una presunta età dell’oro in cui tutto andava meglio, a una scuola che «educava» in nome dei «valori» e del principio di autorità. […] Se non si va a mettere in discussione quel modello, ormai superato, non si può pensare a una scuola per il XXI secolo. (Qui il testo integrale della presentazione).

Va da sé che, in questo momento, le librerie sono chiuse e impossibilitate a ordinare nuovi titoli. In attesa di giorni più sereni, segnalo questa riflessione a caldo dello stesso Bottero sull’Educazione al tempo del coronavirus.

Ecco Sgrammit, per scoprire la grammatica dell’italiano nella scuola elementare

Si chiama Sgrammit, è nato dalla penna dell’illustratrice ticinese Simona Meisser ed è il simpatico personaggio principale di un importante progetto per scoprire la grammatica dell’italiano nella scuola elementare,  ideato e diretto da Simone Fornara e Silvia Demartini (Centro competenze didattica dell’italiano lingua di scolarizzazione del Dipartimento formazione e apprendimento della SUPSI).

Sgrammit – precisano gli autori – non è un manuale di grammatica. Le sue proposte sono pensate e progettate per fornire all’insegnante esempi di attività e di percorsi che rispecchiano lo stato dell’arte nella didattica dell’italiano e sono finalizzate allo sviluppo delle competenze linguistiche delle allieve e degli allievi, coerentemente con le indicazioni previste nel Piano di studio della scuola dell’obbligo del Canton Ticino. Non sono pertanto ricette da applicare indistintamente e indipendentemente dal contesto classe.


L’intera opera è composta da sei serie di quaderni, dedicati a sei grandi temi che permettono di affrontare i nodi principali della riflessione sulla lingua nella scuola elementare. Ogni serie è costituita da due quaderni e dalla guida per l’insegnante. I quaderni di Sgrammit sono in sintonia con il Piano di studio della scuola dell’obbligo ticinese, perché ne rispecchiano la suddivisione della materia in tipologie testuali e in risorse linguistiche, dando modo di affrontare la grammatica in maniera graduale, utilizzando come porta d’entrata preferenziale il testo.

Il primo «capitolo» – La punteggiatura – sarà pubblicato nel maggio 2019. Questa prima uscita sarà l’occasione per una serie di incontri informativi di presentazione dei materiali e del progetto (qui si può scaricare la locandina):

  • martedì 14.05.2019, ore 17.30, SUPSI, Dipartimento formazione e apprendimento di Locarno;
  • mercoledì 15.05.2019, ore 17.15, Scuole Elementari Bellinzona Nord;
  • martedì 21.05.2019, ore 17.15, Scuole Elementari di Rancate;
  • giovedì 06.06.2019, ore 17.15, Istituto Scolastico di Capriasca.

A partire dal 2020 saranno poi disponibili gli altri quaderni:

  • Il testo narrativo e il testo descrittivo
  • L’ortografia
  • Il testo espositivo e il testo argomentativo
  • La grammatica e il metalinguaggio
  • Il testo regolativo e il testo funzionale

All’indirizzo http://www.sgrammit.ch/ si trovano maggiori informazioni sul progetto.

Ancora sul congresso locarnese di «LIEN» del 1927

Il bollettino della Società Storica Locarnese ha pubblicato nel suo numero del dicembre 2018, il 22° della serie, un mio scritto sul IV congresso della Lega Internazionale per l’Educazione Nuova (LIEN), che si era svolto a Locarno nell’agosto del 1927. Avevo presentato una mia piccola ricerca il 1° agosto 2017: 90 anni fa a Locarno il Congresso della “Ligue Internationale pour l’Éducation Nouvelle”, e ne avevo riferito sul Corriere del Ticino del 31 agosto (I pionieri utopisti della scuola che non fu).

Sono lieto di pubblicarlo qui in una versione ridotta e, nel contempo, del tutto esaustiva – nel senso che tutte le informazioni essenziali ci sono. Insieme si trovano le informazioni principali sulla Società Storica Locarnese, nonché l’indice del bollettino di quest’anno.

Nel documento originale del mio lavoro avevo annotato di non essere uno storico o uno storiografo e di non conoscere quindi i metodi della ricerca storica. Così il lavoro che ne era uscito era più simile a un approccio giornalistico che non a una ricerca storica. La presenza di questo nuovo articolo su una pubblicazione di storici è per me, nel contempo, un motivo di soddisfazione e l’augurio che qualcuno con più competenze di me provi ad approfondire questo episodio di storia locarnese e ticinese.

Per questa nuova pubblicazione devo ringraziare prima di tutti Rachele Pollini-Widmer, vicepresidente della SSL e redattrice del bollettino, donna competente, dinamica e infaticabile. E, poi, l’amico Enzo Marchionni, che ha rivisto il mio testo con interventi che sono andati ben oltre lo scovare il refuso ortografico o qualche concordanza grammaticale che andava per i fatti suoi.

Felice Varini, una star dell’arte contemporanea

Sul numero di maggio 2018 del mensile illustrato del Locarnese e Valli laRivista, ho pubblicato una sobria presentazione dell’artista locarnese Felice Varini, che la nostra Radiotelevisione, durante una chiacchierata radiofonica, ha definito «uno dei più grandi artisti contemporanei».

L’ho intitolato «Felice Varini, un locarnese a Parigi e nel mondo» (lo si può scaricare con un clic sul titolo).

So bene che ciò non ha molto a che fare con i contenuti usuali di questo blog. Ma l’arte di Varini è così particolare, che ho pensato di riprenderlo anche qui, non fosse che per arricchirlo con qualche elemento che sulla Rivista era difficile proporre. Ad esempio un breve filmato (3 minuti) dove lo si vede al lavoro mentre «dipinge» una sua opera sotto il portico del Grand Palais di Parigi: «Vingt-trois disques évidés plus douze moitiés et quatre quarts» (2013).

Qualche giorno fa c’è stato il vernissage di un’opera immensa, nella cittadina di Carcassonne, nel sud della Francia, un lavoro che, ancor prima dell’apertura, ha scatenato feroci polemiche.

«Le jaune de la discorde sévit sur la magnifique cité de Carcassonne. Pour le vingtième anniversaire de l’inscription de la cité au patrimoine de l’UNESCO, la ville a eu la belle idée de faire appel à une des star de l’art contemporaine. Il s’agit de Felice Varini, qui est connu pour ses anamorphoses…». [Fonte: http://www.expointhecity.com/, 29.04.2018]

Felice Varini al lavoro, nottetempo, dentro la cittadina medievale di Carcassonne

Consiglio infine una visita al suo sito – www.varini.org – che presenta pure, in ordine cronologico, tutte le sue opere sparse nel mondo.