Dite che lo sport è salute?

Lo sport è salute. Forse è per questo motivo che giornali, radio e televisioni, magari con il sostegno incondizionato del Dipartimento Istruzione e Cultura e del Dipartimento della Sanità e della Socialità gli dedicano tanto spazio. Si consideri che i quotidiani ticinesi destinano giornalmente una buona fetta del loro spazio alle manifestazioni sportive, così come la TSI sacrifica quasi interamente un suo canale al calcio e all’hockey, al tennis e all’automobilismo, allo sci e al basket, nonché a qualche altro passatempo minore, senza tralasciare i libri e le altre pubblicazioni che compaiono a scadenze regolari. Ciò significa che anche nel minuscolo Ticino vi è una fiumana di giornalisti più o meno specializzati, esperti del calcio parlato e dello sport orale in genere. Considerate le forze in campo e le energie spese per questo fenomeno popolare, si può ritenere che dietro tutto questo gran movimento di competenze, persone e capitali vi sia un progetto educativo che, per i costi e l’ampiezza, si avvicina e si affianca a quello della scuola.

Vero: la scuola, al contrario dello sport, è obbligatoria, ma gli avvenimenti agonistici riescono a scandire il passare del tempo meglio dell’anno scolastico. Si può immaginare che la discesa in campo della squadra del cuore o l’impresa del proprio campione influiscano sull’organizzazione del tempo più e meglio delle vacanze di carnevale, dell’espe di tedesco o del dettato del lunedì mattina. In ugual modo si deve supporre che un numero imponente di giovani e giovanissimi frequenti attivamente qualche associazione sportiva, che attraverso la pratica sana e costante del movimento aiuta ognuno a crescere in armonia col proprio corpo: mens sana in corpore sano, come amava ripetere Giovenale, che prima di darsi alla poesia, non per caso era maestro di retorica.

Già un paio di mesi fa mi ero occupato, in questa rubrica, del rapporto perverso che intercorre tra sport e mass-media. Il tema mi è tornato alla mente in questi giorni di marzo, un po’ grazie ai manifesti spuntati su e giù per il Ticino per sollecitare di nuovo a dare un futuro a quell’hockey club che ha bisogno di soldi; e un po’ per le vicissitudini di quell’altro club – di football questa volta […]. Questo è lo sport, bellezza! Ma è a dir poco ipocrita far finta di scandalizzarsi, come fanno i mass-media locali. La realtà che sta venendo a galla sembrerebbe tutto meno che istruttiva: tra presunte evasioni fiscali, millantati crediti, procuratori che indagano (questi sì, reali) e giornalisti sportivi che commentano – ma non spiegano – c’è di che vietare immediatamente le pagine sportive e il canale TSI 2 a tutti i minori.

Non da oggi, a ogni buon conto, lo sport è all’epicentro dello scandalo: di doping si parla ormai da decenni, né si possono dimenticare – citando a caso – il totonero di qualche anno fa o le mutazioni sessuali delle atlete della Germania orientale prima dell’89. Ma rispetto ad altre indecenze, poco probabilmente il movimento sportivo ne uscirà sconfitto o ridimensionato, grazie soprattutto allo strapotere della stampa specializzata: cominciare saggiamente a descrivere lo sport per quello che è, usando un gergo ordinario e riportandolo al ruolo che gli compete, significherebbe un’elevata perdita di posti di lavoro, giacché è difficile trasformare un cronista di pallacanestro in un commentatore politico o in un reporter di guerra. Meglio quindi intessere improbabili analisi psicologiche e dissertazioni sulla fenomenologia del capocannoniere, perché gli spazi disponibili devono pur essere riempiti. Come ben riassume una vignetta sull’ultimo numero del Diavolo, “Berlusconi presidente del Consiglio può fare anche il presidente del Milan. Non c’è conflitto d’interessi… La Nazionale non può giocare contro il Milan!!!”; alla stessa stregua Libàno Zanolari può continuare indisturbato il suo lavoro, perché non farà mai una discesa libera, così come Ezio Guidi non sfiderà mai Martina Hingis. Effettivamente, non c’è conflitto d’interessi, anche se le martine hingis prosperano proprio grazie agli ezî guidi sparsi nel mondo.

Peccato che un gran numero di ragazzi e giovani continuerà a scontrarsi con società sportive che in loro, al di là dei proclami, cercano solo i futuri campioni, ostentando arrogante strafottenza verso De Coubertin e i suoi (sempre più introvabili) accoliti. In realtà è difficile, per un genitore, trovare per suo figlio una società sportiva in cui davvero si possa fare dello sport secondo gli ideali che dovrebbero qualificare questa intelligente maniera di occupare il tempo libero. Oggi il ragazzo che vorrebbe giocare al calcio – così, per divertirsi – si scontra quasi sempre con campionati e tornei che rischiano di assorbire tutto il suo tempo extra-scolastico, trasformando il calcio (o il ciclismo, o la ginnastica, o…) nell’ombelico della vita. Quanti di loro saranno campioni? E quanti, invece, aggiungeranno le frustrazioni della palestra a quelle dell’aula?

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