Non serve l’astrologia per predire i guai della scuola

È tempo di astrologi e divinatori: un gran numero di giornali, in assenza di pettegolezzi ragguardevoli e anche per garantire le inevitabili vacanze ai redattori, vivacchia tra i bilanci dell’anno appena concluso e le profezie sull’anno che verrà. La scuola è normalmente esente da queste attenzioni d’inizio anno: un po’ perché l’anno attacca due volte – in settembre e in gennaio – un po’ perché è sempre meglio non guardarsi indietro, per non arrossire. E poi, siamo chiari: per sbagliare le ipotesi sulla scuola non servono gli astrologi, né tanto meno maghi e indovini: a prender cantonate s’arrangiano i governi senza chiedere il sostegno degli astri.
Prendiamo l’ultima in ordine di tempo. Sul finire del 2001 la stampa svizzera ha dedicato ampio spazio ai risultati di una ricerca che ha messo a confronto i quindicenni di oltre trenta paesi del mondo sulle loro competenze in matematica, scienze naturali e comprensione della lettura. Il sistema scolastico elvetico è avvezzo a simili esami internazionali e si è sempre vantato di ottenere risultati d’alta classifica. L’ultima verifica ha invece mostrato che se nelle materie fondate sulla scienza ce la caviamo ancora benino, nella comprensione della lettura siamo scesi sotto la media globale dei paesi che hanno partecipato all’inchiesta: sul podio sono saliti Finlandia (oro), Corea (argento) e Canada (bronzo), mentre noi ci accontentiamo del 17° posto. Se oltre la metà dei quindicenni finlandesi raggiunge risultati di comprensione ai livelli alti (4° e 5°), i giovani svizzeri con competenze analoghe sono poco più di un terzo, mentre quasi un decimo non raggiunge il livello minimo (inferiore al 1° livello).
Era prevedibile un tale tonfo in un ambito fondamentale della formazione dei cittadini di domani? Sì, se solo si pon mente al fatto che negli ultimi venti o trent’anni le scienze e le lingue moderne hanno catalizzato pressoché completamente l’attenzione dei dipartimenti dell’istruzione dell’intero Paese. Prendiamo la scuola dell’obbligo ticinese. Già a otto anni si attacca col francese, con allievi che assai volentieri non sanno neanche l’italiano – e non ci riferiamo solo agli stranieri e ai confederati. Quattro anni dopo, ecco entrare in scena il tedesco e, so wie so, c’è pure chi non s’accontenta e briga da anni per l’insegnamento precoce e obbligatorio dell’inglese. Così a quindici anni i nostri pargoli si districheranno disinvoltamente nei loro contatti con gli abitanti di gran parte del pianeta – salvo poi incontrare notevoli problemi anche solo a scrivere correttamente una domanda d’assunzione.
Le due cose non sono necessariamente correlate, ma come mi diceva un amico giornalista durante il pranzo di Natale, il congiuntivo è in via di estinzione, e non sarà certo il WWF (World Wildlife Found, of course!) a salvarlo. In effetti il congiuntivo potrebbe assurgere al ruolo di panda gigante della lingua italiana, che non si sta estinguendo a causa della deforestazione o dell’effetto serra, bensì per le inaudite scelte di chi regge le nostre sorti. Il guaio è doppio: in primo luogo ci si illude in pochi anni di conoscere due o tre lingue straniere – Je parle français, Ich spreche Deutsch, I speak english… ed io speriamo che me la cavo – senza cogliere la differenza tra conoscere una lingua e saper chiedere dov’è la stazione. In secondo luogo l’approssimazione che distingue l’insegnamento della lingua madre non tiene nella giusta considerazione gli effetti di crescita intellettuale che l’approfondimento dell’italiano trascinerebbe inesorabilmente nella sua scia: sempre più ci dobbiamo confrontare con ragionamenti faciloni, che tendono a banalizzare il patrimonio di conoscenze dell’umanità e a ridurre tutto in termini di profitto: è il primato della cultura formato Rete 4, ma non c’è nulla di stupefacente in questo stato di cose.
Nella nostra scuola media è più facile incappare nel “Bandolero stanco” di Vecchioni, che in un qualsiasi Leopardi, mentre l’articolo di Repubblica ha rimpiazzato Pavese – e che a nessuno venga in mente che Maupassant faccia parte del programma di francese. Ora qualcuno dovrebbe pur rendere conto del karakiri ch’è in atto, ma per farlo bisognerebbe uscire dalla logica delle apparenze: perché anche educare i propri cittadini è più complesso di quel che si pensi.
Visto che siamo a inizio anno, vale indubbiamente la pena di tentare una divinazione: dato che le opposizioni astrali saranno fiacche, lunedì 2 settembre aprirà i battenti il nuovo anno scolastico, qualche giorno prima il dipartimento avrà dato i numeri e in seconda media debutterà l’inglese obbligatorio, tra suoni di tamburi e squilli di trombe. Non credo nell’astrologia e spero dunque di fallire questa profezia: ma temo che il congiuntivo sarà definitivamente ceduto al suo destino.

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