La scuola dell’obbligo tra Chiasso e la Lapponia

Come dar torto al deputato del Gran Consiglio Raoul Ghisletta quando scrive, sulla Regione di sabato scorso, che «le riforme in ambito scolastico […] si fanno ispirandosi ai modelli vincenti, e non con il bricolage o con le esortazioni buonistiche»? Prendendo le mosse dai risultati scadenti dell’ormai noto studio PISA 2003, Ghisletta cita «uno di questi modelli vincenti […], quello finlandese, recentemente illustrato da un vicerettore di liceo di Helsinki, il prof. Heikki Kotilainen, che ha effettuato una serie di conferenze nella Svizzera tedesca». Non conosco il prof. Kotilainen, né ne ho mai sentito parlare. Però il nostro deputato cita un’intervista da lui rilasciata alla Neue Luzerner Zeitung a fine maggio, in occasione di una serie di conferenze che ha tenuto in giro per la Svizzera tedesca, non si sa invitato da chi.
È vero che l’organizzazione scolastica finlandese è per parecchi aspetti diversa dalla nostra, così com’è altrettanto certo che tra il paese scandinavo e il Ticino ci sono differenze politiche e culturali che in qualche modo influenzano il modo di reggere una scuola e di produrre dei risultati. Ad esempio il «tradizionale culto della lettura in voga in Finlandia», – cito il prof. Kotilainen citato da Ghisletta – che «si riflette sulle competenze linguistiche degli allievi», non può essere importato sic et simpliciter, se solo si pensa a quali possano essere le ragioni storiche e culturali che hanno generato questo culto da sogno e che lo tengono ancor oggi in vita. Un altro elemento che non si può importare è la percentuale di stranieri, che nel paese dei mille laghi è del 2% e che fa dire a Ghisletta «che significa avere 10 volte meno problemi interculturali e linguistici rispetto alla media svizzera». Il rimando un po’ xenofobo a questo dato ha invero un fondo di populismo: perché anche da noi esistono fior di scuole composte in massima parte da autoctoni, magari appartenenti a quella «classe politica borghese» che tanto infastidisce il nostro onorevole: eppure il culto della lettura non è di casa, così come le competenze linguistiche dei nostri allievi son quelle che conosciamo.
A ciò si potrebbe aggiungere che le classi finlandesi sono assai più numerose delle nostre (anche oltre 30 allievi, ciò che secondo il vicerettore Kotilainen rimane un problema): ma con alcune sostanziali differenze non solo quantitative. Intanto le scuole obbligatorie – dai sei anni della scuola elementare ai tre della media – sono poste tutte, ma proprio tutte, sotto l’egida dei comuni, che ricevono importanti sostegni dal governo centrale quando sono in presenza di casistiche particolari che potrebbero rendere più difficoltoso l’insegnamento: è il caso – appunto! – della presenza di allievi alloglotti, così com’è il caso della poco densamente popolata Lapponia. Invece da noi tutto è stabilito una volta per tutte. L’assegnazione agli istituti delle unità lavorative nell’ambito del sostegno pedagogico, ad esempio, è stabilita su basi burocratiche: ogni tot allievi c’è un docente di sostegno, e a nessuno importa se vi sono tanti o pochi allievi che potrebbero giovarsi di questo importante appoggio. Eppure è a tutti noto che vi sono, in giro per il Cantone, istituti con problematiche ben diverse, mentre in nome di uno strano senso dell’equità c’è chi ha troppo e chi troppo poco.
Infine gli allievi finlandesi non conoscono praticamente il dispositivo della bocciatura e, nel contempo, frequentano la scuola per molte meno ore dei nostri. Come ha dichiarato ai «Cahiers pédagogiques» la prof. Leena Vaurio, insegnante all’Università di Helsinki, «Vien da dire che la fruttuosa situazione sia la testimonianza diretta della competenza degli insegnanti! (…) Gli allievi svolgono buona parte del loro lavoro a scuola e si impara bene perché le ore di insegnamento sono impiegate in modo efficace. Le giornate scolastiche sono relativamente corte, ma dense (…). È chiaro che se l’allievo resta a scuola per delle attività extra-scolastiche, la sua giornata si allunga. In Finlandia le scuole propongono poche attività di questo tipo, sia in ambito sportivo che altro».
Quasi come da noi, dove il parlamento rifila nuovi compiti alla scuola con fenomenale regolarità.

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