PISA 2006: verso la globalizzazione dei sistemi scolastici?

Che dire dei risultati di PISA 2006, presentati con una certa enfasi dall’Ufficio Federale di Statistica lo scorso 4 dicembre? Già il comunicato stampa era emblematico, una sorta di corsa ai ripari dopo le legnate dei precedenti rilevamenti internazionali: «Risultati sopra la media». Io ci avrei messo anche un bel punto esclamativo. Si configura un futuro di ingegneri che non sanno leggere. Ricapitoliamo: PISA è un programma di valutazione internazionale degli studenti. Ha cadenza triennale e rileva di volta in volta un cartello di competenze digerite dai quindicenni di un elevato numero di paesi. La prima volta – nell’ambito della lettura – la Svizzera aveva rimediato la classica figura barbina, ciò che aveva fatto scoppiare una marea di polemiche. Al secondo colpo era stato il turno della matematica: un po’ meglio di prima, ma nulla di eccezionale. Non era il caso di festeggiare in piazza e farsi ricevere con la banda. E oggi ecco il colpo di reni: nell’ambito delle scienze siamo «sopra le media internazionale», davanti a paesi blasonati come la Francia o gli Stati Uniti, ma dietro la Finlandia – la solita spocchiosa prima della classe – l’Estonia, la Corea e il Liechtenstein (neanche la popolazione di Lugano), pur considerando che qualcuno ha mandato la media al tappeto: a PISA 2006 hanno partecipato anche l’Azerbaigian, l’Indonesia e il Kirghizistan, tanto per buttar lì qualche nome a caso. Abbiamo pure migliorato le nostre capacità di lettura, ciò che ci ha portato a superare la fatidica linea della media OCSE – come dire che, almeno per il momento, ci siamo allontanati dalla zona relegazione: non siamo ancora in Champions League, ma restiamo placidamente in Challenge. Sempre meglio che nei campionati minori, seppur grazie alla media che si è abbassata.
Poi è vero che questo terzo rilevamento è meno significativo dei precedenti. Per cominciare, è cresciuto il numero di paesi partecipanti alla competizione, ciò che rende più difficile il confronto (ed è noto che la quantità è nemica della qualità). In secondo luogo, non è detto che i programmi nazionali convergano: le scienze, a differenza della lingua materna o della matematica, sono una disciplina giovane, senza il peso della tradizione, ciò che genera programmi dai contenuti senz’altro diversi. Si potrebbe ipotizzare che tra i primi della classe ci siano proprio quei paesi i cui programmi hanno coinciso con le richieste di PISA. Personalmente, se fossi a capo di questo progetto, avrei optato per un rilevamento più cattivo. Avrei sondato qualche altra conoscenza: che ne sanno i quindicenni della storia del loro paese? E della letteratura, della poesia, del teatro, delle arti? Oppure avrei sondato qualche attitudine politica: quanto sono razzisti i quindicenni dei 57 paesi considerati? Che governo istituirebbero? Quale attitudine mostrano verso l’accoglienza, le dipendenze, l’ecologia, l’etica, la politica o l’economia?
Naturalmente non sono queste le cose che interessano. Anche HarmoS, il nuovo concordato sull’armonizzazione della scuola obbligatoria in Svizzera, non si occupa di tali sciocchezze: che la scuola, per dirla con la Legge, debba «promuovere lo sviluppo armonico di persone in grado di assumere ruoli attivi e responsabili nella società» è una visione, mica un obbligo. Non fosse che, come ha scritto Fulvio Pelli, «non dobbiamo più accontentarci, noi svizzeri, di superare le medie degli altri paesi, dobbiamo invece cercare di superare tutti». Personalmente non m’accontento e non godo, in attesa di vincere la coppa dei campioni in lettura o in scrittura, fondamentali strumenti di pensiero. Senza poi scordare che non dobbiamo sentirci in dovere di scimmiottare sistemi scolastici che puntano tutto sulla competitività, come quello coreano, per dirne uno: in quel lembo asiatico le ore settimanali di scuola sono addirittura più imponenti delle nostre, il ritmo degli esami e la pressione della nota provocano il dilagare di depressioni nervose. Prego declinare, se non vogliamo imboccare il vicolo che porta alla globalizzazione dei sistemi scolastici del mondo intero.

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