Le scuole comunali al Cantone? Ma per piacere…

Chissà se è solo una sparata per agitare un po’ l’ambiente oppure se il proiettile è partito con uno scopo preciso? Verso metà novembre l’Associazione Comuni e Regioni di montagna ticinesi (CoReTi) ha tenuto la sua assemblea per chinarsi sul progetto «Cantone-Comuni: flussi e competenze», che adesso ha tra le sue priorità il settore delle scuole. È in quell’occasione che è venuta a galla una proposta della consorella ACUTI (Associazione comuni urbani) che, stando a quanto riferito dai mass-media, vorrebbe che la scuola dell’infanzia e quella elementare fossero assunte in proprio dal Cantone. Anzi, secondo questo giornale (v. edizione del 19 novembre) l’idea sarebbe già articolata. Come si sa, «Cantone-Comuni: flussi e competenze» è un tavolo di contrattazione che intende trovare soluzioni efficaci ed equilibrate nella gestione della cosa pubblica, con l’ovvio riferimento a quei settori che, attualmente, sono gestiti congiuntamente dal cantone e dagli enti locali, seppur spesso con evidenti scompensi tra chi paga e chi comanda: com’è il caso delle scuole comunali, finanziate in buona parte dai comuni, ma tenute saldamente in pugno dal Cantone.
In effetti lo Stato disciplina quasi tutto. Addirittura decide anche per degli aspetti per i quali non verserà un centesimo. Ai comuni resta ben poca indipendenza. Può decidere se presentare uno spettacolo teatrale, se organizzare la settimana bianca o quella verde, se stanziare tanti o pochi crediti per le uscite di studio, quanto spendere per il materiale scolastico (ma anche lì, a ben vedere…). La richiesta dell’ACUTI, dunque, non è solo provocatoria, ma sacrosanta. Almeno a livello formale, l’associazione presieduta dal sindaco di Locarno si è finora limitata a chiedere «un esame della fattibilità di cambiamenti più radicali, quali la cantonalizzazione completa del settore scolastico (…) o il significativo spostamento di competenze da uno all’altro livello istituzionale». Credo che i cambiamenti radicali siano dovuti, ma non per forza con il passaggio della scuole dell’infanzia ed elementare dai comuni al cantone: un’alternativa che sulla carta è certo quella più istintiva, ma che rischierebbe di precipitare anche queste scuole, oggi tra le più in buona salute, nel tipico grigiore di ogni centralismo. Se queste scuole, ancor oggi, godono di un diffuso senso di fiducia, è grazie ai loro operatori – maestre e maestri per primi – che, giorno dopo giorno, affrontano la loro professione con un attento sguardo non solo a obiettivi e competenze, ma anche alle persone che hanno di fronte.
Una decina di anni fa la Conferenza dei direttori delle scuole comunali aveva avanzato diverse proposte di maggiore autonomia degli istituti comunali, allo scopo di migliorare la collaborazione con il Cantone, di meglio mettere a frutto la prossimità con ogni caratteristica locale e, in definitiva, di cancellare tutti quegli appesantimenti burocratici che sono oggi nel mirino dei comuni. Il Cantone se n’era fatto un  baffo di quelle proposte e, anzi, per «migliorare» le cose aveva soppresso quattro ispettorati, laddove i comuni, almeno quelli affiliati all’ACUTI, se n’erano completamente disinteressati. Nondimeno la richiesta dell’ACUTI di pretendere cambiamenti radicali è comprensibile e auspicabile: tra tutte le soluzioni possibili, però, la cantonalizzazione delle scuole comunali è la più scriteriata e banale: proprio la prima che salta in mente.

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