Anche i classici per ragazzi servono per crescere bene

Il 3 marzo 1977 ebbi occasione di seguire a Locarno un’affollata conferenza pubblica di Gianni Rodari, premio Andersen nel 1970, una sorta di Nobel della letteratura infantile. Quella eccezionale serata mi è tornata in mente quando sono stato invitato a partecipare a un incontro di riflessione sul tema «A quattro mani sulla scia di Rodari – Tra grammatica della fantasia e educazione linguistica», in margine alla presentazione del libro «I pipistrelli di Guardalà», di Mario Gamba e Simone Fornara (Raffaello editrice, 2010), serata che si è svolta lo scorso 24 novembre al Dipartimento della Formazione e dell’Apprendimento della SUPSI di Locarno. Per noi giovani maestri dell’epoca Gianni Rodari era un vero e proprio mito, che incarnava pienamente lo spirito di quei tempi di grandi cambiamenti politici e di costume. Le sue «Favole al telefono», «La freccia azzurra», «Le avventure di Cipollino», «C’era due volte il barone Lamberto», «Gelsomino nel paese dei bugiardi», «La torta in cielo» o «Filastrocche in cielo e in terra» – solo per citare qualche titolo tra i più noti – rappresentavano per noi la migliore e più giusta risposta alla letteratura che aveva accompagnato sin lì gli allievi ticinesi attraverso la scuola elementare. Si può ipotizzare che tutte le generazioni che hanno calcato le nostre aule scolastiche a partire dagli anni ’40 abbiano conosciuto le storie raccontate da Dante Bertolini nei suoi quattro libri di lettura: «Il bel sentiero», «Rivabella», «Marco» e «Al passo con la vita». È probabile che questi racconti conquistarono il loro successo grazie al fatto che si contrapponevano ai libri di lettura pubblicati in Italia, con tanto di consenso ministeriale, assai spesso intrisi di cattolicesimo e clericalismo – i Patti lateranensi erano ancora ben saldi in sella – e con una sorta di celebrazione del “fanciullo italiano”, ereditata dal fascismo, che era lungi dall’assopirsi. I temi trattati da Bertolini riflettevano naturalmente i precetti educativi del suo tempo: la vita, la morte, la patria, le istituzioni, la riuscita scolastica e il successo nella vita, il lavoro, il sentimento religioso, l’unità familiare, la salute.
Accanto a ciò – ed è giusto ricordarlo – i maestri si rivolgevano assai spesso ai classici quando leggevano delle storie ai loro allievi: dai «Ragazzi di via Pal» a «Pinocchio», dal «Richiamo della foresta» a «Gianburrasca» all’immarcescibile «Cuore», senza scordare le belle addormentate, i gatti con gli stivali, le piccole fiammiferaie, i soldatini di piombo e gli acciarini magici – e cosa fosse un acciarino l’avremmo forse capito meglio più in là. È però indubbio che i maestri della mia generazione, entrati a dosi “industriali” nella scuola elementare ticinese, abbiano chiuso quell’epoca di letteratura per l’infanzia, preferendo Gianni Rodari e i suoi epigoni a Bertolini, pur mantenendo, almeno in parte, i classici. Oggi, quarant’anni dopo l’ideale passaggio delle consegne da Bertolini a Rodari e, soprattutto, dopo il crollo del muro di Berlino, si ha l’impressione che l’editoria per ragazzi sforni autori e titoli a ritmi impressionanti, che però non resistono nel tempo e non diventano dei classici, salvo le solite eccezioni. Nelle classi di oggi sfilano storie politicamente corrette ma prosciugate dalle emozioni,  spesso scritte con un italiano povero e sciatto: gli editori vogliono una lingua sempliciotta, senza congiuntivi e termini astrusi. In compenso i nostri ragazzi non conoscono più i classici, se non attraverso le riletture disneyane, e molti non conoscono neanche più lo stesso Gianni Rodari. È difficile dire se queste nuove storie lascino qualche segno tangibile nella personalità dei ragazzi di oggi. L’impressione è che, al di là del loro uso strettamente funzionale all’insegnamento dell’italiano, un gran numero di libri non sia in grado di educare e di contribuire alla costruzione di un’identità: è raro trovare storie attuali e, nel contempo, affascinanti che sappiano parlare ai ragazzi di oggi del mondo in cui vivono, dense delle inevitabili emozioni di cui hanno bisogno per crescere.

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